Quanto accaduto contemporaneamente in Spagna, Portogallo e Sud della Francia, ossia un totale blackout nella fornitura di energia elettrica, deve farci riflettere. Su queste pagine, ho più volte trattato questo argomento, principalmente parlando dei suoi aspetti sistemici e strategici, ossia affrontando il problema dal lato delle principali criticità di una rete di comunicazione globale basata sempre più sulla connessione internet e sullo sconsiderato e crescente veicolamento di ogni tipo di comunicazione e controllo remoto tramite il web e la rete telematica.
Da oltre dieci anni sono un convinto sostenitore di ciò che ho battezzato “One step behind”, un passo indietro nella corsa verso il pensionamento di tecnologie affidabili e collaudate (prima fra tutte la connessione radio point-to-point , quella tra un trasmettitore ed un ricevitore senza intermediari tecnici frapposti) a favore della rete globale delle comunicazioni, di cui internet è la massima e più estesa espressione.
Mitigazione del danno
Rimandando il lettore a quegli articoli, vorrei invece affrontare oggi alcuni aspetti che riguardano maggiormente le ricadute pratiche di possibili eventi interruttivi della normale diffusione di comunicazioni d’ogni genere e le contromisure praticabili da ciascuno di noi, ossia tutto quanto riguardi, più che la previsione e lo studio delle possibili cause (materia squisitamente inerente l’intelligence e quella dell’ordine pubblico), la mitigazione dei suoi effetti devastanti, quando fatti come quelli accaduti in Spagna assumano una dimensione territoriale tanto ampia da mettere in ginocchio un’intera nazione.
Potremmo dire che due sono le fasi più significative del problema. La prima riguarda ciò che si possa fare subito, sic stantibus rebus, in attesa di una seconda fase che, a mio avviso, dovrebbe basarsi su elementi strutturali e ingegneristici per fortificare l’infrastruttura nazionale delle comunicazioni di sicurezza e il funzionamento d’ogni apparato civile, industriale o militare che sia, il cui guasto ci riporti all’epoca delle lampade a petrolio e dei meccanismi azionati a mano e della quasi inesistente informazione globale.
Un salto indietro di almeno duecent’anni, al quale nessuno di noi è preparato. Si potrebbe obiettare, a questo punto, che la durata di tale brusco ritorno all’epoca pre-industriale non potrebbe, comunque, avere una durata superiore a qualche giorno, nella più pessimistica valutazione di scenario, con una stima della durata media di un blackout totale di circa 12 ore.
Ma quali e quanti danni potrebbero apportare alla vita reale di tutti il ripetersi di tali guasti o, peggio ancora, la concomitanza di più eventi dannosi su larga scala, come ad esempio potrebbero essere un grande terremoto associato ad una diffusa mancanza di energia elettrica? Sono quasi inimmaginabili gli effetti a catena che potrebbero derivare dal verificarsi di qualcosa che non si sia ancora sperimentato su larga o larghissima scala e la materia non parrebbe avere i caratteri di preminenza assoluta e attenzione, se non nelle segrete stanze dell’Intelligence, che una efficace pianificazione di protezione civile e difesa civile (sono cose diverse…) dovrebbero avere.
Un esempio recente di concomitanza di vari fattori (interconnessi o meno) è quello dei recenti estesissimi incendi californiani, associati a blackout elettrico per interi giorni.
Anno dopo anno, se non mese dopo mese, il problema sembra diventare più presente sulla stampa internazionale, mentre sembra ancora latitare nei programmi della politica, più attenti a perorare cazzate madornali come la transizione green e altre cause e concause di possibili rischi, come un blackout di dimensioni quasi europee, piuttosto che a informare e mettere in campo risorse e strategie che possano mitigarne gli effetti più gravi.
Ovviamente, è impossibile risolvere in quattro e quattr’otto una criticità tanto inusitata quanto possibile, ma gli esperti di scienze statistiche e attuariali potrebbero darci ben più d’un motivo per occuparcene fattivamente, perché sempre più presente nel panorama dei nuovi rischi di una civiltà ormai giunta ad un punto critico, quello dell’ipertrofia informatica (mi sia concesso il concetto).
