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Altro che sovranista ante litteram, Bettino Craxi voleva più Europa. E la ottenne

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“La lungimiranza di Craxi sarebbe stata utile negli ultimi 20-25 anni. Soprattutto, nel costruire una entità politica sovranazionale. Lui non era un nazional sovranista. Era un sovranista europeo. Puntava alle entità istituzionali sovranazionali, con un forte rispetto delle ragioni dei singoli stati”. Molto diverso dal sovranismo odierno di Meloni e Salvini? “Quello di Lega e FdI è nazional sovranismo. Antistorico, ci porta all’isolamento e alla sconfitta, e questi giorni sono da manuale”
(Rino Formica al Corriere, 10 Gennaio 2020)

Tra i molteplici articoli pubblicati in occasione dei vent’anni dalla morte di Bettino Craxi, il seguente ambisce a distinguersi per una peculiarità: chi vi scrive eviterà scrupolosamente le questioni Mani Pulite, tangenti e latitanza all’estero. Insomma, nemmeno una sillaba su l’Onestà. Non per questo tenteremo di giustificare i vizi dell’uomo lodandone la presunta competenza o il decisionismo. Ce ne frega, se fosse possibile, ancor meno. Ne analizzeremo invece alcune decisioni politiche e i loro risultati, come andrebbe fatto con chiunque, con l’obiettivo di rendere chiaro ai più giovani se la sua reputazione di sovranista ante litteram sia o meno meritata. Chi vi scrive, per essere franchi, ritiene non solo che non lo sia, ma che l’Europa e l’Euro possano legittimamente chiamare Bettino Craxi “papà” proprio come Stefania e Bobo.

“Monsieur Delors ci pregò di realizzare i ‘due grandi sogni per l’Europa’: un’area senza frontiere ed un’unione monetaria. Ogni esenzione o deroga che gli altri Paesi, come il Regno Unito, invocassero, era trattata alla stregua di un tradimento. Mi fu riferito che, tra un’occasione e l’altra, aveva denunciato ogni Paese membro tranne l’Italia, il Belgio e i Paesi Bassi. Il secondo premio per l’eurovelleitarismo va agli Italiani. I signori Craxi ed Andreotti ritenevano l’espansione dei poteri del Parlamento europeo la pietra miliare dei loro principi eurofederalisti.”

Margaret Thatcher, schietta di natura e per giunta estranea a qualunque contesa tra bande sulla figura di Bettino Craxi, ne tratteggia nella propria biografia la figura di un ultraeuropeista. Quella conferenza stessa, Lussemburgo 1985, è colpa di Craxi: è stato lui, dopo un bilaterale in cui le era parso “dolce e ragionevole”, a tradirla convocando una conferenza per modificare i trattati in senso eurointegrazionista. Peraltro, con una mossa spregiudicata: non si era mai votato prima in un Consiglio europeo, ma Milano 1985 è un’occasione speciale: non solo a fare gli onori di casa è il duo di peso Craxi (presidente del Consiglio) – Andreotti (ministro degli esteri), ma poche settimane prima gli sherpa (il tedesco Teltschik, il francese Attali e Renato Ruggiero) hanno concordato le mosse per eludere l’ostruzionismo britannico: alla Thatcher preme solo il Mercato Unico, di più Europa non vuole sentir parlare; e allora perché non metterla di fronte ad una scelta, Mercato Unico in una “logica di pacchetto” eurointegrazionista che necessiti di revisione dei trattati, o niente? Attali è particolarmente soddisfatto, secondo le note francesi raccomanda assoluta segretezza ai colleghi. A Milano, insomma, quando Craxi indice il voto per una conferenza intergovernativa straordinaria da tenersi a Lussemburgo, dei big a stupirsi è solo Margaret Thatcher.

Con lei votano Grecia e Danimarca, la battaglia è persa. “Il Consiglio Europeo con la peggiore presidenza cui abbia mai preso parte”, lo definirà lei. Per un funzionario britannico, “gli Italiani si sono lasciati un po’ trascinare dall’euroromanticismo, e dal sogno di mettere in scena una seconda [Conferenza di] Messina”.

I lavori della Conferenza di Lussemburgo daranno forma all’Atto Unico, il precursore della degenerazione politica e monetaria di Maastricht, facilitata come narrato di recente qui su Atlantico, da un ulteriore determinante contributo italiano, con stavolta Andreotti in posizione di comando e il socialista de Michelis al suo fianco. In cosa consiste per Bettino Craxi il fascino della moneta unica? Le note di un summit anglo-italiano suggeriscono una possibile risposta.

A quanto pare, tanto lui che il suo ministro degli esteri erano affascinati dal possibile ruolo internazionale di una moneta europea. Mi permetterò ora di avanzare ipotesi, inevitabilmente maliziose. Ampliarne a sufficienza il peso come valuta di riserva avrebbe significato sottrarre agli Stati Uniti parte del loro “exorbitant privilege”, non doversi più perennemente preoccupare della bilancia dei pagamenti, e dunque ritrovarsi con maggiori spazi per l’impiego pubblico improduttivo e inefficienti progetti di sviluppo industriale, nonché libertà di manovra nei rapporti con il mondo arabo.

