Che a bazzicare il Vaticano e il sinodo, che ad appellarsi al papa per la propria impunità potessero essere arnesi come Casarini e Ilaria Salis la dice lunga più sullo stato attuale della Chiesa che sui suddetti, uno stato di disastro se non di dissesto che il nuovo pontefice, uscito da un compromesso disperato, è chiamato a risolvere e alla svelta: questo il senso di un Leone XIV, della sua missione che egli conosce bene, glielo si leggeva sulla faccia, emozionata, sì, ma di quell’emozione che sale dalla preoccupazione, dalla consapevolezza che se non ce la fa lui ad aggiustare i guasti del mandato precedente, se non riesce lui a ritrovare una rotta dopo tanta deriva, è finita.
Da cui subito certi segni chiarissimi: l’Ave Maria urbi et orbi, l’esprimersi in latino (dopo lo spagnolesco delle passate missioni), la devozione alla Madonna di Pompei cui era votato – strano che nessuno lo abbia colto – un santo fortemente tradizionalista come Padre Pio. Tutti che già sgomitano, che te lo danno loro, il papa Leone, loro che con lui sono culo e mantella, che quella volta che cantammo insieme Osteria del Vaticano, e invece che papa sarà lo scopriremo solo vivendo, giusti i presupposti appena accennati: che non sono elucubrazioni di chi scrive ma sostanza palese, realtà delle cose.
Aspettiamo, umilmente incuriositi, anche se è lecito aspettarsi un pontificato sinuoso, di risacca, rispettosa ma risacca nel senso del ritorno ad una tradizione non negoziabile: la sostanza dei fatti lo dimostra già dalla prima omelia, dai primissimi interventi: mettere al centro Cristo, annullarsi in lui, recuperarne la sacralità, “Cristo non è un superuomo”, per dire non aspettarsi da lui la risoluzione dei problemi del mondo così come li si pretende di risolvere, alla carta, e non trattarlo di conseguenza, mitizzandolo se “dalla nostra parte”, rinnegandolo altrimenti.
Che è precisamente quanto vanno facendo gli ultras del predecessore, che non erano ultras del Padreterno ma di un demenziale comunismo brutalmente traslato sul Crocifisso. Di Casarini, che ostentava complicità con Bergoglio, oltre alle gesta del passato, ai casini pregni di condanne, alle osterie “Allo sbirro morto”, a quel vago odore di sovversione che ora si impegna a seppellire con la scusa del solidarismo esotico estetico, restano farneticanti, primitive osservazioni sul Cristo cui si sarebbe progressivamente avvicinato: colto come una sorta di Guevara del quale egli avverte la fascinazione proprio in ragione di un presunto ruolo da “rivoluzionario contro il potere”. Sono i luoghi comuni storici di una ultrasinistra sovversivista fino al terrorismo, che si è sempre votata a suo modo verso Gesù Cristo, freudianamente se si vuole, quasi a giustificare le malefatte che sapeva di compiere: Cristo “a testa in giù” ma allo stesso tempo dalla loro parte, perché pure i balordi, i provocatori, i terroristi alla fine non potevano non dirsi cristiani con Benedetto Croce. Solo che quello dei Casarini e delle Salis è bigottismo utilitaristico e del più squallido, infantile, rozzo. Cristo fu falegname con suo padre, ma non erano “proletari”. Non spinse mai alla lotta di classe. Non fu mai “compagno Gesù”.
La rivoluzione di Cristo, e questo è un dato storico, fu spirituale, e la sua azione si inseriva nella predicazione. I miracoli, i prodigi andavano colti all’interno di un senso ulteriore, la stessa polemica verso il mondo era ultraterrena, Cristo non entrò mai frontalmente contro il potere, fu il potere romano, di cui Erode era strumento, a percepirlo come un fastidio, più che una minaccia: “Che male vi ha fatto costui?”. Ma lo scandalizzarsi interessato dei sommi sacerdoti spingeva al tumulto che un Pilato quasi recalcitrante decideva di placare col sacrificio. “Il mio regno non è di questo mondo”, e tanto bastava a scatenare i farisei, gli ipocriti.
