Israele e il diritto internazionale, smontiamo alcuni luoghi comuni come “occupazione” e “genocidio” con David Elber. Laureato in Storia Moderna all’Università Statale di Milano, svolge ricerca storica indipendente su antisemitismo, storia di Israele e del Medio Oriente. Dal 2013 è relatore a incontri e corsi di storia europea, italiana, del Medio Oriente, dell’antisemitismo. Dal 2019 collabora con la rivista online L’Informale e con Informazione Corretta. Autore di numerosi libri, con Salomone Belforte ha pubblicato tre saggi su Israele e il diritto internazionale.
L’enorme bugia: “l’occupazione”
DAVIDE CAVALIERE: Il 29 dicembre 2024 è deceduto l’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter. Sotto la sua amministrazione, per la prima volta, venne impiegato il termine “occupazione” per definire i territori di Giudea e Samaria, noti anche come Cisgiordania. Può spiegarci come si arrivò a tale definizione e quali furono le conseguenze?
DAVID ELBER: A dire il vero il termine “occupazione”, anche se non appropriato per lo status di Giudea e Samaria, era già stato utilizzato prima dell’amministrazione Carter. Va sottolineato che un’occupazione militare di un territorio non è per forza un atto illegale per il diritto internazionale.
Bisogna distinguere, infatti, se essa è il risultato di una guerra d’aggressione o di una guerra difensiva. Nel primo caso è un atto illegale nel secondo è perfettamente legale. L’amministrazione Carter ha introdotto, per la prima volta, qualcosa di più meschino e falso: il concetto della “presenza ebraica” in Giudea e Samaria come “illegale per il diritto internazionale”.
Come è potuta arrivare a questa falsità? Tramite il “parere” di un ignoto giurista americano, Herbert Hansell, che in un suo memorandum, richiesto da Carter, affermava che “gli insediamenti ebraici in Cisgiordania sono illegali perché in violazione della IV Convenzione di Ginevra”. Però, questa tesi è priva di fondamento tanto è vero che non è mai stata applicata in nessun caso di reale occupazione; dovrebbe valere, unicamente, per Israele che per giunta non “occupa” la Giudea e la Samaria.
Le conseguenze politiche di questa invenzione sono state pesantissime: da allora Israele è visto come uno “Stato criminale” che si è insediato in una terra non sua. Questa enorme bugia è, purtroppo, diventata una realtà fattuale in tutto il mondo anche se è priva di fondamento.
Il Mandato di Palestina
DC: Alla luce del diritto internazionale: possiamo affermare che Israele “occupi” dei territori che gli spettano?
DE: No, nel modo più assoluto. Nessuno Stato può “occupare” un territorio del quale detiene i diritti di sovranità. Nel caso specifico della Giudea e Samaria, Israele questi diritti li ha ereditati dal Mandato per la Palestina in base al principio di diritto internazionale dell’uti possidetis iuris, che stabilisce che un neonato Stato eredita i confini dell’entità statuale che l’ha preceduto.
Nella fattispecie questi territori furono occupati illegalmente dalla Giordania con una guerra di aggressione nel 1948. Israele, semplicemente, li ha liberati nel 1967. Quindi non si può parlare di “occupazione” ma di riconquista di territori che erano già legalmente suoi.
Le faccio un altro esempio: la Croazia, nel 1995, riconquistò il territorio della Krajina, 4 anni dopo la proclamazione della propria indipendenza. Tale territorio non era sotto il controllo della Croazia al momento della sua indipendenza ma ne aveva i diritti di sovranità. Nessuno ha mai parlato di “occupazione” della Krajina da parte della Croazia o di “insediamenti croati illegali”. Così come se un giorno l’Ucraina riuscirà a riprendersi la Crimea o il Donbass nessuno parlerà di “territori russi occupati” perché legalmente sono sempre appartenuti all’Ucraina.
