Una delle argomentazioni più utilizzate dai detrattori di Israele riguarda le sue presunte violazioni del diritto internazionale, citando come fonti organismi sovranazionali quali l’Onu. Tuttavia, se si va a guardare l’atteggiamento adottato nel corso dei decenni dalle Nazioni Unite nei confronti dello Stato ebraico, ci si accorge di come, lungi dall’essere imparziali e super partes, esse abbiano più volte riflettuto gli interessi di Paesi ostili a Israele a prescindere dal suo operato.
I residui del Terzo Reich
Quando, nel 1960, i servizi segreti israeliani catturarono in Argentina il gerarca nazista Adolf Eichmann per portarlo in Israele e sottoporlo ad un processo, non tutti condivisero il desiderio del popolo ebraico di ottenere giustizia contro un uomo che durante la Shoah era stato responsabile della morte di numerosi innocenti.
Il 23 giugno 1960, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite emanò la sua Risoluzione 138, con la quale prendeva posizione non contro l’Argentina che aveva dato rifugio ad un criminale nazista, ma contro Israele, accusato di aver violato la sovranità argentina.
Dal 1972 al 1981, decenni prima che l’attuale segretario Onu Antonio Guterres giustificasse il pogrom del 7 Ottobre dicendo che gli attacchi di Hamas “non vengono dal nulla”, fu un ex nazista e veterano della Wehrmacht a ricoprire il ruolo di segretario generale delle Nazioni Unite, l’austriaco Kurt Waldheim (in seguito divenuto presidente dell’Austria).
Quando, il 10 novembre 1975, nel 37esimo anniversario della Notte dei Cristalli venne emanata la risoluzione che equiparava il sionismo al razzismo (annullata sedici anni dopo, il 16 dicembre 1991), Waldheim non vi si oppose.
In compenso, Waldheim reagì duramente quando, nel 1976, l’esercito israeliano giunse di nascosto in Uganda per salvare dei passeggeri ebrei e israeliani che erano stati catturati su un volo dirottato e tenuti in ostaggio da terroristi palestinesi e tedeschi di estrema sinistra, i quali godevano dell’appoggio del dittatore ugandese Idi Amin Dada. Dopo il salvataggio dei rapiti, Waldheim accusò Israele di aver violato la sovranità ugandese, salvo poi precisare che c’erano anche altri fattori da considerare.
Apologia del terrorismo
Pensata per parlare di razzismo e discriminazioni, la Conferenza di Durban del 2001 dell’Onu servì a sdoganare per la prima volta nel dibattito pubblico l’equiparazione delle politiche israeliane verso i palestinesi con l’Apartheid sudafricano, senza tenere conto del fatto che in Israele i cittadini arabi hanno sempre potuto votare e avere i propri rappresentanti eletti nella Knesset, il parlamento.
Una risoluzione del 2002 della Commissione Onu sui diritti umani (la cui presidenza nel corso degli anni è stata assunta da Paesi come l’Iran, noto difensore dei diritti umani), affermò “il legittimo diritto del popolo palestinese di resistere all’occupazione israeliana”. Il documento richiamava la risoluzione dell’Assemblea generale 37/43 del 3 dicembre 1982, che affermava “la legittimità della lotta dei popoli contro le occupazioni militari con tutti i mezzi a disposizione”, compreso il terrorismo.
Oltre un ventennio prima che l’attuale relatrice speciale dell’Onu per i territori “occupati” Francesca Albanese difendesse il cosiddetto “diritto alla resistenza” di Hamas, a minimizzare il terrorismo ci aveva già pensato l’ex presidente dell’Irlanda Mary Robinson, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani dal 1997 al 2002. Durante il suo mandato, la Robinson accusò più volte Israele di crimini di guerra, ma disse poco o nulla sui kamikaze palestinesi che durante la Seconda Intifada si facevano esplodere sugli autobus e nei locali, facendo numerose vittime tra i civili israeliani.
Il Rapporto Goldstone
Dopo che, tra fine 2008 e inizio 2009, Israele portò avanti l’Operazione Piombo Fuso a Gaza in risposta ai continui lanci di migliaia di missili da parte di Hamas contro il territorio israeliano, l’Onu formò una commissione indipendente guidata dal giudice sudafricano Richard Goldstone per indagare sul bilancio di quella guerra in termini di perdite umane.
Il documento che venne redatto, noto come “Rapporto Goldstone”, accusò Israele di crimini di guerra e di aver preso di mira deliberatamente i civili. Tuttavia, nell’aprile 2011 lo stesso Goldstone fece marcia indietro in un articolo pubblicato sul Washington Post, dichiarando che solo Hamas aveva volutamente mirato alla popolazione civile israeliana, usando al contempo i civili di Gaza come scudi umani. Così scrisse Goldstone nell’articolo:
Oggi sappiamo molto di più su quanto avvenne nella guerra di Gaza del 2008-2009 rispetto al periodo nel quale condussi l’inchiesta per conto del Consiglio Onu sui diritti umani; se avessi saputo allora ciò che sappiamo oggi, il Rapporto Goldstone sarebbe stato differente.
Revisionismo storico
Quando, nel 2019, Israele e gli Stati Uniti decisero di lasciare l’Unesco, la questione aveva radici profonde: negli anni precedenti, l’ente delle Nazioni Unite per il patrimonio storico e culturale aveva votato per disconoscere il legame storico del popolo ebraico con molti luoghi sacri come la Tomba dei Patriarchi a Hebron, etichettando unicamente come “sito palestinese” il luogo ritenuto essere la tomba di Abramo, Isacco e Giacobbe, nonché delle loro mogli Sara, Rebecca e Leah, patriarchi e matriarche del popolo d’Israele.
Nel 2016, l’Unesco era arrivata persino a negare il legame storico degli ebrei con il Monte del Tempio e il Muro del Pianto a Gerusalemme. Una riscrittura della storia strumentale ad una certa visione terzomondista, che vorrebbe dipingere gli israeliani come degli “invasori” in terra altrui.
In conclusione, è chiaro che molto spesso l’Onu non è stata oggettiva nei confronti d’Israele. Come disse Abba Eban, ministro degli esteri israeliano dal 1966 al 1974: “Se l’Algeria presentasse una risoluzione dichiarando che la terra è piatta e che Israele l’ha appiattita, passerebbe con 164 voti favorevoli, 13 contrari e 26 astensioni”.