Esteri

Biden prigioniero dell’elettorato musulmano e radicale

Da Israele un post-Hamas “inclusivo” che non dispiacerà ai sauditi. Scenari di guerra con Iran e Hezbollah. Rischio guerra civile a pezzi negli Usa. Parla Alexandre Del Valle

Biden-Netanyahu © 200mm tramite Canva.com

Alexandre Del Valle è un politologo, saggista e funzionario francese. Docente di Geopolitica dell’Islam all’Università europea di Roma. È co-fondatore dell’Istituto Daedalos di geopolitica del Mediterraneo di Cipro (Università di Nicosia) e membro del Center of Political and Foreign Affairs dell’Institut Choiseul. Del Valle è unanimemente riconosciuto come uno dei massimi esperti di geopolitica e di fondamentalismo islamico.

Scenari di guerra Israele-Iran

DAVIDE CAVALIERE: Teheran, nella notte tra il 13 e il 14 aprile, ha attaccato direttamente Israele con missili da crociera e droni. È possibile una guerra “aperta” tra i due Paesi?

ALEXANDRE DEL VALLE: Da geopolitologo e stratega darei una risposta con due scenari. Primo scenario: l’Iran avrebbe già a disposizione un’arma nucleare pronta a essere lanciata, “proiettilizzata”, e come Israele tiene questo fatto nascosto. In questo caso, lo Stato ebraico non potrebbe fare una guerra “statale” contro l’Iran, sarebbe troppo tardi. Questo scenario è quello che ritengo meno credibile. Israele, infatti, avrebbe già mosso una guerra preventiva se il regime iraniano fosse vicino all’arma atomica.

Eppure, alcuni analisti ritengono che sia così. I persiani sono gli inventori degli scacchi, non sono né i palestinesi né i pakistani, sono molto preparati e con una élite ancora forte. I giovani non sono tutti filo-occidentali, questa è una cosa che ci diciamo per sognare, esiste una parte consistente della popolazione a favore del regime.

Se fosse vero il primo scenario, vi sarebbe un “dialogo strategico” costituito da prove e dimostrazioni di forza. Ad aprile, l’Iran ha dimostrato di poter lanciare droni e missili potenzialmente in grado di bucare le difese israeliane; mentre Israele ha dimostrato di poter reagire prontamente e colpire infrastrutture strategiche.

Secondo scenario: l’Iran non avrebbe ancora la capacità atomica o, almeno, sarebbe alla soglia dell’arma nucleare. Il regime, ufficialmente, è in grado di arricchire all’80 per cento l’uranio, qualcuno dice il 90, dunque è già nelle condizioni di fabbricare una bomba, ma momentaneamente privo della tecnologia per dotare i missili dell’ogiva nucleare.

In questo caso, Israele avrebbe ancora tempo per colpire. In ogni caso, Israele dovrebbe estendere la sua guerra da Hamas ai proxy dell’Iran. Altrimenti, in caso di guerra diretta con gli ayatollah, ci sarebbero più fronti aperti: le milizie sciite libanesi, quelle irachene, gli Houthi dello Yemen, Hamas a Gaza. In vista di una probabile guerra con l’Iran, Israele deve distruggere gli alleati degli iraniani ai suoi confini. Gli americani potrebbero supportare Israele nel Mar rosso e in Iraq.

Il ruolo nel 7 Ottobre

DC: Quale ruolo ha giocato Teheran nel massacro del 7 Ottobre?

ADV: È certo che l’Iran abbia fornito supporto ad Hamas. Yahya Sinwar è stato nominato, de facto, dagli ayatollah. Ma il piano deve essergli sfuggito di mano. Non è nella tradizione sciita compiere atrocità come Daesh. Hezbollah non ha mai raggiunto livelli simili di atrocità. Non ne sto parlando bene, ma riconosco che l’islamismo sciita è più “cavalleresco” rispetto a quello sunnita. È nella tradizione di Hamas, della lotta palestinese, non avere regole né morale.

Il fronte nord

DC: Da Hezbollah giungono in continuazione attacchi contro Israele. Siamo vicini a una nuova invasione del Libano?

ADV: È molto probabile che non vi sarà un’invasione totale del Libano come quella del 1982. Per fare una cosa simile sarebbe necessario avere degli alleati in loco. Negli anni Ottanta vi erano drusi e cristiani, persino alcuni sciiti, a sostegno degli israeliani; al contrario, adesso, vi è un’unanimità anti-israeliana. Anche i cristiani, oggi, non più organizzati in milizie, non possono sostenere Israele.

La mia convinzione è che il governo israeliano stia approntando il ritorno, reale, alla risoluzione dell’Onu del 2006, che in cambio del ritiro israeliano impose a Hezbollah di collocarsi a 30 km dal confine con il settentrione dello Stato ebraico. Il minimo richiesto da Israele è l’allontanamento di Hezbollah dal confine di almeno 50 km. Vi saranno interventi duri in Libano, ma nessuna invasione.

