Esteri

Prigozhin una crepa nel sistema Putin e lo spettro delle “rivoluzioni colorate”

Intervista a Massimiliano Di Pasquale: nella visione paranoica del Cremlino è inconcepibile che nazioni libere e sovrane decidano il proprio futuro

Prigozhin e Putin

La lentezza della controffensiva ucraina, il tentativo di colpo di stato del gruppo Wagner, le tecniche di disinformazione di Mosca. Di questi temi abbiamo parlato con Massimiliano Di Pasquale, direttore dell’Osservatorio Ucraina dell’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici di Roma, ucrainista, esperto di Paesi post-sovietici, negli ultimi anni si è occupato di disinformazione, guerra ibrida e misure attive.

Controffensiva lenta

DAVIDE CAVALIERE: A più di un anno di distanza dall’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina, che bilancio possiamo fare della situazione sul campo?

MASSIMILIANO DI PASQUALE: Non è facile fare un bilancio della situazione sul campo. Dal momento che non sono un analista militare, ma uno studioso di Ucraina e di disinformazione, mi limiterò ad alcune considerazioni di massima, nella consapevolezza che in questi 16 mesi di guerra diversi esperti hanno sbagliato le loro previsioni.

Ancora oggi c’è qualche “analista”, le virgolette in questo caso sono d’obbligo, che sostiene che l’Ucraina sia stata sconfitta nel marzo 2022 e che dopo tale data sia iniziata una guerra della Nato contro la Russia. Quella della guerra per procura dell’Occidente contro la Russia è una delle narrazioni strategiche del Cremlino più diffuse. Solo che mentre nel resto d’Europa è per lo più limitata a blog “alternativi” o a siti filo-Cremlino, nel nostro Paese arriva addirittura in alcune trasmissioni della Rai.

In realtà, alla fine di marzo 2022 Mosca aveva fallito il suo obiettivo di conquistare Kyiv e di sottomettere l’Ucraina e i russi avevano perso sul campo di battaglia quasi 10.000 uomini.

L’operazione militare speciale di Putin lanciata il 24 febbraio 2022, che prevedeva la presa di Kyiv in 3 giorni e l’installazione di un governo fantoccio con a capo Viktor Medvedchuk, come ai tempi della sovranità limitata di Brezhnev, è fallita miseramente. Lo scenario Budapest 1956, Praga 1968, non si è verificato.

Nonostante la sproporzione delle forze in campo Mosca, dopo le conquiste territoriali delle prime settimane, si è impantanata in una guerra che non riesce a vincere. Dall’altro lato la controffensiva degli ucraini, che hanno dimostrato una forza e un coraggio encomiabili, procede, per ammissione dello stesso Zelensky, più lentamente del previsto. Di sicuro la catastrofe ecologica provocata dai russi con l’esplosione della diga di Nova Kakhovka il 6 giugno di quest’anno ha rallentato la controffensiva nella oblast di Kherson e ha probabilmente costretto le forze armate ucraine a rivedere i propri piani.

Per vincere la guerra gli ucraini hanno bisogno di una copertura aerea adeguata. La fornitura di F-16 all’aviazione ucraina potrebbe cambiare le sorti del conflitto a favore di Kyiv. Finora l’Ucraina ha avuto a disposizione solo vecchi caccia di provenienza sovietica, come i Mig-29 e i Su-27.

Una crepa nel sistema

DC: In merito al recente tentativo di “colpo di stato” messo in atto dalla compagnia Wagner, i principali canali filorussi hanno evocato lo spettro della “rivoluzione colorata”. Ritiene credibile un simile scenario?

MDP: Ogni volta che si verifica qualche avvenimento, sia esso una protesta o uno scontro tra fazioni opposte, insomma qualcosa che sconvolge i piani di Mosca o va contro la narrazione ufficiale del Cremlino, i media filorussi evocano lo spettro della “rivoluzione colorata”.

Il template usato dai media russi o filo-Cremlino è sempre lo stesso, quello della “rivoluzione colorata, istigata da anglosassoni/America/Occidente”, sia che si tratti di folle che scendono in strada per protestare contro la corruzione, gli abusi da parte del governo e la repressione dei diritti civili in Armenia, Georgia, Bielorussia, Hong Kong.

