Esteri

Il cancro dell’antisemitismo e la complicità morale nel mondo accademico

Emanuel Segre Amar: per anni all’Università di Torino invitati a parlare odiatori seriali di Israele. Sinistra ebraica ancora legata ai vecchi stereotipi

manifestazione palestina Hamas

Mentre prosegue il conflitto tra Israele e Hamas, abbiamo interpellato Emanuel Segre Amar, dal 2015 presidente del Gruppo Sionistico Piemontese e già vicepresidente della Comunità Ebraica di Torino dal 2011 al 2015. Segre Amar, da anni, in collaborazione con personalità e istituzioni del mondo ebraico, porta avanti una tenace lotta, riconosciuta e apprezzata anche in ambito internazionale, a favore delle ragioni dello Stato d’Israele.

Il cancro dell’antisemitismo

DAVIDE CAVALIERE: In seguito alla reazione israeliana al massacro del 7 ottobre, in tutto il mondo, abbiamo assistito a manifestazioni di antisemitismo e giudeofobia, la sorprende questa recrudescenza dell’odio antiebraico?

EMANUEL SEGRE AMAR: L’antisemitismo è un cancro impossibile da estirpare, visto che in oltre 3000 anni nessuno è mai riuscito in quest’impresa. Da sempre si ripresenta, in luoghi e momenti diversi, e basta una scintilla per farlo saltar fuori dal sottobosco dove sempre cova. È inutile illudersi che le grandi, e per molti versi meritorie azioni che sono state messe in atto, come le grandi manifestazioni che si organizzano il 27 gennaio (adesso anche nei giorni prima e dopo il 27 gennaio), possano servire. Basta ricordare come finì tragicamente il processo d’integrazione di tanti ebrei (non solo italiani) a cavallo tra l’800 e il ‘900.

Eppure, dopo tanti anni nei quali i convegni e le trasmissioni televisive non sono mancate, dobbiamo ancora spiegare ad una percentuale compresa tra il 76 e il 78 per cento della popolazione europea (le cifre variano di poco da nazione a nazione) che cosa significhi la parola Shoah. Le stesse “pietre d’inciampo” si sono rivelate un grande business per il celebrato “artista” tedesco che purtroppo, troppo spesso, viene pagato da parenti e amici delle vittime della Shoah e non dalle pubbliche istituzioni, come dovrebbe essere.

Non possiamo dimenticare oggi le tante vittime che abbiamo avuto in Europa; colgo l’occasione per ricordare qui il piccolo Stefano Taché ucciso a Roma all’uscita dalla Sinagoga nel 1982 e i tre bambini uccisi nella scuola ebraica a Tolosa, insieme al rabbino, nel 2012. Troppi colpevoli dei più efferati delitti antisemiti, in Italia e in Francia, per non guardare ciò che avviene altrove, non sono neppure stati puniti, come le leggi imponevano, per collusione dei politici o per evidente ideologia di troppi responsabili delle forze dell’ordine (basti pensare al caso di Ilan Halimi e di tanti altri affaires francesi) e della magistratura.

L’Università di Torino

DC: Come presidente del Gruppo Sionistico Piemontese, da anni, monitora e denuncia le numerose iniziative anti-israeliane che avvengono nei locali dell’Università di Torino. Esiste una complicità morale del mondo accademico occidentale nel terrorismo di Hamas?

ESA: Per anni ho assistito, nell’aula magna dell’Università di Torino, a convegni nei quali arrivavano da Israele (sì, anche lì esistono feroci anti-sionisti), Sud Africa, Usa e altre nazioni europee noti odiatori seriali dello Stato ebraico, quasi sempre col cappello del BDS (Boycott, Divestment, Sanctions, ndr), movimento molto ben finanziato che reclama, da anni, il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni nei confronti di Israele.

Molti studenti, magari nemmeno interessati al conflitto arabo-israeliano, si presentavano in aula solo per ricevere i crediti che alcuni professori, di fatto complici degli attacchi degli arabi-palestinesi contro gli israeliani, concedevano a occhi chiusi. E oggi alcuni di questi professori riempiono i salotti televisivi.

