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Accordo con le Isole Salomone, Pechino aumenta la sua pressione espansionistica nel Pacifico

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In questi ultimi tempi la tragedia ucraina attira in pratica ogni attenzione, spingendoci così a trascurare ciò che accade nel resto del mondo. Si tratta di un atteggiamento pericoloso, il quale ci fa dimenticare che la Cina è tuttora in agguato con la sua aggressività politica e commerciale. In effetti la Repubblica Popolare, oltre a svolgere un ruolo di mediazione sempre più incisivo nel conflitto ucraino, prosegue senza soste la sua strategia di espansione nell’Oceano Pacifico, dove cerca di scalzare la supremazia americana e inglese (e c’è in parte riuscita).

Ma andiamo per ordine. Mentre Joe Biden cerca di compattare il fronte occidentale contro la Russia, ottenendo però soltanto successi parziali, Pechino è attivissima in un contesto – come quello europeo – che in teoria non dovrebbe essere di sua competenza. Ha inviato un notevole quantitativo di armi alla Serbia, dove è stato recentemente rieletto il presidente filorusso Aleksandar Vucic. E si tratta di un segnale di rispetto e considerazione per Putin, che con Vucic ha rapporti molto stretti.

Come se non bastasse, i cinesi hanno organizzato un tour diplomatico in varie nazioni dell’Est europeo. Vi sono incluse tanto l’Ungheria di Victor Orban che non ha rinunciato alla sua politica di amicizia con Mosca, quanto Paesi che invece temono la Russia quali Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Croazia e Slovenia.

L’intento è chiaro. I cinesi vogliono coprire le spalle a Putin grazie alla stretta alleanza siglata con lui ai tempi delle Olimpiadi di Pechino. Compito davvero arduo, giacché molti di questi Paesi – si pensi per esempio alla Polonia – sono stati minacciati in modo piuttosto diretto dallo zar moscovita per l’invio di armi in Ucraina. Sarà dunque difficile convincerli che Putin non è poi così pericoloso come sembra. In ogni caso la Repubblica Popolare ha ora in Europa un ruolo importante, che certo in precedenza non deteneva.

Nel frattempo Xi Jinping non cessa di far capire al mondo intero che considera Taiwan “roba sua”. Ogni volta che una delegazione del Congresso Usa si reca in visita nell’isola, l’aviazione cinese viola ripetutamente lo spazio aereo della Repubblica di Cina, che è il nome ufficiale di Taiwan, non riconosciuto da Pechino. Ciò lascia intendere che la leadership cinese non si fa distrarre più di tanto dall’Ucraina. Il suo scopo primario è rendere concreto lo slogan “Una sola Cina” che, sventuratamente, gli americani accettarono ai tempi di Nixon e Kissinger per riaprire i rapporti con Pechino e mettere in difficoltà l’Unione Sovietica, allora ancora potente.

Non v’è quindi speranza che la Repubblica Popolare rinunci al progetto di “riunire alla madrepatria” la ex Formosa nazionalista e fieramente anticomunista. Sta soltanto attendendo il momento giusto per colpire. Favorita dal fatto che l’Occidente con la presidenza Biden è indebolito, e che ex nemici come la Federazione Indiana e l’Arabia Saudita stanno prendendo posizioni sempre più anti-americane, come del resto la maggioranza dei Paesi africani e dell’America Latina.

Tuttavia Pechino non può certo trascurare il suo “cortile di casa”. E’ appena giunta, infatti, la notizia che ha firmato un accordo di “sicurezza” con le Isole Salomone. Si tratta di un arcipelago di circa mille isole, collocato nel Pacifico meridionale. Vanta una posizione strategica, di fronte a Papua Nuova Guinea e a circa 2 mila chilometri dalle coste australiane.

Ed è stata proprio l’Australia a lanciare l’allarme. Canberra è entrata recentemente nell’alleanza “AUKUS”, della quale fanno parte anche Stati Uniti e Regno Unito. Creata in funzione anticinese, la sua nascita causò tensioni con la Francia di Macron. L’Australia aveva infatti firmato un contratto con i francesi per l’acquisto di alcuni sommergibili convenzionali. A questo punto si inserì Washington offrendo agli australiani dei sommergibili nucleari. Parigi reagì con molta durezza per la perdita dell’affare. Ma una reazione assai forte giunse anche da Pechino, che accusò i Paesi della nuova alleanza di praticare una politica anticinese (il che era ovviamente vero).

Le Salomone sono soprattutto note per le grandi battaglie tra americani e giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale. La più celebre è quella di Guadalcanal, combattuta nel 1942, e terminata con il trionfo dei marines Usa e la sconfitta dell’esercito imperiale nipponico. Assieme alla grande battaglia navale di Midway, segnò un punto di svolta nel conflitto poiché, da allora, gli americani cominciarono ad avanzare e i giapponesi a retrocedere. A parte questi dettagli storici le Isole Salomone, ex protettorato britannico, sono diventate indipendenti nel 1978.

Hanno sempre avuto una vita politica agitata, con frequenti assalti alla locale comunità cinese che domina il commercio. L’Australia, che è la maggiore potenza regionale, è intervenuta più volte con l’invio di truppe per sedare i disordini. Canberra considera infatti le Salomone inserite nella sua sfera d’influenza, e non vede con favore l’attivismo di altre potenze. Naturalmente ha subito protestato contro la firma dell’accordo con Pechino, che rischia di attribuire alla Repubblica Popolare un ruolo dominante nell’arcipelago.

L’accordo, denominato “patto per la sicurezza”, assegna infatti alla Cina il “mantenimento dell’ordine sociale”, con l’impiego di polizia e personale militare. Le isole diventerebbero così un importante avamposto cinese nel Pacifico meridionale, con la prevista costruzione di una base militare della Repubblica Popolare a poca distanza dalle coste dell’Australia. Come riporta la Reuters, una delegazione statunitense di alto livello, guidata dal coordinatore indo-pacifico della Casa Bianca Kurt Campbell, ha incontrato ieri il leader delle Isole Salomone e ha avvertito che Washington avrebbe “preoccupazioni significative” e “risponderebbe di conseguenza” a qualsiasi passo per stabilire una presenza militare cinese permanente nelle isole. E’ in gioco, infatti, l’antica supremazia delle nazioni occidentali in questo importante settore del Pacifico, e la possibilità di frenare l’espansionismo cinese che negli ultimi tempi si è fatto sempre più aggressivo. Occorrerebbe, però, avere alla Casa Bianca un presidente più deciso e più lucido.

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