Esteri

Ucraina al buio e al freddo: l’ultima arma di Putin per piegare Kiev

Due guerre: quella di Mosca un’aggressione unilaterale con tattiche terroristiche; quella di Kiev una guerra di resistenza e di indipendenza unica nel suo genere in Europa

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C’è un buco nero in mezzo all’Europa, si chiama Ucraina. Dalle mappe satellitari della NASA emerge l’entità della tragedia che sta colpendo il Paese martoriato dall’aggressione russa. Putin e i suoi gerarchi hanno deciso l’ennesima azione criminale volta a mettere in ginocchio una nazione che non ha intenzione di arrendersi: spegnere un intero Paese, lasciarlo al buio, farlo morire di freddo.

Per i russi, una guerra di conquista

Il Parlamento europeo ha votato quasi all’unanimità (meno i soliti noti, estrema destra, estrema sinistra, Movimento 5 Stelle e anime belle del Pd) una risoluzione in cui dichiara la Russia “Stato terrorista”: criticata da alcuni come “inutile”, da altri come “controproducente”, è in realtà un atto dovuto perché in guerra più che mai è necessario chiamare le cose con il loro nome.

Non è un conflitto tra Stati, non lo è mai stato, come su queste pagine abbiamo provato a spiegare fin dall’inizio: è un’aggressione unilaterale perpetrata da un regime autoritario dai tratti marcatamente paranoici contro una democrazia sovrana, condotta con tattiche terroristiche (cioè volte a suscitare il terrore tra la popolazione) e diretta all’annientamento dell’Ucraina come nazione.

Per gli ucraini, una guerra di indipendenza

Osservata dal punto di vista delle vittime e di chi ne sostiene la lotta per la sopravvivenza, però, è anche la prima guerra di resistenza e di indipendenza propriamente detta dall’inizio del XX secolo in Europa. Una battaglia eroica, che unisce esercito e civili, condotta senza la partecipazione diretta degli alleati e senza contrattacchi sul territorio dell’invasore.

Ed è questo un elemento differenziale rispetto alla Seconda Guerra Mondiale, quando il territorio tedesco a un certo punto fu coinvolto nel conflitto e pesantemente castigato dalle forze anti-naziste.

Oggi questa prospettiva non è all’orizzonte e, per quante armi e sistemi di difesa arrivino a Kyiv da Occidente, alla fine l’Ucraina dovrà salvarsi da sola. Ma la sua salvezza sarà anche la nostra, soprattutto se la guerra dovesse concludersi con una disfatta e una ritirata dell’esercito russo.

Il buio e il freddo

I bombardamenti degli ultimi giorni colpiscono le centrali elettriche e le infrastrutture, comprese le installazioni utilizzate per la produzione di energia nucleare.

Già nelle prime fasi dell’invasione si erano avute avvisaglie in tal senso, ma è solo a partire dalla ritirata da Kherson che l’attacco a tappeto e trasversale (da Est a Ovest) contro le fonti di alimentazione del Paese è diventato la principale arma di Mosca per piegare la resistenza militare e civile degli ucraini.

Un crimine nel crimine, che rischia di riaprire l’esodo di milioni di cittadini verso i Paesi confinanti. Ma che innanzitutto dà la misura della barbarie di cui i russi si stanno dimostrando capaci, una guerra totale che riporta alle immagini della Seconda Guerra Mondiale: prendere le città per fame, in questo caso per freddo, e causare migrazioni massive.

Il paragone con l’Holodomor

C’è chi paragona tutto questo all’Holodomor, la carestia provocata dalla collettivizzazione staliniana che all’inizio degli anni ‘30 del secolo scorso decimò la popolazione dell’Ucraina.

Anche se l’intenzione criminale di Putin e l’accanimento sulla nazione ucraina sono del tutto evidenti e rispecchiano la lunga tradizione di oppressione e ricatto da parte di Mosca, bisogna stare attenti a non cadere nella trappola dell’assimilazione a tutti i costi: l’Holodomor fu un genocidio per fame che costò la vita a milioni di persone (da quattro a sette, secondo le stime), paragonabile pertanto solo all’Olocausto nazista.

Oggi siamo di fronte a un crimine abominevole ma per fortuna ancora distanti da un massacro di quelle dimensioni. Non si tratta quindi di relativizzare le conseguenze della guerra di Putin ma di contestualizzarle, proprio per evitare di sminuire la portata degli eccidi di massa del XX secolo e il male assoluto rappresentato dal comunismo sovietico (di cui Putin è a tutti gli effetti erede).

Soldati russi al macello

Il paradosso di questa tragedia al centro dell’Europa – e ad un tempo la dimostrazione della natura anche suicida della guerra russa – è rappresentato dal fatto che sono gli stessi soldati dell’esercito di Mosca a morire congelati. Mal equipaggiati, senza rifornimenti, probabilmente senza cibo, molti di loro giacciono come in dormiveglia all’interno di piccole trincee di fortuna, in evidente stato ipotermico.

Nonostante la censura, è improbabile che quelle immagini non arrivino in patria. Che la mobilitazione dei 300 mila serva a mandare al macello in questo modo una generazione di ventenni non potrà non avere un prezzo per chi ne ha deciso la sorte dalle stanze del Cremlino.

Non c’è pace…

Scrive Timothy Garton Ash sul Guardian:

Non ci sarà pace duratura in Europa finché Putin rimarrà al Cremlino. Non possiamo rimuoverlo, ma possiamo contribuire a creare le condizioni per cui gli stessi russi alla fine abbandoneranno il cammino autodistruttivo verso cui ha lanciato il loro Paese. In fondo, anche la Russia trarrà vantaggio da una sconfitta russa in Ucraina.

Non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza il ripristino della libertà e della sovranità in Ucraina.

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