Il Gruppo Sionistico Piemontese, insieme ad un’altra associazione romana, denunciò come molti studenti scrivessero, negli appositi fogli posti all’ingresso delle aule nelle quali si tenevano queste “lezioni”, anche i nomi di loro amici assenti, approfittando dell’assoluta assenza di controlli. Purtroppo, le lungaggini del mondo giudiziario hanno permesso a tutti questi studenti, che hanno approfittato di crediti ricevuti in modo truffaldino, di laurearsi. Pertanto, la denuncia si concluse con un inevitabile accordo con l’Università a non procedere. Devo, tuttavia, esprimere il mio profondo rammarico per l’assoluta mancanza di solidarietà verso il Gruppo Sionistico Piemontese da parte di molte autorità del mondo ebraico.

Inoltre, approfitto dell’occasione per aggiungere che, proprio in questi giorni, 4000 professori di molte università italiane hanno pubblicato un appello a interrompere tutte le relazioni con le università israeliane. Ora, secondo la Dichiarazione IHRA sull’antisemitismo, fatta propria dall’Unione europea, questi professori, che evitano accuratamente di guardare ciò che avviene nelle altre nazioni, sono imputabili di antisemitismo.

Il nodo Netanyahu

DC: I principali quotidiani italiani attribuiscono la responsabilità di quanto avvenuto nel sud d’Israele al governo Netanyahu. Condivide questa tesi?

ESA: Israele era da molti mesi spaccato sulla questione relativa alla Corte Suprema, ma la realtà era ben differente: il nodo della questione non era la riforma dei poteri della Corte Suprema, ma la presenza, da molti ritenuta eccessiva, di Benjamin Netanyahu, il premier al potere dal giugno 1996 con solo due interruzioni. Sembrava, nei mesi scorsi, che i riservisti non avrebbero risposto agli eventuali richiami, e invece abbiamo visto che nell’emergenza praticamente tutti sono corsi nei reparti loro assegnati, abbandonando affetti e lavoro.

Ehud Barak, uno dei principali leader (e finanziatori) delle manifestazioni che per tanti mesi hanno invaso le strade di Israele, non abbandona però il suo piano di far cadere Netanyahu per prenderne il posto, come ha ripetutamente affermato; eppure, da militare, dovrebbe essere consapevole del fatto che non è questo il momento di sostituire il comandante.

Dopo la guerra ci saranno le necessarie inchieste, come Israele ha sempre dimostrato di fare, e anche Netanyahu dovrà rispondere dei suoi errori (così come dovranno rispondere tanti altri politici e militari israeliani).

Ho sempre ritenuto Netanyahu troppo accondiscendente nei confronti del terrorismo (nel 2014 non avrebbe, forse, dovuto interrompere così presto la guerra), ma mi rendo conto che una cosa è giudicare da 3000 chilometri di distanza, un’altra dover resistere alle pressioni del mondo. Sicuramente Netanyahu non mi sembra che abbia la tempra (o forse la possibilità?) di alcuni dei suoi grandi predecessori.

Ebrei contro Israele

DC: Lei è stato molto critico nei confronti di quegli ebrei progressisti che, nel corso degli anni, hanno criminalizzato lo Stato d’Israele e mostrato comprensione nei confronti del terrorismo, cosa motiva questi “ebrei contro Israele”?

ESA: Non ho mai condiviso in toto le idee della sinistra, né di quella israeliana né di quella occidentale; tuttavia alcune cose stanno cambiando, almeno in Israele, dopo il 7 ottobre; non si deve dimenticare infatti che molte delle vittime e degli ostaggi appartenevano proprio a quella sinistra che da sempre si dimostra favorevole alla convivenza con gli arabi-palestinesi e al riconoscimento di un loro Stato “nei territori occupati”. Il fatto tuttavia che tra i nazi-terroristi che sono entrati nei loro kibbutzim ci fossero tante persone alle quali avevano dato, per tanti anni, lavoro e comprensione politica, non poteva non produrre una presa di coscienza in molti israeliani.

