Politica

Caso Salis: le catene, la presunzione di innocenza, l’insegnamento

Doveroso pretendere da Budapest condizioni di detenzione dignitose, ma ricordiamoci delle carceri anche in Italia. Ancora compatibile con l’insegnamento?

Ilaria Salis

Ciò che ha destato stupore è stato vedere le immagini di Ilaria Salis portata a processo in aula con catene a mani e piedi, chiuse con pesanti lucchetti. 

È indubbiamente una immagine che desta sgomento, per il principio ineluttabile che un Paese civile non debba mai “violare la normativa europea per i diritti umani”, come ricordato anche da ministro Antonio Tajani. E richiamato dalla premier Giorgia Meloni, che ha avuto un colloquio con il premier Viktor Orban proprio sulla questione. Il quale, ovviamente, ha garantito che non può fare ingerenze sulle decisioni di una magistratura autonoma, ma che garantirà la incolumità e la sicurezza della detenuta in attesa di giudizio.

Chi è Ilaria Salis

Chi è Ilaria Salis? Fino a pochi giorni fa una emerita sconosciuta ai più. Oggi alla ribalta su media e quotidiani come una cittadina italiana, insegnante di 39 anni, da quasi un anno rinchiusa nel carcere di Budapest, accusata di aver aggredito e ferito un militante di organizzazioni neonaziste durante una mobilitazione di protesta. Nelle sue tasche, lo ricordiamo, è stato rinvenuto un manganello e ciò non depone a suo favore. “Solo per sua difesa”, la giustifica il padre. 

Salis, spesso comparsa in passato in manifestazioni dei centri sociali contro la destra, fu coinvolta insieme ad altri militanti nell’assalto ad un gazebo della Lega a Monza, il 18 febbraio 2017. Quel giorno, le due ragazze nel gazebo furono attaccate con insulti e sputi da un nutrito gruppo di facinorosi, tra cui lei, che per quei fatti andò a processo. Poi assolta.

Le accuse ungheresi

Ed oggi si trova in carcere a Budapest. Accusata ancora una volta di aggressione assieme ad altri di due manifestanti di estrema destra, scesi in piazza per commemorare il Giorno dell’onore: l’anniversario di quando un battaglione nazista nel ‘45 tentò di impedire l’assedio di Budapest da parte dell’Armata Rossa.

Per questi presunti reati le è stato proposto un patteggiamento a 11 anni di carcere, che lei ha rifiutato, e il processo è stato rinviato al 24 maggio. Lei si dichiara innocente. E lo è fino a prova contraria, nulla da dire. Saranno i giudici a decidere in base ai fatti, non certo il popolo dei social o la stampa. Ma sicuramente non deve diventare il cavallo di battaglia della sinistra per attaccare il governo italiano che, a parte ciò che ha fatto, altro non può.

Condizioni delle carceri

Se un cittadino commette reati, è giusto che paghi. Qui, o fuori. Non è questione di bandiere di sinistra o destra, è legge. La detenzione in condizioni indegne, con topi, scarafaggi e cimici da letto, non fotografa solo il disagio della Salis, bensì di ogni popolazione detenuta che dovrebbe necessariamente vivere la propria reclusione (specie se in attesa di giudizio) in condizioni umane. E su questo non ci piove. Peraltro condizioni indegne sono la normalità anche in Italia, dove esiste sovraffollamento delle carceri e poca, quindi, igiene e sicurezza.

Durante Quarta Repubblica, Nicola Porro ha trasmesso la testimonianza del padre di Salis, in diretta da Budapest, che avuto modo di raccontare la situazione. Ma ha anche affermato che se la figlia è colpevole, è giusto che ne paghi le conseguenze.

Cattivi maestri

Ma se da una parte è giusto denunciare che Budapest non rispetta le norme che vietano “che venga esibito il detenuto con le manette e in condizioni di umiliazione”, dall’altra c’è da chiedersi quanto sia opportuno, legittimo e osservante dei principi cardine dell’insegnamento che Ilaria Salis possa insegnare ai nostri figli

Qualunque cittadino/a è libero/a di agire e vivere le proprie esperienze e idee politiche in uno stato democratico quale siamo, ma è anche vero che se si ritiene ragion di vita (come appare) intervenire con estrema irruenza in manifestazioni politiche diventa difficile rivestire un’immagine di laicità e assenza di pregiudizi, come una insegnante dovrebbe essere.

Ma, al di là di ciò, non perché sia poca cosa, ecco le parole del padre, rientrato in Italia: “Era abbastanza in difficoltà perché poi era molto emozionata, era emotivamente molto trascinata. Il colloquio è andato meglio perché stava molto meglio, era più rilassata ed era anche contenta di quello che era accaduto lunedì; era più bella insomma”. E vederla sorridere in aula, che dire? Insomma, ci conforta.

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