Esteri

Erdogan e Kilicdaroglu al ballottaggio: la posta in gioco per la Turchia

Il voto dirà se Ankara tornerà su un percorso più laico e democratico, come gestirà la sua grave crisi interna e le relazioni chiave con l’Occidente e la Russia

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La Turchia va verso il ballottaggio. Nel voto di domenica il presidente uscente Recep Tayyip Erdogan ha superato il suo rivale dell’opposizione Kemal Kilicdaroglu, ma senza raggiungere la maggioranza assoluta, necessaria per estendere il suo ventennale governo autocratico nel grande Paese musulmano affacciato sul Mediterraneo e membro della Nato.

Né Erdogan né Kilicdaroglu hanno quindi superato la soglia del 50 per cento e il secondo turno è in programma il 28 maggio. Un terzo candidato, il nazionalista Sinan Ogan, si è attestato al 5,3 per cento dei voti. Appare logico che potrebbe essere un “kingmaker” nel ballottaggio, a seconda del candidato che deciderà di sostenere.

Verdetto su Erdogan

Va subito premesso che si tratta di un’elezione vista come un verdetto sul percorso governativo sempre più autoritario di Erdogan.

Il voto presidenziale deciderà non solo chi guiderà la Turchia, ma anche se il Paese tornerà su un percorso più laico e democratico e, soprattutto, come Ankara gestirà la sua grave crisi interna, con il costo della vita fuori controllo, e come continuerà le relazioni chiave con la Russia, il Caucaso, i curdi, il Medio Oriente e l’Occidente.

Kilicdaroglu, che ha subito dichiarato di essere certo di prevalere nel ballottaggio, ha esortato i suoi sostenitori alla pazienza e accusato il partito di Erdogan di interferire con il conteggio e la comunicazione dei risultati. Accusa assolutamente credibile per chi conosce le attitudini del “nuovo Sultano” e dei suoi sostenitori.

Erdogan fa meglio dei sondaggi

Il risultato di Erdogan comunicato ufficialmente è, comunque, migliore di quanto previsto dai sondaggi preelettorali, e l’attuale presidente è apparso di umore fiducioso e combattivo mentre si rivolgeva ai suoi sostenitori dopo la comunicazione dei dati. “Siamo già davanti al nostro rivale più vicino di 2,6 milioni di voti. Ci aspettiamo che questa cifra aumenti”, ha dichiarato Erdogan mentre migliaia di suoi elettori si erano riuniti nel quartier generale del partito ad Ankara, facendo esplodere canzoni di festa dagli altoparlanti e sventolio bandiere.

I risultati riflettono una profonda polarizzazione in un Paese ad un bivio politico. I sondaggi d’opinione prima delle elezioni avevano indicato una corsa molto serrata, ma avevano dato a Kilicdaroglu, che guida un’alleanza composta da sei forze politiche, un leggero vantaggio. Due sondaggi di venerdì scorso lo avevano addirittura indicato sopra la soglia del 50 per cento.

Le due settimane più lunghe

Il Paese di 85 milioni di persone, già alle prese con una forte inflazione, ora dovrà affrontare due settimane di incertezza, secondo gli osservatori le due settimane più lunghe nella storia della Turchia, che potrebbero scuotere i mercati.

Gli analisti si aspettano oscillazioni nella valuta locale e nel mercato azionario. Già ieri la Borsa di Istanbul ha registrato perdite significative.

Le accuse dell’opposizione

L’opposizione accusa il partito di Erdogan di aver ritardato l’emergere dei risultati completi presentando obiezioni, e le autorità di aver pubblicato i risultati in un ordine che aumentava artificialmente il conteggio a favore del presidente in carica.

Tanto è vero che Kilicdaroglu, in una precedente apparizione, ha affermato che il partito di Erdogan stava “distruggendo la volontà della Turchia” opponendosi al conteggio in oltre 1.000 seggi. I giornalisti presenti hanno comunque riportato che l’umore al quartier generale del partito di opposizione, dove Kilicdaroglu si aspettava la vittoria, era sottotono mentre venivano conteggiati i voti e i suoi sostenitori sventolavano le bandiere del fondatore della Turchia moderna, Mustafa Kemal Ataturk.