Vi è anche un approccio diverso rispetto a quasi vent’anni fa: nel 2006, Hezbollah era considerato diverso dal Libano, adesso le due entità sono considerate simbiotiche. Il Libano è ritenuto corresponsabile degli attacchi nel nord d’Israele, pertanto è considerato bersaglio legittimo come tale. Questo è il piano di Netanyahu, contrario però alla volontà americana.

Biden prigioniero

DC: È ragionevole ritenere che Israele stia attendendo un’amministrazione diversa dall’attuale, prima d’incrementare il proprio impegno bellico in Libano?

ADV: Sono d’accordo col sottinteso della domanda. Joe Biden, presuntivamente filoisraeliano, sembra piuttosto sincero in questa lotta, ma prima delle elezioni non può lasciar fare Israele perché è prigioniero dell’elettorato musulmano, di quello nero e dell’ala radicale del suo partito, ormai “marxizzata”, il cui terzomondismo è molto più forte rispetto a trent’anni fa. Il che obbliga un dirigente democratico a essere meno filoisraeliano di un tempo. Lui è costretto ad attendere la seconda elezione, quando non avrà nulla da perdere e vorrà lasciare un segno nella storia.

Sono quasi sicuro che, in seguito alle elezioni, l’America lascerà maggiore spazio a Israele. I dirigenti occidentali sono diversi da quelli cinesi, per esempio, non designano un erede o una linea di partito. Biden, dopo le elezioni, agirà senza curarsi del futuro del Partito Democratico. Donald Trump farà lo stesso, lo ha già detto: che Israele faccia quello che deve fare, purché lo faccia in fretta. Inoltre, è molto vicino alla “lobby evangelica”, fortemente sionista.

Guerra civile a pezzi

DC: Cosa si aspetta dalle future elezioni americane?

ADV: Mi aspetto qualcosa di nuovo, come oggi in Francia, dove destra moderata e radicale convergono. L’establishment è nel panico. Negli Stati Uniti andrà peggio. Se vince, nuovamente, Trump, non sarà la vittoria di un “fascista” che ha “attentato alla democrazia”, ma la vittoria di un “anti-imperialista”, ossia di un realista in politica estera ostile all’idea degli Stati Uniti come “impero”, che intende ridurre fortemente il ruolo di Washington nel mondo.

Sarebbe il ritorno alla “Repubblica”, il contrario di quanto avvenuto con l’Impero romano. Lo “stato profondo”, che non è una figura complottista, bensì la burocrazia che regge uno Stato moderno, non accetterà mai tale contrazione dell’impero. Possiamo aspettarci qualunque cosa da un establishment nel panico.

Tutto l’Occidente è caratterizzato da una polarizzazione tremenda e pericolosa: il sistema consolidato accusa gli outsiders di “nazismo”, dall’altra parte i movimenti populisti e identitari sono sempre più complottisti e ugualmente demonizzano gli avversari. Dalla demonizzazione, come insegna la storia, si passa rapidamente alla violenza. Avremo una guerra civile “a pezzi”, come il Papa ha parlato di una guerra mondiale “a pezzi”.

La sorte degli Accordi di Abramo

DC: Tornando al Medio Oriente: gli Accordi di Abramo del 2020 si fondavano sulla comune necessità di contenere la minaccia iraniana. Se tale pericolo venisse meno, quale futuro avrebbero i suddetti Accordi?

ADV: Siamo molto lontani dallo sconfiggere l’Iran. Se anche Israele distruggesse Hezbollah, Hamas, gli Houthi… gli Accordi di Abramo continuerebbero ad avere una lunga vita, almeno per una decina di anni. Penso persino che il regime iraniano cadrà da sé perché è corrotto. Tale corruzione si riflette persino sulla qualità dell’approvvigionamento energetico.

I Pasdaran, che sono il vero potere in Iran, hanno “gangrenizzato” il Paese. Come l’Urss, la teocrazia iraniana è destinata a crollare, ma ci vorrà del tempo perché questo regime ha a sua disposizione ingenti mezzi. Hanno la possibilità di ammazzare fino a 300.000 persone e lo faranno pur di mantenersi al potere. Se Israele riuscisse a rovesciare il regime, come si aspettano alcuni militari, e tornasse un regime filo-occidentale come quello dello Scià, gli Accordi vedrebbero dimezzata la propria speranza di vita.

Bisogna aggiungere, che se la minaccia sciita è la principale ragion d’essere di tali accordi, questi rientrano in un ambizioso piano di “modernizzazione” e sviluppo economico, che tiene insieme Europa, Israele, Paesi del Golfo e India. È la “Via indiana”, opposta a quella cinese “della Seta”, che unisce Europa e India attraverso le petromonarchie del Golfo.

Il conflitto con Hamas non ostacolerà il prosieguo degli Accordi. Israele sta elaborando un post-Hamas “inclusivo”, con l’intento di affidare Gaza ai beduini e a ex funzionari di al-Fatah messi a margine da Hamas. Una soluzione che non scontenterà i Sauditi, il Bahrain e persino la Siria.