Dalla sinistra israeliana è così partita una chiara lettera alla sinistra europea con l’accusa di essere stati abbandonati proprio adesso, nel momento del bisogno. In Italia, purtroppo, la sinistra ebraica, che pure oggi si sta parzialmente dividendo, rimane, in maggioranza, almeno da quello che posso vedere nella mia città e nelle principali istituzioni ebraiche, ancora legata ai vecchi stereotipi che io ho sempre osteggiato.

Temo quindi che questa sciagura che ancora una volta si è abbattuta sul popolo di Israele non farà comprendere fino in fondo il nodo della questione a molti ebrei della sinistra: la coesistenza dei “due popoli” non è possibile per motivi fortemente religiosi, legati agli ordini impartiti dal Corano. Israele, checché si sostenga in tante conferenze organizzate dalla sinistra ebraica, per i musulmani non deve esistere.

Mi ha molto disturbato che la sottoscrizione che ho aperto per i rifugiati a Ma’ale Adummim, città che sorge nel deserto della Giudea (Cisgiordania), non sia stata fatta conoscere agli iscritti dalla Comunità Ebraica di Torino che, a parte quelle doverose aperte dalle principali organizzazioni, ha deciso di diffondere soltanto quelle in favore dei kibbutzim colpiti; siamo arrivati a fare, noi ebrei, una “selezione” tra i nostri rifugiati, dimentichi del fatto che anche i sopravvissuti ospitati in Giudea e Samaria hanno oggi bisogno di tutto, cibo e vestiario in primis.

La strategia dell’inganno

DC: Lei non è un militare, ma conosce molto bene la realtà israeliana. Quali sono state, a suo avviso, le principali falle nella difesa d’Israele? Quale sarà il futuro di Gaza?

ESA: Non sono un esperto militare, ma credo che questa guerra dovrà cambiare alcuni parametri della strategia perché non ci si può affidare ciecamente alla tecnologia mandando in licenza così tanti militari in occasione delle festività autunnali. Israele da sempre si è preoccupata della vita di tutti i suoi cittadini, ma, e ricordo qui un episodio ormai chiarito dalle inchieste, non si possono lasciare soli, in servizio di guardia, due giovani soldati in turni di 12 ore; l’attenzione non permette di restare vigili così a lungo.

Ancora una volta, l’esperienza della tragica morte dei due militari uccisi sul confine “sicuro” del Sinai da un “collega” egiziano non ha insegnato nulla ai comandi dell’IDF, e così il 7 ottobre alcuni giovani militari, rimasti in numero assolutamente insufficiente a presidiare le basi israeliane, sono stati uccisi o feriti gravemente.

Ciò detto, anche la strategia di Israele nei confronti di Gaza (e di tutti i suoi vicini) dovrà giocoforza cambiare. Per gli arabi da sempre la taqiyya (l’inganno) è stata una strategia di guerra, e quindi tutti in Israele dovranno arrendersi a questa verità. Solo due settimane prima del 7 ottobre Israele aveva ricevuto un’assicurazione scritta da Hamas, controfirmata da Qatar ed Egitto, che non ci sarebbero state infiltrazioni da Gaza.

In futuro Israele dovrà quindi controllare con la massima attenzione che a Gaza, una volta che sia ripulita, non entrino più armi. Israele non intende, né ha interesse alcuno, a occupare la Striscia, e si dovrà trovare una soluzione politica dal momento che nessuno stato intende sporcarsi le mani, e gli uomini dell’Onu, nel ’67 con Nasser, negli ultimi 45 anni in Libano sud, non sono mai stati all’altezza della situazione; hanno sempre obbedito agli ordini ricevuti, con le buone o con le cattive, dagli arabi.

DC: Ultima domanda: suo padre, Sion Segre Amar, è stato presidente della Comunità Ebraica torinese in anni difficili per lo Stato d’Israele. Con quale spirito avrebbe affrontato il conflitto attuale?

ESA: Mio padre fu presidente in anni molto difficili, come quello della Guerra dei Sei giorni. Ricordo il Tempio di Torino strapieno di torinesi dentro e fuori accorsi ad ascoltare uomini come Carlo Casalegno ed Alessandro Garrone; mi permetto di chiedere io a lei se oggi vede a Torino o in tutta Italia persone come loro.

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