Chiesa

Le mosse del fronte anti-Bergoglio: i tempi per il nuovo Papa si allungano

Aumentano i tempi della discussione tra i grandi elettori. Le manovre e i fronti contrapposti

Conclave Immagine generata da AI tramite DALL·E di OpenAI

A tre giorni dall’avvio del Conclave il collegio cardinalizio non ha ancora raggiunto un’intesa sul nome del futuro Pontefice. O almeno questo è quanto emerge dalle dichiarazioni raccolte all’uscita della nona Congregazione generale. “Lo Spirito Santo ha già scelto, ma noi ovviamente abbiamo bisogno di più tempo” ha dichiarato il cardinale algerino Jean Paul Vesco, lasciando l’aula delle Congregazioni. “Sono sicuro che saremo pronti al momento giusto e che daremo alla Chiesa il Papa che Dio vuole” ha aggiunto in un secondo momento. Sulla stessa linea anche il cardinale cileno Fernando Natalio Chomalí Garib: “Ci sono 133 nomi, stiamo con gli occhi aperti”.

A sottolineare la fluidità della situazione anche le parole del cardinale Claudio Gugerotti, che ha scelto una metafora floreale per descrivere lo stato attuale dei lavori: “Siamo dei fiori, un po’ da annaffiare, ma siamo dei fiori”. E quando gli si chiede se mercoledì possa sbocciare qualcosa, risponde con un sorriso: “Mercoledì, come fa?”. Poi aggiunge: “Chi lo sa? Lo Spirito Santo fa degli scherzi. Non sappiamo mai. Serve tanta acqua”. Anche da parte asiatica arrivano conferme di un processo ancora in evoluzione. “Raggiunto il consenso? No, ma lo raggiungeremo” ha dichiarato una porpora orientale, mantenendo l’anonimato.

Nel tentativo di favorire una convergenza, per oggi è stata convocata una doppia sessione delle Congregazioni: una al mattino, alle ore 9, e una nel pomeriggio alle 17. Insomma, una cosa è certa: aumentano i tempi della discussione tra i grandi elettori, con buona pace di chi profetizzava una scelta rapida, anzi rapidissima. Il pensiero ricorrente è quello di una riunione che non sembra avere una risoluzione immediata e sarà necessario un dialogo più approfondito di quanto previsto. Giochi di potere, ma anche di politica.

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E arriviamo a Donald Trump, che ieri ha pubblicato un’immagine generata dall’intelligenza artificiale che lo ritrae vestito da Papa, con mitria e pastorale. Apriti cielo: la provocazione ha scatenato una bufera e per qualcuno è un messaggio forte e chiaro in vista dell’elezione del nuovo Papa. Il Corriere spiega che gli Stati Uniti rappresentano, numericamente, il secondo gruppo più consistente all’interno del Collegio cardinalizio dopo l’Italia: 17 cardinali, di cui 10 elettori. Tuttavia, l’ipotesi di un Papa americano rimane remota. Anche prima delle uscite del tycoon, il modello statunitense veniva visto come già troppo influente e potente nel contesto globale, in modo simile a quanto avviene con il Canada, che non ha mai espresso un pontefice.

La Chiesa americana si presenta profondamente divisa. Da un lato, l’ala conservatrice, con figure come il cardinale Raymond Burke e l’arcivescovo di New York Timothy Dolan. Dall’altro, una componente più progressista, rappresentata da vescovi come Blase Cupich (Chicago) e Joseph Tobin (Newark). A pesare ulteriormente è il lascito dello scandalo degli abusi sessuali: un capitolo doloroso, portato alla luce dall’inchiesta del Boston Globe e diventato il caso cinematografico Spotlight. Un’eredità che ancora oggi grava sulla reputazione dell’episcopato americano.

Due nomi statunitensi emergono come possibili candidati di mediazione in caso di stallo nelle votazioni: il camerlengo Kevin Farrell e il cardinale Robert Prevost, prefetto del Dicastero per i vescovi. Entrambi, però, dovrebbero confrontarsi con il peso degli scandali e delle critiche passate. In particolare Prevost, accusato di aver esercitato una vigilanza insufficiente durante i suoi incarichi a Chicago e in Perù. Nonostante queste difficoltà, il peso della Chiesa statunitense nel prossimo Conclave – e nelle direzioni future della Chiesa cattolica – resta significativo. Papa Francesco ha promosso cardinali progressisti come Robert McElroy, vescovo di San Diego, nominandolo a capo dell’arcidiocesi di Washington. Una scelta interpretata come un bilanciamento rispetto alla nomina, da parte dell’amministrazione Trump, dell’ambasciatore Brian Burch, noto oppositore di Bergoglio.

Negli Stati Uniti è sempre più marcata l’ascesa di correnti tradizionaliste, che attraggono anche molti giovani seminaristi. Si tratta di una reazione conservatrice alle aperture della Chiesa verso le sfide contemporanee: liturgie in latino, opposizione netta su temi come matrimonio, sessualità, contraccezione e ruolo delle donne nella Chiesa. Un fenomeno che si estende anche ad altri Paesi occidentali: in Gran Bretagna, ad esempio, i cattolici più ortodossi sembrano guadagnare terreno rispetto a un anglicanesimo percepito come troppo compromesso con il progressismo.

Insomma, sono tanti i dossier sul tavolo e la nomina del nuovo Papa si fa sempre più intricata. I nomi che circolano sono sempre gli stessi e non sono venute meno le indiscrezioni velenose, tali da aprire ulteriori dibattiti. Ciò che è certo è che continueremo a parlare di Conclave ancora per diverso tempo…

Franco Lodige, 4 maggio 2025

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