Esteri

AfD non smette di crescere, il cordone sanitario non regge più

Un partito di protesta, trasversale, con molte contraddizioni al suo interno. La strada della criminalizzazione non ha mai funzionato

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La politica tedesca sta cambiando volto, e più in fretta di quanto ci potessimo aspettare. Sembrano remoti i tempi in cui l’Unione Cristiano-Democratica (CDU) e il Partito Socialdemocratico (SPD) si contendevano la guida del Bundestag, finendo magari per governare insieme. Oggi quella traiettoria è deviata da una mina vagante: Alternative für Deutschland (AfD), forza politica agli antipodi dei tradizionali partiti di massa.

La nascita di AfD

Nata nel febbraio 2013 come movimento euro-realista in opposizione alle misure economiche di Bruxelles, AfD vedeva la presenza di esponenti della Mitterecht (cristiano-democratici e liberali in primis) desiderosi di un’alternativa al governo Merkel. La piattaforma originaria è naufragata dopo la sterzata verso il populismo di destra, una mossa sgradita ai fondatori Bernd Lucke e Frauke Petry, che di lì a poco avrebbero lasciato il partito.

Nell’arco di quattro anni i consensi di AfD si sono moltiplicati fino a superare la doppia cifra. Alle elezioni federali del 2017 AfD diventa il terzo partito ed entra in Parlamento. Per la prima volta dal Dopoguerra, in Germania sono stati eletti deputati alla destra di Cdu-Csu.

Un fenomeno non compreso

Come prevedibile, è cominciata la reductio ad hitlerum dei nuovi arrivati – stranamente ad opera degli stessi commentatori che non hanno capito nulla di Donald Trump e della Brexit. È facile attribuire il cambiamento alle presunte pulsioni reazionarie dei deplorables; è meno facile esaminare, con un’analisi critica e avulsa da pregiudizi, i fattori che hanno determinato la disgregazione dello status quo.

Guardando la mappa dei Länder tedeschi, balza all’occhio un particolare: AfD va forte nelle regioni che facevano parte dell’ex DDR. Proprio dove i post-comunisti della Linke primeggiavano fino al decennio scorso. Un travaso da un opposto all’altro? In parte, ma il discorso è più complesso di così. Il nostro focus si concentrerà su due Länder orientali, Turingia e Sassonia-Anhalt, in cui ha avuto luogo un terremoto politico senza precedenti.

Vittorie locali

Il 25 giugno si sono tenute le elezioni suppletive nel circondario di Sonneberg, un distretto rurale al confine tra Turingia e Baviera. È un territorio dal valore simbolico: rappresenta, infatti, l’unità amministrativa meno popolosa (57 mila abitanti) dell’intero Paese.

Sonneberg ha un contesto socio-economico sfavorevole, gravato dal decremento demografico (-34 per cento dal 1975 al 2015). La marginalità è una tra le cause che spingono gli abitanti dell’Est, Sonneberg compresa, a scegliere AfD.

Il candidato di AfD, Robert Sesselmann, ha vinto il ballottaggio contro Jürgen Köpper della CDU con il 53 per cento dopo aver sbancato al primo turno (47 per cento). Sesselmann è il primo governatore distrettuale mai eletto dal partito azzurro. I veti incrociati di SPD e Linke non sono bastati ad arginare l’impresa di AfD, che in tutta probabilità ha sottratto voti anche agli avversari di sinistra.

Lo stesso scenario è avvenuto domenica scorsa a Raguhn-Jessnitz, villaggio sassone di 9 mila abitanti. Qui Hannes Loth è stato eletto primo sindaco di AfD con il 51 per cento, sconfiggendo di misura il candidato indipendente Nils Naumann.

Manca tutt’oggi un governo regionale con AfD, ma visti i trend sembra un’eventualità da non escludere. Un primo esperimento in tale direzione (non andato in porto) risale ad inizio 2020: la nomina di Thomas Kemmerich a governatore della Turingia con i numeri decisivi di AfD. Le durissime proteste che ne sono conseguite hanno però impedito l’insediamento, tanto da costringere Kemmerich alle dimissioni in meno di una settimana.