La vicenda Prigozhin, seppure non facile da decifrare nella sua interezza, ci dice che il regime russo non è più solido come Putin vorrebbe far credere. Usando un termine inglese potremmo dire che abbiamo assistito a un crack, ossia a una crepa nel sistema, ma non ancora a un crash, ossia al collasso dello stesso. Di sicuro gli equilibri di potere tra FSB, esercito, milizie private e oligarchi appaiono meno stabili del passato. Putin esce da questa vicenda indebolito, non solo a livello di immagine.

Il complottismo di Mosca

DC: I filorussi accusano l’Occidente di aver organizzato o fomentato delle rivolte antirusse in alcuni Paesi dell’ex URSS, tra cui l’Ucraina, definite “rivoluzioni colorate”. Quali sono le origini e il significato di tali rivolte? 

MDP: Le accuse rivolte all’Occidente rientrano nella visione paranoica del Cremlino, secondo cui nessuna protesta di massa o rivolta civile può avere luogo senza la manipolazione di cinici attori dietro le quinte, siano essi Soros, la CIA, gli Stati Uniti, la Nato, il Fondo Monetario Internazionale, le lobby ebraiche etc. Le rivolte sociali o le proteste politiche sarebbero dunque orchestrate da forze straniere potenti, ovvero l’Occidente, e non sarebbero mai l’espressione spontanea dell’attivismo o del risentimento della popolazione.

Il Cremlino ricorre al pensiero complottista perché sostanzialmente è incapace di comprendere il concetto di libero arbitrio. Per Mosca è inconcepibile che nazioni, libere e sovrane come Georgia, Ucraina e Moldova, vogliano determinare il proprio futuro in autonomia e guardino come modello all’Europa dei diritti e delle libertà.

La “Rivoluzione arancione”

DC: Quasi tutti hanno sentito parlare di Euromaidan, ma assai meno si conosce la “Rivoluzione arancione”. Cosa accadde in Ucraina in quel lontano 2004?

MDP: Nel novembre 2004 in una Kyiv autunnale già stretta nella morsa del freddo, gli ucraini scendono in piazza per protestare contro i brogli elettorali del regime del presidente uscente, Leonid Kuchma, per insediare alla presidenza Viktor Yanukovych, candidato degli oligarchi del Donbas, gradito al Cremlino. Sfidando gelo e paura migliaia di cittadini lottavano per liberare il proprio Paese da un regime sempre più corrotto e autoritario, e avvicinarlo ai valori liberal-democratici dell’Europa. Alcuni politologi occidentali definirono quelle pacifiche proteste la “seconda caduta del Muro di Berlino” o ancora “la più elegante rivoluzione di tutti i tempi”.

La Rivoluzione arancione si concluse positivamente senza alcun spargimento di sangue. Il 3 dicembre 2004 la Corte Suprema Ucraina annullò la consultazione del 21 novembre viziata da brogli elettorali e ordinò la ripetizione del ballottaggio per il 26 dicembre, poi vinto dal candidato dell’opposizione democratica Viktor Yushchenko.

La Rivoluzione del 2004 rappresenta uno snodo fondamentale della recente storia dell’Ucraina. Si assiste infatti, per la prima volta, al tentativo, da parte della società civile di emancipare il Paese dall’eredità politico-culturale sovietica e di affrancarlo dal giogo moscovita.

La Rivoluzione arancione ed Euromaidan sono state rivolte popolari pacifiche (anche Euromaidan nasce come protesta pacifica di studenti e si radicalizza solo dopo l’intervento violento della polizia antisommossa) che hanno il loro epicentro in Maidan Nezalezhnosti a Kyiv e poi si propagano a macchia d’olio in tutto il Paese.

Nel 2013 il popolo ucraino occupa Maidan Nezalezhnosti per chiedere le dimissioni di Yanukovych, che eletto presidente nel febbraio 2010, nell’arco di 3 anni e mezzo ha trasformato l’Ucraina in un regime cleptocratico e semidittatoriale caratterizzato da corruzione e inefficienza, svendendo gli interessi nazionali alla Russia di Putin.

