Esteri

Stato dell’Unione: Trump avanti tutta, contro macchina globalista e burocrazie non elette

Fischiano le orecchie a Bruxelles. Dal 2 aprile dazi equivalenti a tutti. Fine della dittatura woke. Focus sui temi interni, nessuna rivincita su Zelensky. Disordini dei Democratici in aula

Trump Union (C-Span)

No more nice guy Trump. Quello che si è presentato di fronte alla sessione plenaria di Camera e Senato non è più il palazzinaro di New York che, otto anni fa, era arrivato alla Casa Bianca convinto di poter fare affari con tutti, anche con il deep state della Beltway. Il Donald J. Trump che per quasi due ore ha elencato i successi già raccolti dalla sua amministrazione in soli 43 giorni dall’inaugurazione non ha più voglia di scherzare.

Rivoluzione del buon senso

È uscito dal crogiolo di Butler, Pennsylvania con la coscienza di esser stato risparmiato per una ragione sola: make America great again. Il primo discorso ufficiale, che non può essere definito Stato dell’Unione, visto che è solo il secondo presidente a servire un mandato non consecutivo, ha oscillato tra voli pindarici, retorica altisonante e la ferrea determinazione di chi si sente portabandiera di una vera e propria crociata.

Trump l’ha chiamata la “rivoluzione del buon senso”, che a suo dire starebbe dilagando in tutto il mondo ma non è che la punta dell’iceberg di quella che vede come una battaglia finale contro la macchina globalista, le burocrazie non elette che negli ultimi decenni hanno reso sempre più irrilevante lo stesso istituto della rappresentanza democratica.

Questo Trump non ha più niente da perdere e si muove con la grazia e la leggerezza di un bulldozer, determinato a distruggere i meccanismi infernali che usavano i soldi dei contribuenti per ridurli in catene.

Un atteggiamento così diretto non poteva che causare reazioni scomposte, che hanno reso questo discorso uno dei più turbolenti della storia. Se lo scopo dei Democratici intervenuti era mostrare a tutti quanto trovino oltraggioso il comportamento del 47° presidente degli Stati Uniti, l’unica cosa che sono riusciti a dimostrare è come, a meno di un cambio di rotta tanto radicale quanto improbabile, il Partito Democratico avrà enormi difficoltà a recuperare la fiducia degli elettori indipendenti.

Un Trump sempre all’attacco

Il tono del discorso si è capito già dalla prima battuta, quell’America is back che era diventato uno dei cavalli di battaglia del suo predecessore Joe Biden, inteso, però, in maniera del tutto diversa. Stavolta l’America è tornata per occuparsi finalmente dei suoi interessi. Se buona parte del discorso è stato dedicato a quanto fatto in queste sei settimane, talmente frenetiche da sembrare lunghe una vita e mezza, Trump ha continuato ad attaccare direttamente quei Democratici che, nel corso delle due ore, hanno applaudito solo quando ha parlato del sostegno all’Ucraina nel conflitto con la Russia. La frase di Trump è stata lapidaria:

Questo è il mio quinto discorso davanti al Congresso e ancora una volta, guardando i Democratici di fronte a me, mi rendo conto che non posso fare niente che li renda contenti o che li faccia sorridere o applaudirmi. Niente di niente.

Allo stesso tempo è un’accettazione del muro contro muro messo in piedi dal partito dall’Asinello ma anche una dichiarazione di intenti: ora che abbiamo il mandato popolare, andremo avanti anche senza di voi. “Il nostro Paese non sarà più woke”, i lavoratori saranno assunti per “capacità e competenza, non razza e genere”, la “dittatura del cosiddetto Diversity Equity and Inclusion è finita”.

Gli attacchi dei Democratici sul prezzo delle uova, che, stranamente, è tornato notizia da prima pagina dopo esser stato ignorato per anni? “Colpa di Biden, che ci ha lasciato un’economia disastrosa”. La sua soluzione? Per la prima volta in 24 anni, approvare un bilancio federale in pareggio, l’unico modo per mettere un freno alla “peggiore inflazione in 48 anni ma forse di tutti i tempi, nemmeno loro lo sanno davvero”. La staffilata più pesante è arrivata nei confronti della burocrazia federale, che ha già iniziato la guerriglia procedurale e legale:

La mia amministrazione riconquisterà i poteri usurpati da questi burocrati irresponsabili. Ogni burocrate federale che resisterà a questo cambiamento sarà rimosso dal suo incarico. Stiamo prosciugando la palude. L’epoca del governo di burocrati non eletti è finita.

Immagino che a parecchi a Bruxelles saranno fischiate le orecchie.

Dazi, tagli delle tasse e boom dell’auto

Nelle due ore si è parlato di tutto e di più, dalle solite storie di eroismo e coraggio che in America sono parte irrinunciabile di ogni discorso fino a ripetere che quelle che erano state considerate da molti come semplici sparate, ovvero la “riconquista” del canale di Panama e la disponibilità ad accettare che la Groenlandia diventi il 51° stato dell’Unione continuano ad essere obiettivi chiave della seconda amministrazione Trump.

La notizia che, però, causerà più discussioni in tutto il mondo è l’annuncio che, a partire dal 2 aprile (non il primo, per evitare che si pensi che sia un pesce d’aprile) gli Stati Uniti imporranno ad ogni stato al mondo tariffe equivalenti a quelle che vengono imposte alle merci americane.

Gli altri Paesi hanno usato le tariffe contro di noi per decenni. Ora tocca a noi fare lo stesso. Tariffe reciprocal, li tasseremo quanto ci tassano noi.