Una guerra di delegittimazione
DC: L’Onu, attraverso un comitato speciale del Consiglio per i diritti umani, ha accusato Israele di azioni “coerenti con il genocidio”. Si tratta di un’accusa fondata?
DE: Tale affermazione è una menzogna al pari di tante altre rilasciate dall’Onu per demonizzare Israele. Per prima cosa bisogna spiegare che l’Onu e le sue diverse agenzie e comitati sono dei meri strumenti politici che portano avanti delle agende politiche. Fin dagli anni ’70, Israele è diventato l’obiettivo di attacchi politici degli Stati islamici e dei loro alleati per delegittimare l’unico Stato ebraico esistente.
Gli arabi, avendo capito che non possono eliminare Israele militarmente, hanno iniziato una guerra di delegittimazione, ammantata di pseudo-contenuti legali (lawfare). Di realmente legale, in tali accuse, non c’è nulla. Però, l’opinione pubblica è stata portata a credere che le varie risoluzioni di condanna dell’Onu nei confronti di Israele siano “diritto internazionale” che Israele non rispetta.
Ma la realtà dei fatti ci dice che le risoluzioni sono meri strumenti politici utilizzati per implementare una ben precisa agenda politica: la cancellazione di Israele. L’accusa di genocidio rientra in questa campagna di delegittimazione. Ma è chiaro che non c’è nulla di vero.
L’accusa di “genocidio”
Mi spiego meglio, se Israele volesse commettere un genocidio perché dovrebbe avvertire i civili prima di intraprendere delle azioni militari in un determinato teatro? Se uno volesse commettere delle azioni “coerenti con il genocidio” perché dovrebbe avvertire la popolazione civile e permetterle di lasciare la zona delle operazioni militari se il fine è il suo annientamento?
L’esercito israeliano è stato il primo, e unico al mondo, ad adottare numerosi sistemi di avviso per la popolazione civile. Infatti, se prendiamo per buone anche le chiaramente false cifre rilasciate da Hamas (un Ministero della sanità a Gaza non esiste) e supinamente fatte proprie dai mass media, si scopre che sul totale di circa 45.000 morti, circa la metà sono terroristi armati.
Quindi il rapporto dei morti civili in relazione ai terroristi uccisi è di 1 a 1. Ossia il più basso mai registrato in una guerra di tipo urbano nella storia. Tutte le operazioni militari della Nato hanno causato un numero maggiore di morti civili in relazione ai combattenti uccisi.
DC: Come possono, allora, parlare di “genocidio”?
DE: Per bieche ragioni politiche atte a criminalizzare uno Stato che si difende da un reale tentativo di genocidio, come quello subito il 7 ottobre 2023. Inoltre, se Israele stesse commettendo un “genocidio” a Gaza, perché la comunità internazionale, a iniziare dagli Usa, hanno impedito ai civili di scappare in Egitto e lasciare le zone degli scontri? Così come è successo in tutte le guerre, a iniziare da quella siriana (oltre 5 milioni fuggiti all’estero), oppure sono tutti complici?
Infine, se Israele volesse commettere un “genocidio”, perché ha permesso l’ingresso nella Striscia di oltre 55.000 camion, che hanno trasportato 872.000 tonnellate di cibo, 50.000 tonnellate di acqua e oltre 27.000 tonnellate di medicinali per la popolazione civile, ben sapendo che sarebbero stati sequestrati da Hamas, allungando la durata della guerra.
Le faccio ancora un esempio: quando nel 1994, in Ruanda, fu compiuto un vero genocidio, quello dei Tutsi, morirono quasi un milione di persone nel giro di pochi mesi (aprile – luglio 1994) massacrate perlopiù con machete, bastoni chiodati e armi da fuoco leggere. Israele con centinaia di aerei, carri armati, missili, artiglieria pesante e migliaia di soldati di quanto tempo avrebbe bisogno per commettere un “genocidio”?