Autodifesa e statalismo
Ciò nondimeno, come spesso accade, i grandi problemi possono essere affrontati con piccole misure di prudenza, ispirate a principi diffusi in altri stati, misure che gli anglosassoni definiscono come readiness, mentre da noi, statalisti per indole e per scelta elettorale, preferiamo aspettare che sia lo Stato a toglierci dai guai, piuttosto che preoccuparci di un nostro sistema di auto-difesa a livello individuale o famigliare.
La prima domanda che viene rivolta ai giornalisti tv dopo una catastrofe è invariabilmente la stessa: “E lo Stato dov’è?”. Mai che ci si chieda cosa si sarebbe potuto fare autonomamente per almeno limitare i danni in caso di disastro. Altrettanto improbabile che ci si doti di sistemi di backup, fonti energetiche realmente autonome, comunicazioni personali e svincolate dalla rete di telefonia pubblica.
Noi siamo e rimarremo statalisti: è lo Stato che deve pensare a noi, salvo poi lamentarci se diventa troppo intrusivo. Un problema vecchissimo e apparentemente senza soluzioni. Il fai-da-te, in Italia, è sinonimo di dilettantismo e, peraltro, non gode di alcun incentivo.
Fotovoltaico ed eolico
Sia d’esempio la crescente installazione domestica di impianti fotovoltaici. Si mettono i pannelli solari per renderci indipendenti dall’elettricità di stato (poiché è sempre Enel a produrla)? No, e legalmente non è nemmeno del tutto ammesso farlo, ad oggi. Si mettono i pannelli per spendere meno in bolletta, da pagare sempre agli stessi, qualunque logo utilizzino. Punto.
Quale possa essere il contributo di anche troppi impianti fotovoltaici ed eolici a causare il sovraccarico di linea, ormai endemico, molti scienziati ne stanno scrivendo pagine e pagine e pare proprio che vi sia un rapporto di causalità, così come paiono sensate le preoccupazioni di chi prevede sempre più pericolosi picchi di consumo elettrico per il crescente numero di auto elettriche sotto carica.
Guerra ibrida
Non parliamo qui, proprio perché ne ho parlato altre volte su questo quotidiano, della possibilità che blackout diffusi come quello iberico possano essere il risultato, se non l’obiettivo, di attacchi informatici, da parte di chiunque v’abbia interesse e che proprio quello sia un nuovo tipo di guerra ipotizzabile. Tutto assolutamente possibile, ma il guaio è che, almeno finora, nessuno ci ha aiutato a renderci meno vulnerabili a livello individuale.
Il blackout del 2003
Non ero in Spagna nei giorni scorsi, ma ero in Italia nel settembre 2003, quando quasi tutta la nazione rimase senza energia elettrica per oltre 12 ore. Non vi furono dei morti (che si sappia) soltanto per il fatto che il blackout iniziò in piena notte e l’erogazione dell’energia elettrica riprese nel primo pomeriggio del giorno successivo, ma quali e quanti danni arrecò lo ricordo benissimo, a cominciare dalle persone (tra le quali chi scrive) rimaste bloccate nei tanti condomini il cui portone fosse azionabile soltanto elettricamente, dalle persone rimaste chiuse in ascensore, dei malati attaccati ad apparati di respirazione forzata ecc.
Uscii passando dalla finestra dell’appartamento a piano terra di due esterrefatti vecchietti che mi fecero entrare in casa in piena notte. Quel portone era sprovvisto di apertura manuale d’emergenza e la chiave, se messa dall’interno, girava a vuoto, per un guasto mai riparato da decenni. Per fortuna, in quell’occasione, i motogeneratori (a gasolio) di ospedali e strutture di soccorso (ove presenti) partirono subito e i ripetitori della più importante compagnia di telefonia mobile, alimentati con accumulatori, continuarono a funzionare per quasi tutto il tempo del blackout. Ma se fosse successo in pieno giorno, come in Spagna?
Restare informati
Capitasse, oltre vent’anni dopo, la stessa cosa del 2003 in Italia? Da una parte, nel frattempo, è aumentata la resilienza dei sistemi di distribuzione elettrica e delle comunicazioni radiomobili, questo sì, ma è anche aumentato a dismisura il numero dei sistemi tecnologici basati su internet (drammaticamente sempre il primo a cadere) e diminuito di almeno il 70 per cento l’uso di comunicazioni via radio “pure” ossia quelle non interfacciate con la rete informatica.
