Esteri

Dietro il cambio di rotta di Netanyahu un accordo più profondo con Trump

A convincerlo non i contenuti dell’accordo con Hamas, ma il mutato contesto politico: con Trump una prospettiva strategica in linea con gli interessi a lungo termine di Israele

Trump Netanyahu (PBS)

La recente intesa tra Israele e Hamas rappresenta una delle più complesse e controverse operazioni diplomatiche nella storia recente del conflitto israelo-palestinese. Il cessate il fuoco, frutto di una mediazione condotta sotto l’egida di Stati Uniti, Egitto e Qatar, prevede una tregua iniziale di 42 giorni.

Durante questo periodo, Hamas rilascerà 33 ostaggi israeliani – tra cui donne, bambini e anziani – in cambio della liberazione di oltre 1.000 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Un punto chiave dell’accordo è anche l’ingresso quotidiano di 600 camion di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, devastata da mesi di conflitto.

Ma ciò che colpisce maggiormente non è il contenuto dell’accordo, bensì il contesto politico e strategico in cui è maturato.

Netanyahu riluttante e pressione americana

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è mantenuto coerente nella sua opposizione radicata a qualsiasi trattativa con Hamas. Negli ultimi due anni, ha costantemente puntato alla distruzione completa dell’organizzazione islamica fondamentalista, definita non solo un’entità terroristica ma una minaccia esistenziale.

La firma di questo accordo di tregua segna un netto cambio di rotta, reso possibile, tuttavia, solo dopo un incontro cruciale con Steve Witkoff, il rappresentante speciale per il Medio Oriente del presidente-eletto Donald Trump.

Netanyahu, che fino a pochi giorni prima aveva ribadito la sua linea intransigente, si è trovato costretto a piegarsi alle pressioni americane. L’incontro con Witkoff ha avuto un impatto decisivo: da un lato, Witkoff ha sottolineato l’urgenza di una soluzione che placasse le tensioni regionali; dall’altro, ha offerto a Netanyahu una prospettiva strategica in linea con gli interessi a lungo termine di Israele.

Il ritorno dell’influenza globale Usa

La tempistica dell’accordo non è casuale. Con l’insediamento di Trump alla Casa Bianca previsto per il 20 gennaio, Netanyahu ha voluto consegnare all’alleato un successo diplomatico che sottolineasse il ritorno degli Usa come attore influente e dominante sulla scena internazionale.

Il messaggio è chiaro: dopo anni di politica estera incerta e screditata sotto l’amministrazione Biden, l’Amministrazione Trump intende riaffermare la sua capacità di influenzare gli eventi globali e di sostenere in modo inequivocabile i suoi alleati storici, in primis Israele.

Secondo l’analista Niram Ferretti, questa mossa apparentemente tattica nasconde un accordo più profondo tra Netanyahu e gli Usa. Le promesse di Trump potrebbero includere il sostegno a un eventuale attacco israeliano contro le infrastrutture nucleari iraniane, un’operazione che Biden aveva sempre osteggiato, ma che ora potrebbe diventare la chiave per rimuovere qualsiasi minaccia di proliferazione nucleare nel Medio Oriente e favorire un nuovo equilibrio regionale.

Iran, Arabia Saudita: un nuovo equilibrio

La chiusura dei conti aperti con l’Iran è il cardine di questa strategia. Negli ultimi mesi, Israele ha condotto attacchi mirati contro le infrastrutture militari di Teheran, compromettendo le difese aeree del regime e lasciando i cieli iraniani vulnerabili a raid del Heyl Ha’Avir. Con l’Iran indebolito, Riyad potrebbe finalmente sentirsi rassicurata a intraprendere il percorso di adesione agli Accordi di Abramo.

È importante notare che la resistenza saudita agli Accordi non è mai stata motivata unicamente dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, come molti teorici avevano sostenuto. La vera questione irrisolta è stata il desiderio saudita di sviluppare un programma nucleare in linea con quello iraniano (il JCPOA) per garantire l’equilibrio di potere nella regione, una richiesta inaccettabile sia per gli Usa che per Israele.

Con un Iran ridimensionato e con la promessa americana di appoggiare Israele in un’azione decisiva contro le installazioni nucleari del nemico sciita, Riyad potrebbe ora accettare l’adesione agli Accordi, completando il mosaico strategico ideato da Trump e Netanyahu.

Il trionfo della realpolitik

Se questo scenario dovesse concretizzarsi, Donald Trump e Benjamin Netanyahu avranno orchestrato una delle più grandi operazioni diplomatiche e strategiche degli ultimi decenni. Per Trump, sarebbe un modo per consolidare il suo ritorno al potere con un successo che rafforza il prestigio americano. Per Netanyahu, una vittoria che garantisce la sicurezza di Israele e lo pone come il leader capace di navigare le turbolente acque della geopolitica mediorientale.

Come sempre, Netanyahu si conferma il maestro della realpolitik, capace di trasformare ogni sfida in un’opportunità. In un Medio Oriente dove nulla è lasciato al caso, Bibi dimostra ancora una volta che la sua visione strategica non ha pari.