Esteri

Il pretesto più infondato di Putin: l’espansione della Nato in Ucraina

La neutralità è stata fin dall’indipendenza il principio base della dottrina di politica estera di Kiev. Fino al 2014, cioè alla prima invasione e occupazione russa

Vladimir Putin

L’avvio della seconda invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio 2022 ha segnato un massiccio incremento di popolarità per la debole tesi presentata già otto anni fa, secondo cui la Federazione Russa avrebbe posto in essere prima l’annessione della Crimea e di parte del Donbass, e in seguito l’invasione su vasta scala del Paese, al fine di tutelare la propria posizione da un presunto tentativo da parte dell’Alleanza Atlantica di espandersi in Ucraina, nazione sulla quale Mosca vanterebbe un supposto diritto di condizionamento in virtù della sua vicinanza geografica.

Tale assunto risulta tuttavia errato sulla base di ben due ragioni differenti, la prima riguardante il processo storico di formazione della moderna Ucraina e la seconda relativa invece al suo successivo percorso legislativo.

Il concetto di neutralità dell’Ucraina

Il processo di ripristino della sovranità nazionale ucraina conobbe una prima tappa nel 1990, anno in cui a seguito delle prime elezioni relativamente libere nella repubblica, il Soviet Supremo Ucraino approvò la “Dichiarazione della Sovranità Statale dell’Ucraina”, volta a creare un’Ucraina libera e sovrana all’interno dell’Unione Sovietica.

Tale documento stabiliva i principi fondamentali non solo della politica interna del Paese, ma anche della postura che quest’ultimo avrebbe assunto nel sistema internazionale. Il quinto comma dell’articolo nove della dichiarazione statuiva testualmente:

La Repubblica Socialista Sovietica Ucraina dichiara solennemente la propria intenzione di divenire uno stato permanentemente neutrale che non partecipi ad alcun blocco militare e che non ospiti, produca o fornisca armi nucleari.

Il successivo movimento di protesta contro il governo motivato dalla costante predominanza comunista nel Parlamento ucraino, e passato alla storia come “Rivoluzione sul Granito”, ebbe come conseguenza l’approvazione di un provvedimento da parte del locale Soviet Supremo volto ad impedire che i coscritti ucraini venissero impiegati al di fuori del Paese, indicando la ferma volontà da parte dell’Ucraina di impostare una politica estera basata sulla neutralità.

La successiva Dichiarazione di Indipendenza dell’Ucraina, emanata il 24 agosto 1991 come conseguenza del tentato golpe sovietico, statuì la ferma volontà da parte del Paese di mantenere la propria neutralità permanente. Tale concetto venne successivamente recepito dal preambolo della successiva Costituzione del 1996.

Il tema dell’adesione alla Nato

Tale stato di cose mutò nel 2002, quando alla vigilia della nuova imponente espansione dell’Alleanza Atlantica, il Consiglio di difesa e sicurezza nazionale dell’Ucraina presieduto dal presidente Leonid Kuchma adottò una risoluzione volta a rivedere lo status di neutralità del Paese, adottando contestualmente come obiettivo l’adesione alla Nato.

La Dottrina militare ucraina rilasciata il 15 giugno 2004 prevedeva come obiettivo del Paese la realizzazione di una politica di integrazione euro-atlantica il cui ultimo passo risultava essere l’adesione alla Nato. Tuttavia, già a partire dal mese successivo il presidente Kuchma rivide tale politica, rimuovendo l’adesione alla Nato dagli obiettivi della dottrina militare del Paese.

La vittoria del candidato filo-occidentale Viktor Yushenko in occasione delle elezioni del 2004, conseguenti alla Rivoluzione Arancione, determinò una nuova revisione della politica estera del Paese, sancita tramite un nuovo inserimento nella dottrina militare della piena adesione alla Nato come obiettivo.