Partito di protesta

AfD ha fatto della sua vocazione alla trasversalità un punto di forza, può essere considerato un partito pigliatutto. Da un lato, ha riempito un vuoto lasciato da Frau Merkel: l’esistenza di uno spazio identitario e conservatore, storicamente presidiato dai cristiano-democratici. Dall’altro, ha catalizzato lo scontento di vaste fasce della popolazione ignorate da Berlino.

Catalogare sic et simpliciter AfD come partito di estrema destra è una banalità. Certo, negli ultimi anni ha accolto delle istanze che sono al limite dello sciovinismo sociale. Ha flirtato con organizzazioni poco raccomandabili, come Pegida. Ha promosso dei Kulturkampf dal retrogusto völkisch. Ma sarebbe disonesto negare che AfD sia l’approdo di molti ex socialisti, ex verdi e, addirittura, ex comunisti disillusi dalla politica.

Insomma, AfD ha costruito un’immagine che lo ha reso un partito di protesta da manuale. Tuttavia, verrà il giorno in cui si dovrà passare dalla protesta alla proposta. E, stando ai sondaggi, è questione di attimi. I principali istituti demoscopici danno AfD intorno al 20 per cento, seconda solo alla CDU di Friedrich Merz (27 per cento).

Il partito deve risolvere le tante, troppe contraddizioni interne. La leader Alice Weidel si dichiara una seguace di Hayek e della scuola austriaca, ma in AfD sono presenti rigurgiti statalisti, contro il libero mercato e l’Occidente. I (pochi) liberalconservatori sono messi in ombra dalle fazioni più estreme, come Die Flügel (“L’ala”) di Björn Höcke. Una curiosa reminiscenza dei gabbiani di casa nostra.

La criminalizzazione di AfD

Il Tribunale amministrativo di Colonia ha stabilito nei confronti di AfD, e in particolare la sua federazione giovanile, la sorveglianza speciale da parte dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione (BfV) come sospetto gruppo estremista di destra e minaccia per la democrazia.

Politicamente, esiste un vero e proprio cordone sanitario. Tutte le forze politiche hanno escluso apparentamenti o alleanze formali con AfD. Oltre 5 milioni di voti sono congelati sine die. È chiaro che questa strategia non paga in termini elettorali e rischia, piuttosto, di radicalizzare un segmento non esiguo di cittadini tedeschi.

Perché usare uno stigma a senso unico? Pensiamo alla giunta rosso-rosso-verde che guida la città di Berlino. Nessuno si permetterebbe mai di sindacare la presenza della Linke negli organismi locali. Eppure è la stessa Linke ad aver accettato che nel Görlitzer Park si tracciassero delle linee rosa entro le quali gli spacciatori possono “lavorare” tranquillamente. Avete capito bene: condiscendenza nei confronti di chi semina il panico e smercia droghe persino ai bambini. Costoro sarebbero meglio di AfD?

In vista delle Europee

AfD è a un bivio: continuerà ad essere un partito di protesta, crogiolandosi tra qualche affermazione, o diventerà una forza di governo? Innanzitutto, deve liberarsi dalla zavorra anti-occidentale e del putinismo al suo interno.

Il vicepremier Antonio Tajani ha chiuso le porte in faccia ad AfD. A proposito delle prossime elezioni europee, il leader pro tempore di Forza Italia ha affermato che non è possibile alcun accordo né con Alternative für Deutschland, né con il Rassemblement national di Marine Le Pen, aderenti entrambi al gruppo di Identità e Democrazia.

Comprensibili i sospetti verso chi dimostra pericolose ambiguità. D’altro canto, sarebbe meglio mettere da parte le posizioni aprioristiche in sede europea. Se si vuole evitare l’ennesima maggioranza ibrida, è necessario dialogare anche con i partiti estromessi dai meccanismi decisionali. La strada della criminalizzazione non ha mai funzionato.

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