Dire come sostiene Leone XIV che Cristo non è un supereroe significa qualcosa di chiaro, che tutti possono, debbono capire: che la figura del Cristo va colta come e in quanto Figlio di Dio, che la salvezza si acquisisce accettando questa consapevolezza, non per chissà quale fumosa fascinazione; o credi non credi, ma se credi allora non puoi intestartelo, devi, altra precisazione papale, “annullarti in Lui”. L’azione diretta di Gesù sui poveri, gli ammalati, i sofferenti era un clamoroso, onnipotente sovrappiù a sottolineare la natura divina, provvidenziale, ma è sbagliato per un cristiano basarsi su quelle per maturare la conversione che porta alla fede.
Stiamo riassumendo alla buona, qui nessuno è teologo e i teologi laureati “se sbagliamo ci corigerano”, ma ci sembra di avere colto il senso: Cristo va riportato nella sua dimensione escatologica, ridurlo al ruolo di santone da centro sociale, come fanno i primitivi dell’ultrasinistra balorda, è inaccettabile al limite dell’eresia. Dire poi, come continua papa Prevost, che in Cristo bisogna annullarsi, è appunto precisare qualcosa che alcuni hanno colto come una elegante, velata polemica verso l’egocentrismo narcisistico del predecessore: ci vuole un bel coraggio, da quell’inviato RAI, nel dire che queste parole “avrebbero fatto felice Francesco”: al contrario, gli avrebbero fatto fischiare le orecchie.
Sono dettagli dai quali si coglie già, felpata ma netta, l’inversione di tendenza. Leone XIV non sarà un papa dottrinario come Ratzinger ma sulla dottrina probabilmente non farà sconti, maturerà i suoi passi che saranno passi indietro, conscio del fatto che la Chiesa cattolica sta perdendo la sua partita anche su questo, anche per questo, per essersi sempre più trasformata in una sorta di gigantesco, ramificato e non sempre limpido centro sociale i cui ministri se gli chiedi cinque minuti per parlar di Dio ti liquidano infastiditi, dovendo correre da un impegno mondano all’altro, da una propaganda all’altra.
Ma prima di tutte viene la propaganda della fede. C’è una cosa: la smettessero gli ossessi e i fanatici di rimarcare le pecche del nuovo papa sui prelati pedofili che avrebbe protetto (chi non lo ha fatto prima di lui? La pedofilia è una piaga troppo estesa nella Chiesa per venire estirpata, temiamo) o per i vaccini che avrebbe sostenuto (anche a un prelato va concesso il beneficio dell’incertezza di fronte a tanta dannatissima confusione). Guardiamo all’urgenza dei fatti: la Chiesa oggi, nella sua condizione attuale, ha bisogno di un tradizionalista, magari non drastico come Sarah ma di un capo che recuperi i fondamenti perduti; come poi questa tradizione verrà rispolverata, questo ancora nessuno può dirlo, mentre tutti al papa nuovo attribuiscono tutto e il contrario di tutto: trumpiano e antitrumpiano, nordamericano ma impregnato di latinoamericanismo, non tetragono verso la postmodernità ma neppure troppo indulgente.
Forse la sintesi più efficace, benché elementare, l’ha abbozzata quel suo fratello a Chicago, “né di destra né di sinistra, ma di centro”, per dire centro cattolico, centro cristiano, equilibio. Cosa che sta già facendo infuriare comunisti, terroristi, neobrigatisti, filoscafisti, propagandisti del Cristo guerrigliero, del sabotatore di un potere che non sabotò mai, perché gli sarebbe bastato un puro atto di volontà per annientare tutti mentre invece salì sulla croce da Agnello di Dio. E Cristo se predicava la pace non ha mai predicato però il disarmo, l’abolizione della polizia, delle carceri, il pacifismo a senso unico, l’odio verso l’Occidente, il gender, il filoislamismo terrorista e tutte le altre menate dei cialtroni. Non era l’Uomo Ragno e non era il subcomandante Marcos. Era uno e trino, mica i fantastici quattro.
Max Del Papa, 10 maggio 2025
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