Instabilità economica

La scelta del prossimo presidente della Turchia è una delle decisioni politiche più significative nei 100 anni di storia del Paese e si ripercuoterà ben oltre i confini del Paese.

Una vittoria di Erdogan, uno dei più importanti “non oppositori” del presidente russo Vladimir Putin, rallegrerà probabilmente il Cremlino ma innervosirà l’amministrazione Biden, così come molti leader europei e mediorientali che hanno rapporti difficili con Erdogan e il suo governo.

Il leader più longevo della Turchia ha trasformato il membro della Nato in un attore globale, lo ha modernizzato attraverso megaprogetti come nuovi ponti e aeroporti e dotandolo di un’industria di armi ricercata da Stati stranieri, ma l’instabilità economica, causata da bassi tassi di interesse, che hanno scatenato un’inflazione vertiginosa, ha lasciato in preda alla rabbia quasi la metà degli elettori.

La lenta risposta del suo governo al devastante terremoto nel sud-est del Paese che ha causato la scomparsa di 50.000 persone all’inizio di quest’anno ha aumentato lo sgomento e la sfiducia degli elettori.

Le promesse di Kilicdaroglu

Kilicdaroglu si è impegnato a rilanciare la democrazia dopo anni di repressione statale, tornare a politiche economiche ortodosse, rafforzare le istituzioni che hanno perso l’autonomia sotto Erdogan e ricostruire i fragili legami con l’Occidente.

Migliaia di prigionieri politici e attivisti potrebbero essere rilasciati se prevalesse il candidato dell’opposizione, compresi coloro che sono stati incarcerati dopo il “golpe farsa” del 2016 (chi conosce la valenza e preparazione degli ufficiali turchi sa bene che se fosse stato realmente organizzato dai loro vertici – ora in carcere – non sarebbe fallito).

L’aiuto alla Russia

I critici temono che Erdogan governerà in modo ancora più autocratico se riuscirà a conquistare un altro mandato. Il presidente 69enne, reduce da una dozzina di vittorie elettorali, afferma di rispettare la democrazia ma crederci è puro esercizio di dabbenaggine.

Ad esempio, nel 2022 la Russia ha registrato con la Turchia un surplus della bilancia di beni e servizi pari a 282,3 miliardi di dollari, un balzo del 66 per cento rispetto all’anno precedente, perché è stata proprio la Turchia, insieme a Cina Popolare e India, ad aver alimentato le casse del Cremlino.

Il caso turco è sicuramente il più peculiare dato che il Paese è membro della Nato, ma non ha aderito alle sanzioni di G7 e Ue, ha le potenzialità di diventare hub del gas russo per la sua posizione geografica e si è configurato come l’unico vero intermediario a livello diplomatico tra le due parti belligeranti. L’accordo sui cereali ne è l’esempio più concreto, dato che buona metà delle navi bloccate a Odessa lo scorso anno battevano bandiera turca o erano proprietà di armatori turchi.

La speranza Kilicdaroglu

In un momento in cui il conflitto si prolunga, gli incidenti aumentano, le pressioni sanzionatorie da parte dell’Occidente si intensificano, l’atteggiamento di Ankara post-ballottaggio non è, quindi, fattore trascurabile.

Per concludere, non si può sperare altro che i turchi in un ballottaggio regolare (senza brogli organizzati dai sostenitori di Erdogan) riescano a veder prevalere Kemal Kilicdaroglu. Ne avrebbero beneficio i libici, gli armeni, i curdi e tutti i Balcani che sono i principali obiettivi delle mire espansionistiche e vessatorie dall’attuale autarchia. Soprattutto, comunque, ne avrebbero beneficio quei turchi che sperano in una vita migliore e democratica.

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