Esteri

I conflitti congelati: la strategia di Mosca per tenere al guinzaglio i suoi vicini

L’Occidente, desideroso di evitare ogni conflitto, ha ripetutamente assecondato questo gioco, fraintendendo le intenzioni russe e trattando queste pause precarie come una forma di “stabilità”

Putin Russia map © sasirin pamai's tramite Canva.com

La Russia e altri regimi autoritari hanno adottato e perfezionato una strategia semplice ma terribile per controllare i loro vicini, ossia quella d’invadere e occupare una parte del loro territorio, per poi rallentare la guerra attraverso una diplomazia elefantiaca e inconcludente.

Lo schema è il seguente: all’aggressione militare segue un “cessate il fuoco” che, de facto, legittima le conquiste territoriali del Paese più forte. Il tutto, infine, viene presentato come una “pace negoziata”. L’Occidente, desideroso di evitare ogni conflitto, ha ripetutamente assecondato questo macabro gioco, trattando queste pause precarie come una forma di raggiunta “stabilità”. Il caso ucraino ha però rivelato la fragilità di questa convinzione.

Il caso dell’Ucraina

La guerra in Ucraina ha dimostrato che i conflitti congelati non impediscono una guerra su vasta scala. Nel migliore dei casi la rimandano, nel peggiore la garantiscono. Gli Accordi di Minsk (2014-15), considerati all’epoca come una svolta diplomatica, non hanno risolto la crisi del Donbass; anzi, hanno dato alla Russia il tempo di rafforzare la sua presenza nei territori separatisti, di militarizzare la Crimea e prepararsi all’invasione su vasta scala del 2022.

La stessa strategia è stata utilizzata in Georgia, dove l’invasione russa del 2008 ha prodotto un’occupazione a tempo indeterminato dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud; oltreché in Moldavia, dove la Transnistria è da trent’anni una regione controllata dal Cremlino.

L’Ucraina sta cercando di ribaltare questo schema. A differenza del 2015, Kyiv rifiuta un nuovo “cessate il fuoco” in stile Minsk, riconoscendo che qualsiasi “pausa” non farebbe altro che permettere alla Russia di riorganizzarsi per una guerra nel prossimo futuro. L’Ucraina non combatte solo per riappropriarsi del suo territorio, ma per porre fine una volta per tutte alla logica dei “conflitti congelati”.

La trappola dell’instabilità

La Russia ha impiegato la strategia della guerra senza vittoria definitiva. Invece di un’annessione completa o di un occupazione prolungata, il Cremlino ha fatto affidamento su un approccio più sottile: invasioni limitate seguite da “cessate il fuoco” indefiniti, che imprigionano i suoi avversari in una instabilità politico-economica permanente. Questi conflitti congelati consentono alla Russia di controllare gli stati confinanti senza l’onere di governarli direttamente, creando zone grigie in cui Mosca detiene il vero potere attraverso i suoi proxy.

In Moldavia, Georgia e Ucraina, la Russia ha occupato regioni separatiste, ha stabilito la sua presenza militare e poi ha svolto il ruolo di “mediatore”, assicurando che non si raggiungesse mai una soluzione. L’obiettivo non è mai stato quello di annettere formalmente questi territori, ma di utilizzarli come punti di pressione permanenti per mantenere i governi confinanti deboli, divisi e vulnerabili.

Moldavia e Georgia

Il banco di prova è stata la Moldavia: dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Russia ha sostenuto i separatisti russi in Transnistria, assicurandosi che la Moldavia rimanesse intrappolata nell’incertezza geopolitica. Mosca non ha mai riconosciuto l’indipendenza della Transnistria né ha cercato di integrarla completamente, preferendo invece usarla come minacciosa leva per bloccare le ambizioni Nato e Ue della Moldavia.

Visto il successo ottenuto col piccolo Paese est europeo, il piano è stato riproposto in Georgia. Quando Tbilisi chiese di aderire alla Nato, la Russia rispose con una guerra che lasciò l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud sotto la sua occupazione. A differenza della Moldavia, Mosca riconobbe formalmente queste regioni separatiste, congelando a tempo indeterminato le aspirazioni “atlantiche” della Georgia.

Ed eccoci all’Ucraina. Il conflitto nel Donbass ha seguito il medesimo schema: la Russia ha armato e sostenuto i separatisti fin dal 2013-14, poi ha utilizzato la diplomazia – gli Accordi di Minsk – per rafforzare la propria influenza. L’Ucraina ha però continuato ad avanzare verso Occidente, allora la Russia ha intensificato l’aggressione fino a raggiungere la piena potenza nel febbraio del 2022.

La miopia dell’Occidente

Questa strategia ha funzionato solo perché l’Occidente ha ripetutamente frainteso le intenzioni della Russia, scambiando i vari “cessate il fuoco” per una pace autentica piuttosto che per rallentamenti tattici. Questa incapacità di comprendere la vera natura dei “conflitti congelati” ha dato a Mosca il tempo e le risorse per colpire di nuovo.

Per anni, il congelamento dei conflitti è stato considerato un meccanismo pragmatico, seppur imperfetto, per gestire l’aggressione russa. I leader occidentali presumevano che le controversie territoriali potessero essere sospese a tempo indeterminato, evitando una guerra aperta e preservando al contempo un fragile status quo.

La guerra in Ucraina ha smentito queste ipotesi. Gli eventi successivi al 2022 hanno dimostrato che il congelamento di un conflitto non impedisce la guerra, ma semplicemente la rimanda, facendola pagare a un costo maggiore. L’idea che un aggressore possa essere pacificato attraverso l’accettazione di un occupazione parziale e un impegno diplomatico si è rivelata un’illusione suicida.