I leader delle due rivoluzioni reclamano per l’Ucraina una democrazia liberale sul modello occidentale e dei Paesi della Ue; in entrambi i casi Mosca condanna questi rivolgimenti popolari dichiarandoli illegittimi e fomentati dall’Occidente.

La disinformazione russa

DC: Qualche settimana fa la Fondazione Germani ha pubblicato uno studio sulla disinformazione messa in atto dal Cremlino. Può esporci, in sintesi, i contenuti del paper?

MDP: L’Istituto Germani, nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2023, ha organizzato a Roma tre convegni sul tema della dezinformatsiya e delle misure attive in Italia con esperti nazionali e internazionali. I tre report, scaricabili gratuitamente dal sito, approfondiscono le narrative strategiche russe discusse in questi seminari ossia quelle relative alla guerra in Ucraina, quelle sulla minaccia nucleare e sulla Nato e quelle relative alla decadenza dell’Occidente.

La disinformazione, la propaganda e le narrazioni strategiche sono fenomeni che si inquadrano nel tema più ampio della guerra cognitiva, una guerra il cui campo di battaglia è la mente umana. Nel XXI secolo essa si avvale di nuove tecnologie digitali, social media, intelligenza artificiale e avanzamenti nelle neuroscienze e nelle neurotecnologie.

La guerra cognitiva promossa da Stati avversari rappresenta una delle principali minacce alla stabilità e alla sicurezza delle democrazie occidentali. Le grandi potenze autocratiche del mondo non-occidentale – soprattutto Russia, Cina e Iran – ricorrono sistematicamente alla guerra cognitiva sia all’interno (per controllare le proprie popolazioni) sia all’estero, per tentare di influenzare e destabilizzare le democrazie occidentali tramite la diffusione massiccia di narrazioni strategiche false o fuorvianti.

Una narrazione strategica è un mezzo di cui si avvale un attore politico per costruire un significato condiviso del passato, del presente e del futuro delle relazioni internazionali al fine di plasmare le opinioni e condizionare i comportamenti di attori all’interno e all’estero. Tali narrazioni mirano a creare una percezione distorta della realtà, nell’opinione pubblica e nei decisori politici dei Paesi-bersaglio, per favorire gli interessi geopolitici dello Stato aggressore.

La Russia di Vladimir Putin ha elaborato una strategia di “guerra non-lineare” tesa a indebolire e sconfiggere l’avversario destabilizzandolo dall’interno tramite la disinformazione, la propaganda e altre tecniche sovversive, come il sostegno occulto a partiti politici anti-sistema etc.

La sfida della guerra cognitiva russa alle democrazie occidentali non può essere compresa correttamente se non si conosce la tradizione sovietica delle misure attive, di cui Vladimir Putin è erede e continuatore. Il termine sovietico “misure attive” (aktivnye meropriyatiya) abbracciava diverse tecniche di influenza e destabilizzazione politica e psicologica utilizzate dal KGB e dal Partito Comunista Sovietico per favorire l’indebolimento progressivo ed eventuale collasso dell’Occidente capitalistico, e la parallela espansione del sistema comunista in tutto il mondo.

Il terzo paper si occupa delle narrazioni strategiche relative al tramonto dell’Occidente “decadente e nichilista” e al fallimento delle democrazie liberali diffuse in Italia da media russi attivi nel nostro Paese, da media autoctoni filo-Cremlino e da opinion maker influenzati dal Cremlino, e analizza la loro evoluzione in relazione agli eventi chiave dell’ultimo decennio: crisi migratoria, terrorismo jihadista, pandemia da Covid-19, guerra in Ucraina.

Dopo una prima parte storica e teorica, lo studio analizza la natura del regime putiniano e la sua ideologia, approfondisce il concetto di Occidente Collettivo e passa in rassegna alcune macro-narrazioni ricorrenti utilizzate da Mosca per attaccare l’Occidente. Nella parte finale si analizzano le principali narrazioni sul tema del tramonto dell’Occidente e del fallimento dell’ideologia liberale diffuse dalla versione italiana di Geopolitika.ru, da Sputnik Italia e da altri “media alternativi” italiani.

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