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Quello che Fedez non ha il coraggio di dire

di Giancarlo Palombi

Un’operazione da manuale. Se fosse un soldato, il fante del marketing Federico Lucia – al secolo Fedez – sarebbe da premiare con una medaglia al merito. Più che dribblare i paletti dell’urlata censura politica della Rai, ancor più che schivare veti e freni di sindacati, autori, produttori, assistenti al palco e steward, il soldato Fedez con una finta da pibe de oro, evita di affrontare il tema per il quale era stato chiamato sul palco del Concertone del Primo Maggio.

Concertone, è bene ricordarlo, organizzato dai sindacati. Quegli stessi sindacati che nelle stesse ore ricordavano – a giusta ragione – la morte del giovane delegato Cgil Antonio Prisco, pioniere dei diritti dei riders. Ma Federico è oltre, è un visionario, involontaria icona della nuova sinistra. Sostituita la stella sul basco da Che Guevara con il dorato logo Nike, Fedez ci parla di diritti e di civiltà. Non di lavoro.

Eppure lui di argomenti ne avrebbe avuti diversi. Uno su tutti quello archiviato alla voce “Amazon”. Parlare dei turni massacranti, degli stop and go cronometrati attraverso un’App, della calendarizzazione dei bisogni fisiologici. Ma no, Amazon non è argomento di denuncia per il soldato Federico Lucia. Sì, perché se da un lato ha rimosso o dimenticato le frasi omofobe pronunciate qualche anno fa, forse folgorato sulla via del marketing, dall’altro non può rinunciare al contratto milionario di social brand ambassador di Amazon Prime video. Il generale Bezos non avrebbe gradito e la libertà di opinione, si sa, ha un prezzo a cinque stelle. Riposo, soldato Fedez.

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