L’esperienza di Kiev

A differenza del 2014-15, quando l’Ucraina fu costretta a firmare gli Accordi di Minsk con il pretesto di una risoluzione diplomatica, nel 2022 Kiyv ha respinto categoricamente qualsiasi accordo che consentisse alle forze russe di rimanere al loro posto. Questa decisione non è stata un atto di sfida, ma una scelta strategica basata sull’esperienza. Gli Accordi di Minsk non avevano portato stabilità, bensì permesso alla Russia di consolidare il controllo sul Donbass, preparandosi al contempo a una guerra più ampia. Un altro accordo sulla stessa linea non porterebbe che a un risultato simile.

Rifiutando di accettare l’occupazione parziale come soluzione, l’Ucraina ha costretto la comunità internazionale a confrontarsi con una realtà a lungo ignorata. La Russia non rispetta i “cessate il fuoco”, bensì li sfrutta. Gli accordi diplomatici che non riconoscono Mosca come responsabile non risolvono i conflitti, ma li fomentano.

La (non) espansione della Nato

Per decenni, l’espansione della Nato è stata frenata dalla convinzione che l’integrazione di Paesi come l’Ucraina o la Georgia avrebbe provocato la Russia. I politici occidentali presumevano che il mantenimento di questi stati come “zone cuscinetto” neutrali avrebbe preservato la stabilità nell’Europa orientale. La guerra in Ucraina, ancora una volta, ha dimostrato che questa premessa era fondamentalmente errata. È stata l’esitazione e non l’aggressività della Nato a provocare la guerra.

Mosca non ha mai attaccato i membri della Nato, ma ha preso di mira l’Ucraina e la Georgia proprio perché non appartengono all’Alleanza. Questa consapevolezza ha fatto sì che nazioni storicamente riluttanti rispetto all’Alleanza Atlantica – Finlandia e Svezia – abbiano deciso di aderirvi in tempi rapidi.

La Nato, adesso, considera l’espansione non come un “atto destabilizzante”, ma come una misura necessaria per scoraggiare futuri conflitti. La lezione appresa dalla guerra in Ucraina è che permettere la persistenza di zone grigie geopolitiche non fa che incoraggiare i regimi autoritari. La neutralità di fronte all’aggressione è sintomo di debolezza strategica.

Deve necessariamente emergere un nuovo approccio: l’Occidente non dovrebbe spingere l’Ucraina verso un altro stop in stile Minsk né dovrebbe fare pressione su Kiyv affinché negozi mentre le truppe russe permangono sul suolo ucraino. L’unica via per una pace sostenibile passa attraverso una risoluzione completa, ossia mediante una definitiva sconfitta militare delle forze russe, seguita da un ritiro negoziato che non lasci il territorio sotto alcuna forma di controllo russo. Se l’Ucraina fosse costretta a un “cessate il fuoco” adesso, la storia suggerisce che una nuova guerra scoppierà nei prossimi anni, una volta che la Russia avrà ricostituito la sua indebolita forza militare.

L’esclusione dell’Ucraina dalla Nato l’ha resa un bersaglio. La lezione è chiara: i Paesi al di fuori dell’ombrello di sicurezza della Nato sono più vulnerabili agli attacchi russi, non meno. Rinviare l’adesione dell’Ucraina alla Nato fino al raggiungimento del pieno controllo territoriale gioca direttamente a favore di Putin e incentiva la Russia a prolungare la guerra a tempo indeterminato.

Se anche solo una piccola parte dell’Ucraina sotto occupazione russa sarà sufficiente a tenere Kyiv fuori dall’Alleanza Atlantica, allora la Russia non porrà mai fine alla sua invasione. Questa logica rispecchia la situazione in Georgia, dove le truppe russe che occupano l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud dal 2008, impediscono da un decennio l’adesione della Georgia alla Nato.

Kiev nella Nato

L’ingresso dell’Ucraina alla Nato non dovrebbe dipendere dal pieno controllo territoriale. Nel 1955, la Germania Ovest vi aderì mentre la Germania Est rimase sotto l’occupazione sovietica, a dimostrazione del fatto che le garanzie di sicurezza possono funzionare anche senza una riunificazione totale. Un modello simile consentirebbe all’Ucraina di integrarsi subito nell’Alleanza, scoraggiando la Russia e impedendo al contempo l’ennesimo congelamento di un conflitto.

Una mossa del genere altererebbe radicalmente l’equilibrio di potere a favore dell’Ucraina. Se a Kiyv venisse concessa l’adesione alla Nato mentre è ancora in corso il conflitto, significherebbe inviare a Mosca un messaggio forte: “la tua campagna militare è fallita”. La Russia si vedrebbe costretta a negoziare da una posizione di debolezza, sapendo che la sovranità dell’Ucraina sarebbe ora sostenuta da tutto il peso dell’Alleanza.

Ancora più importante, eliminerebbe la capacità della Russia di impiegare la dinamica del “conflitto congelato”. Se l’adesione alla Nato non fosse subordinata al pieno ripristino territoriale, l’occupazione di parti dell’Ucraina cesserebbe di essere un utile strumento di negoziazione per il Cremlino.

Il mondo può esitare, ma l’Ucraina non può permetterselo. Se questa guerra finisse con un’altra Minsk, allora tutto ciò che è stato sacrificato si rivelerebbe inutile. L’unica via d’uscita è la vittoria, qualsiasi altra soluzione è solo un rinvio della prossima invasione. L’Ucraina non ha bisogno di un altro precario “cessate il fuoco”. Deve finire ciò che la Russia ha iniziato e assicurarsi che questa volta finisca per davvero.

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