Le elezioni parlamentari del 2006 videro tuttavia l’affermazione del Partito delle Regioni guidato dal politico filorusso Viktor Yanukovich, fortemente ostile ad un ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica. Il percorso di Kyiv verso l’ingresso nella Nato pertanto non iniziò mai, anche in virtù di un sostegno popolare relativamente scarso.

Il successo elettorale di Yanukovich, arrivato alla presidenza nel 2010, mise la parola fine alla possibilità di adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica. Il 3 giugno 2010 la Verkhovna Rada approvò la legge “Sui Principi della politica interna ed estera”, la quale statuiva l’abbandono definitivo dell’obiettivo di adesione all’Alleanza Atlantica, e la contestuale affermazione di una postura internazionale “non allineata”.

A seguito dell’approvazione di tale legge l’adesione alla Nato non ha più rappresentato un obiettivo dell’Ucraina, la cui classe politica accettò largamente il nuovo principio fondante della politica estera del Paese.

Euromaidan e l’ingerenza russa

La Rivoluzione di Dignità del 2014 non rappresentò una rottura di tale paradigma. La rivoluzione venne infatti generata dal forte sentimento di malcontento della popolazione sia per la diffusa corruzione del governo che per le costanti ingerenze nella politica interna ucraina da parte della Federazione Russa – ingerenze che nel novembre 2013 provocarono l’interruzione del processo di integrazione europea del Paese.

Il programma di governo presentato dal primo ministro Yatsenuk non includeva infatti alcun riferimento ad una possibile adesione alla Nato, ma rimarcava la necessità di riprendere il cammino verso l’integrazione europea, obiettivo nei fatti perseguito dallo stesso Yanukovich, indicando la volontà da parte dell’Ucraina di mantenere relazioni di buon vicinato con la Federazione Russa.

Tali garanzie non sono evidentemente bastate a Mosca, che nel tentativo di bloccare il percorso europeo dell’Ucraina avviò la sua prima invasione del Paese, occupando illegalmente la penisola di Crimea e parte del Donbass.

Fu solo a seguito dell’aggressione avvenuta nel 2014, la quale dimostrò l’inefficacia della politica di neutralità del Paese a rendere l’adesione alla Nato, percepita come unico efficace deterrente ad un’eventuale aggressione russa, una priorità dell’Ucraina. Il 23 dicembre 2014 la Verkhovna Rada abolì infatti lo status di neutralità del Paese, constatandone l’inefficacia nel tutelarne la sicurezza e l’integrità territoriale.

Le vere motivazioni di Putin

La neutralità ha storicamente rappresentato il principio fondamentale nell’impostazione della politica estera ucraina. Tale assunto stabilito nei documenti fondamentali che hanno sancito la nascita del Paese è stato perpetuato senza grosse interruzioni fino al 2014 e rispettato dopo il 2010 anche dai settori più filo-occidentali del Paese.

La vera minaccia per il tirannico regime di Vladimir Putin, nonché la reale motivazione dietro le due aggressioni a danno dell’Ucraina poste in essere a distanza di otto anni, non è mai stata l’eventuale adesione del Paese all’Alleanza Atlantica, ma la presenza di un’Ucraina sovrana, libera e democratica, il cui percorso di avvicinamento all’Europa e le contestuali riforme adottate avrebbero rappresentato un pericoloso precedente tanto per altre nazioni facenti parte della sfera ex sovietica, quanto per lo stesso regime putiniano.

L’invasione dell’Ucraina non rappresenta la reazione di una nazione assediata dall’Occidente, ma il disperato tentativo da parte di una potenza declinante rimasta bloccata nel passato di riaffermare attraverso la guerra il controllo sulla propria sfera d’influenza. Tuttavia, come la storia ha mostrato più volte, la frizione tra una potenza decrepita, ancorata al passato, e una nazione che negli ultimi otto anni è andata incontro ad un significativo processo di riforme sta inevitabilmente terminando con il successo della seconda.