Tutto ciò delinea uno scenario inquietante, qualcosa che non possiamo più relegare nelle “varie ed eventuali” e che bisogna, al contrario, mettere tra le urgenze nazionali.
Un aspetto importantissimo, collegato al sopra accennato diffuso sentimento per cui si pretende sia sempre e solo lo Stato a pensare alla nostra sicurezza, è quello del restare informati in caso di blackout elettrico, di qualsiasi natura esso sia.
In ogni famiglia e in ogni ufficio, come succede, per fare un esempio, negli Stati Uniti, dovrebbe esserci una radiolina con batterie sempre cariche, meglio ancora se del tipo con piccola dinamo a manovella – di moltissimi modelli, costano circa 50 euro online, sono quasi tutte dotate di funzione di ricarica USB per ricaricare i telefonini e d’una efficiente torcia a LED.
Restare informati sull’estensione del problema, sui soccorsi in atto e sull’evoluzione della crisi è fondamentale e possibile, anche perché le principali emittenti radiofoniche nazionali e locali hanno sistemi di continuità elettrica che possono diffondere notizie e comunicati ufficiali, laddove anche il più recente sistema di comunicazione d’emergenza nazionale (IT-ALERT), essendo affidato al funzionamento dei ponti ripetitori di telefonia radiomobile, potrebbe andare in crisi. Ancora una volta si è scelto di veicolare un sistema di comunicazione d’emergenza ufficiale sulla rete informatica. E se cadesse pure quella? Non è ipotesi tanto peregrina…
Cambio di mentalità
A nulla serve, se non sia pure dannoso, l’atteggiamento dell'”ottimista”, quello che spera sempre che la cosa non succeda o che succeda, semmai, ad altri. Temo che questo genere d’inconvenienti, per definirli così, accadranno sempre più di frequente, per una serie di motivi inerenti le svariate loro cause. Che si tratti di terrorismo, di infrastrutture tecnologiche ormai al collasso, di inefficienza o trascuratezza, poco cambia.
Quando, oltre quarant’anni fa, mi trovai a discutere la tesi di laurea in medicina legale delle catastrofi, ricordo bene un componente della commissione di laurea (peraltro noto politico e poi amministratore pubblico) che ci confessò candidamente di aver ascoltato tutta la dissertazione nel gesto apotropaico più classico in Italia, quello con la mano in basso. Con quell’atteggiamento si farà sempre poca strada. Cornetti rossi e mani sulle palle servono solo a renderci più esposti ed inermi.
Insomma, il succo di questo discorso è riassumibile in poche parole: sarebbe auspicabile (poi, ciascuno faccia quel che crede..) affrontare il discorso spinoso delle nuove possibili emergenze nazionali, prima fra tutte quella del blackout elettrico, con una mentalità profondamente diversa da quella che sembra a ver prevalso finora: prima di chiedere aiuto allo Stato.
Proprio nel momento in cui la sua struttura di emergenza viene messa alla frusta, sarebbe meglio, quantomeno, dotarsi di una piccola attrezzatura individuale, un piccolo sistema di autosufficienza energetica e informativa, magari anche attraverso l’utilizzo di un piccolo motogeneratore a benzina, una buona e piccola radio con batterie ricaricabili a mano, una torcia efficiente e, perché no… il ritorno ad un maggiore utilizzo dei walkie-talky (nel rispetto della normativa che ne regolamenta l’utilizzo) almeno per restare in contatto con le persone più vicine.
Rendersi il più possibile autonomi nelle eventuali emergenze è un fattore determinante, quanto ingiustamente trascurato, perché lo Stato (inteso come la struttura nazionale di assistenza e soccorso) non può tutto, ha i suoi tempi d’intervento e le sue priorità. Ogni chiamata in meno al numero unico d’emergenza, può lasciare la linea (e i non innumerevoli operatori della centrale) liberi per chi abbia più bisogno di noi e, in sostanza, migliorare ed accelerare i soccorsi ove necessitino. Magari sarebbe proprio la ormai desueta radiolina a darci le risposte che cerchiamo. Aiutati che il ciel t’aiuta.