La soluzione? Fate come la Honda, che aprirà una enorme fabbrica in Indiana: se non producete da noi, pagherete una “sostanziosa tariffa”. L’attacco all’Unione europea è arrivato in termini non equivocabili: “se state imponendo vincoli non monetari, negandoci accesso ai vostri mercati, faremo esattamente lo stesso”. Non importa se siete “amici o nemici”, le tariffe puniranno tutto e tutti.

Un segnale, poi, è stato lanciato al potente sindacato del settore automobilistico, la United Auto Workers, tra i più entusiasti all’idea di imporre tariffe nei confronti di Canada e Messico. Per stimolare la produzione di auto, l’idea di Trump è semplice: rendere i pagamenti delle rate dell’auto deducibili ma “solo se l’auto è costruita in America”. A sentire il presidente, “il settore dell’auto, ora che i mandati green sono finiti, vivrà un boom incredibile”.

Il caso Zelensky? Una nota a margine

La scelta di non parlare in maniera espansiva della lite con Zelensky e dell’evoluzione del processo di pace in Ucraina è abbastanza evidente. La notizia della lettera del presidente ucraino che conferma l’intenzione di firmare l’accordo per lo sfruttamento delle risorse minerarie e di sedersi al tavolo delle trattative con Stati Uniti e Russia è sembrata quasi marginale.

Interessante il fatto che, al contrario dei Democratici, bersagliati più e più volte dalle battute del presidente, Trump abbia deciso di non prendersi nemmeno una piccola rivincita su Zelensky dopo il suo comportamento nell’Oval Office di venerdì scorso.

Molta più attenzione è stata riservata a tematiche interne, dalla lotta all’immigrazione, alla guerra dichiarata ai cartelli messicani, al tema caldissimo della partecipazione di atleti transgender alle competizioni riservate alle donne.

A fare notizia, però, è stato il comportamento di deputati e senatori democratici, rimasti impassibili anche di fronte all’annuncio dei 1.700 miliardi di investimenti provenienti da ditte estere o dal lungo elenco di sprechi e frodi che sono stati individuati in queste sei settimane dal dipartimento per l’efficienza governativa guidato da Elon Musk. Poco prima dell’inizio del discorso, l’ex speaker della Camera Nancy Pelosi aveva consigliato ai suoi colleghi di “non diventare parte della storia”. Evidentemente l’invito alla moderazione è caduto nel vuoto, visto che l’inizio del discorso si è trasformato in una scena decisamente poco edificante.

Partito Democratico nel caos

Se alcune deputate e senatrici, inclusa la stessa Pelosi, avevano scelto di vestirsi di rosa, replicando quanto fatto nello State of the Union del 2019, per mostrare in maniera evidente ma pacata il loro disappunto per le parole del presidente, altri hanno scelto metodi molto meno urbani.

Urla e slogan si sono ripetuti durante tutto il discorso, spesso soffocati dalle incitazioni dei repubblicani ma la scelta del deputato del Texas Al Green è stata ancora più radicale. Il rappresentante del nono distretto del Lone Star State, che comprende la città di Houston, si è alzato in piedi e, brandendo il suo bastone da passeggio in direzione di Trump, ha ripetutamente urlato al presidente che “non ha un mandato”.

La confusione è continuata a lungo, tanto che, dopo numerosi avvertimenti, lo speaker Mike Johnson ha dato l’ordine al sergeant-at-arms, responsabile della security all’interno del Congresso, di scortare Green fuori dalla sala. Non inquadrati dall’attenta regia delle telecamere, parecchi suoi colleghi Democratici hanno preferito lasciare la sala alla chetichella, causando un evidente assottigliamento dei ranghi del partito dell’Asinello.

Il problema dei problemi è sempre lo stesso: più lo attaccano a testa bassa, più Donald Trump aumenta in termini di popolarità. Il presidente ha più volte ricordato come l’aria che si respiri in America sembri diversa. “Per la prima volta nella storia moderna, più americani pensano che il Paese si stia muovendo nella direzione giusta: uno swing di ben 27 punti, davvero incredibile”.

Verso le mid-term

Se alcuni media legacy, prima tra tutti la Reuters, fanno notare come i loro numeri siano decisamente diversi, con il 49 per cento degli americani che si dicono insoddisfatti della direzione del Paese, non è certo una questione di numeri. Le tariffe del 25 per cento imposte nei confronti di Canada, Messico e Cina avranno ripercussioni sui portafogli degli americani e l’inflazione rimane comunque un problema molto reale.

Se vorrà evitare di perdere il controllo della Camera nelle mid-terms del 2026, la ricetta di Trump per l’economia dovrà iniziare a dare qualche frutto già prima della fine dell’anno. A giocare a suo favore, incredibilmente, avrà il fatto che il Partito Democratico sia ancora nel caos e non voglia saperne di mollare la identity politics e l’ossessione per il gender.

Il fatto che ogni singolo senatore democratico, incluso il moderato John Fetterman, abbiano votato contro la risoluzione che avrebbe portato la legge sulla partecipazione di atleti trans nelle competizioni femminili è al limite dell’assurdo. Il tema è sentitissimo tra le elettrici indipendenti e, secondo i sondaggi, approvato da oltre l’80 per cento degli americani.

Fare sceneggiate del genere, come esporre cartelli francamente ridicoli come quello che aveva scritto “Musk sta rubando” e battersi contro la guerra agli sprechi immensi dell’amministrazione è la ricetta migliore per condannarsi all’irrilevanza per molti, molti anni.

Il cammino che avrà di fronte Trump nei prossimi tre anni e mezzo sarà sicuramente pieno di ostacoli ma, se questi sono i suoi avversari, il movimento America First ha di fronte un futuro radioso.