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Pandemia e diritti: la lezione dei filosofi - Terza parte

La pandemia, così come tutte le grandi crisi globali, oltre ai lutti e ai gravi disagi economici per molti cittadini, sta ponendo a tutti noi importanti questioni relative ai diritti individuali. Per un lungo periodo, anche nel nostro Paese, sono state imposte molte restrizioni a tutela della salute pubblica ed è tuttora in vigore lo stato di emergenza. Forse, grazie anche all’efficacia della campagna vaccinale, è il momento di iniziare una riflessione – comune e pacata – su come recuperare in sicurezza spazi di libertà individuale, consentendo che i cittadini tornino a stabilire un rapporto da adulti col potere politico; anche perché, sosteneva Kant nel 1784 “Un governo fondato sul principio della benevolenza verso il popolo, come un governo di un padre verso i figli, cioè un governo paternalistico in cui i sudditi, come figli minorenni che non possono distinguere ciò che è loro utile o dannoso [..] è il peggior dispotismo che si possa immaginare”.

Un grande scienziato sociale, Franco Romani, commentava questo passo di Kant scrivendo ne La società leggera del 1995: “Lo Stato non è il padreterno, non è onnisciente, anzi tende molto spesso a far danno anche quando le intenzioni sono buone. Per questo va controllato e vincolato. Una società liberale avrà fondamenti sicuri solo quando i cittadini avranno imparato che possono far conto su sé stessi”. Questo dobbiamo fare adesso, recuperare un rapporto adulto con lo Stato. Elevando l’asticella del dibattito tra politica, cultura e popolo.

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