Eppure, incurante della realtà storica, a vent’anni dalla morte la volubile moda pare voler imporre, di un uomo le cui credenziali di europeista nessuno dei suoi contemporanei avrebbe osato dubitare, l’immagine, cui alludevamo in precedenza, di sovranista ante litteram. Di cosa si nutre, questa immagine? Del seguente discorso, ad esempio, pronunciato nel giugno 1984 all’assemblea nazionale del PSI.

“A volte la Germania sembra lavorare per indebolire l’Europa. L’asse franco-tedesco è un grave errore. Sarò pacato, ma sono abituato a chiamare gatto il gatto. Kohl si muove a piccoli passi, con cose dette e non dette. Esca allo scoperto perché l’Italia, la sua macchina economica, si è agganciata alla ripresa internazionale, e questo sembra dar fastidio ai tedeschi. Il nostro governo non può tollerare il lavorio, il tramestio, il manovrio. Se chi lavora nell’ombra non uscirà allo scoperto saranno dunque i socialisti a denunciare il pericoloso duopolio che danneggia e danneggerà in futuro il resto d’Europa. Il recente accordo tra Francia e Germania mette a rischio gli intenti e il benessere di tutti, in favore di una super-nazione nel cuore del continente. Pensare ad un’Europa costruita su un asse franco-tedesco sarebbe un grave errore e provocherebbe reazione, disaffezione, e alla fine distacco dalle altre nazioni.”

Craxi rivelò i propri timori sul bilateralismo franco-tedesco anche nelle conversazioni con la Signora Thatcher:

Si notino tuttavia le diverse reazioni dei due alla minaccia franco-tedesca. Per lui, evitare un’Europa intergovernativa franco-tedesca è possibile sviluppando un’unione federale con maggiori poteri per il Parlamento europeo. Insomma, gli Stati Uniti d’Europa democratici cui cedere tutti maggiore sovranità, caposaldo ancora oggi della tradizione eurosognatrice italiana. Per lei, genuinamente sovranista, dissolvere il Regno Unito in un’Europa federale è fuori discussione; la soluzione è (oltre che domare, e autonomamente, andrebbe osservato, i propri problemi finanziari) avvicinarsi il più possibile agli Stati Uniti, assecondarne i desideri ed accettarne l’egemonia, pur di averne il supporto contro le ambizioni franco-tedesche. La questione Libia è la cartina di tornasole delle differenze tra i due. Quando nell’aprile 1986, in reazione all’attentato ad una discoteca di Berlino Ovest comunemente frequentata da militari americani, Reagan ordina un attacco al leader libico Gheddhafi, lei è immediatamente disposta a fornirgli il suo aiuto, nonostante la contrarietà degli elementi più leali del suo governo. L’Italia, con Francia e Spagna, rifiuta invece agli Stati Uniti tanto il diritto di sorvolo quanto l’uso delle basi, costringendo l’Air Force ad aggirare il cuore del continente e servirsi di Gibilterra. Lei commenterà qualche anno dopo per un documentario della BBC, in una clip divenuta ormai celebre:

“Ebbe l’effetto di consolidare l’alleanza anglo-americana. A che serve avere basi, se quando vuoi usarle ti è proibito farlo? Rese chiaro all’America che nel momento del bisogno era la Gran Bretagna il suo vero amico, e nessun altro in Europa. Sono una manica di deboli, certi europei, lo sa? Deboli. Fragili.”

Come Giulio Andreotti ha autorevolmente confermato, non solo Craxi rifiutò a Reagan il proprio sostegno, ma chiese al proprio consigliere diplomatico Antonio Badini di avvertire l’ambasciatore libico in Italia, consentendo a Gheddafi di salvarsi. La ritorsione libica si manifestò puntuale, nella forma di un attacco missilistico contro Lampedusa, che non determinò tuttavia alcun danno. C’è motivo di credere, insomma, che sia proprio alla nostra Italia che la Signora Thatcher alludeva in quella dichiarazione.

Tutto questo ha luogo, peraltro, sei mesi dopo la stranamente più celebre pantomima di Sigonella. Forti dell’esempio della Thatcher, è impossibile non osservare che i due episodi, lungi dall’essere la rivendicazione di sovranità descritta da alcuni, rappresentano piuttosto un distanziarsi dall’Anglosfera che ha privato l’Italia di alternative valide all’adesione totalizzante al progetto europeo.

Incapace di rinunciare alle proprie velleità di autonomia strategica nei rapporti con i Paesi arabi; avido di preservare il proprio potere nella sfera economica, e pertanto interessato ad esplorare alternative alla banale indipendenza monetaria italiana, con la disciplina che essa avrebbe richiesto, non c’è da stupirsi che persino un uomo come Bettino, apparentemente distante dal fiacco europeista comune, abbia tanto alacremente lavorato per l’integrazione europea, e sacrificatole la sovranità nazionale.

Anche le tardive critiche a Maastricht non fanno che confermare questa visione. Laddove Margaret Thatcher si strugge per i rischi all’identità nazionale, le cessioni di sovranità ed il rischio che l’istituzione di una cittadinanza europea comprometta il dovere di fedeltà che ogni cittadino britannico deve al Regno (video), lui è molto più prosaicamente preoccupato dai parametri economici (video). Insomma, Bettino Craxi non può dirsi un sovranista. Ma, se contro i miei auspici, fosse reputato tale, povero sovranismo italiano, e povera Italia!

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