Esteri

Negli Usa crescono i dubbi sulla non-strategia di Biden in Ucraina

Non solo Trump e DeSantis, i continui ondeggiamenti disorientano pubblico e Congresso, mentre cresce l’influenza di Pechino

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Si sapeva già che nel mondo politico e nell’opinione pubblica americani serpeggiano da tempo dubbi non tanto sull’impegno a difendere l’Ucraina, quanto sulla strategia che Joe Biden adotta al riguardo. Ammesso che di una vera e propria strategia si possa parlare.

Gli ondeggiamenti di Biden

L’atteggiamento dell’anziano presidente, infatti, è caratterizzato da continui “stop-and-go”. A volte incoraggia Zelensky e lo incita ad andare sino in fondo, cacciando gli invasori russi da tutte le aree che hanno occupato, inclusa la Crimea che fu presa in precedenza, nel 2014.

In altre occasioni, invece, frena consigliando prudenza al governo di Kiev e lasciando intendere che il supporto Usa non è privo di limiti e condizioni. Ma quali siano tali limiti e condizioni non è mai stato chiaro. Basti citare il caso degli aerei da guerra, prima negati e poi – pare – concessi sia pure tramite l’intermediazione di altri Stati (Polonia in primis).

Questi continui ondeggiamenti altro non fanno che disorientare pubblico e Congresso, entrambi preoccupati dalla situazione economica e dal peso crescente della Cina comunista nello scenario internazionale.

I dubbi dell’opposizione repubblicana

I dubbi (per usare un eufemismo) dell’ex presidente Donald Trump sull’operato di Biden sono noti, e Trump altro non fa che ribadirli, soprattutto dopo essersi ricandidato alla Casa Bianca. Il problema è che sono condivisi da vasti settori dell’opposizione repubblicana. In particolare dal governatore della Florida Ron DeSantis che, anche se non ha annunciato la sua candidatura, alcuni considerano il vero front runner repubblicano nelle prossime presidenziali (Trump permettendo, ovviamente).

Recentemente il Wall Street Journal ha pubblicato una serie di commenti, provenienti da ambienti conservatori, dai quali risulta che i dubbi summenzionati sono assai diffusi. Per esempio John Bolton, già consigliere per la sicurezza nazionale nell’amministrazione Trump, fa notare che Biden non è stato in grado di enunciare obiettivi di guerra chiari, né di elaborare una strategia atta a conseguirli.

Altri esponenti repubblicani manifestano perplessità circa una guerra che, ora come ora, minaccia di durare ancora anni.

L’opinione pubblica

Ma perplessità di questo tipo sono ben presenti anche nell’opinione pubblica, soprattutto a causa delle ingenti somme che Washington continua senza sosta a stanziare per supportare l’Ucraina, e di fronte alle quali quelle stanziate dai governi della Ue sono poca cosa.

Molti cittadini americani, senza distinzione tra repubblicani e democratici, chiedono maggiori finanziamenti per modernizzare le infrastrutture e tenere sotto controllo un sistema bancario che manifesta punti di criticità.

L’influenza di Pechino

Si rammenti, inoltre, che Biden aveva ordinato l’affrettato e disastroso ritiro dall’Afghanistan giustificandolo con la necessità di fronteggiare più efficacemente la sfida cinese in Asia, e di difendere Taiwan dalle mire di Pechino. In realtà, il prolungamento del conflitto ucraino sta rafforzando proprio la Repubblica Popolare.

È stata l’unica a presentare un piano di pace, per quanto inconcludente e chiaramente filo-russo. Ma non si tratta solo di questo. Xi Jinping sta approfittando con abilità della situazione per attrarre nella sua sfera d’influenza alcune ex Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale un tempo fedelissime a Mosca, con il Kazakistan in testa.

Non è certo un buon risultato per l’America, anche tenendo conto del fatto che, nel frattempo, la pressione su Taiwan è aumentata piuttosto che diminuire. Vale a dire esattamente il contrario di quanto Washington auspicava.

I rischi di una tregua

Non ci si deve quindi stupire se negli Stati Uniti cominciano a manifestarsi, soprattutto in ambito repubblicano, tendenze favorevoli a una tregua sul campo in Ucraina. Il che implica fare pressioni su Zelensky perché accetti, almeno in linea di principio, la possibilità di cedere territori occupati dai russi in cambio di garanzie, anche se ancora non si sa bene quali.

Indubbiamente si tratta di una strada irta di ostacoli. Come si può essere certi, per esempio, che la tregua non faccia aumentare l’appetito di Putin, inducendolo ad accentuare la pressione su Moldavia, Georgia e altri Stati?

Garanzie in questo senso non esistono ma, d’altra parte, cresce la consapevolezza che una guerra senza fine in Ucraina farà aumentare ancora il peso e l’influenza di Pechino, il pericolo che Biden intendeva scongiurare quando abbandonò l’Afghanistan ai Talebani.

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