Politica

Conte, Schillaci e Palù, ci risiamo: un Paese che vive di amnesie

E che non sa affrancarsi dalle misure illiberali. 25 aprile e 1° maggio celebrati solo a parole da accaniti sostenitori del Green Pass che calpestava libertà e lavoro

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Qualche giorno fa, nel corso di un’intervista al Corriere della Sera, il presidente dell’Aifa Giorgio Palù ha dichiarato che “il Covid non è più un rischio per il mondo”. Di conseguenza, attende che l’Oms dichiari la fine della pandemia in quanto non vi sono più pericoli dal punto di vista virologico.

Ormai, il virus venuto dalla Cina si avvia ad avere “una diffusione legata alla stagione fredda come l’influenza”. Peraltro, la nuova variante ribattezzata Arturo viene considerata “un mutante innocuo, contagia ma non è mortale”. Nonostante questo, Palù ha parlato pure di una nuova campagna autunnale di vaccinazione sia anti-influenzale che anti-Covid.

Principio di precauzione dimenticato

Insomma, gira e rigira, si torna sempre al punto di partenza come in un infinito gioco di società. Infine, Palù ha minimizzato la portata degli errori commessi dalla comunità scientifica: “Se ci sono stati, sono legati a conoscenze che andavano maturando di giorno in giorno; le scelte erano improntate al massimo della cautela e della prudenza”. Il presidente dell’Aifa ha, tuttavia, aggiunto “riconosciamo con umiltà che, soprattutto dovendo decidere in tempi critici, possiamo essere fallaci”.

Magari, proprio l’incertezza avrebbe dovuto suggerire un approccio meno draconiano nel limitare diritti e libertà in presenza di un’emergenza sanitaria. Così come va osservato che il famoso principio di precauzione è stato dimenticato quando si è trattato di somministrare in maniera massiccia e generalizzata le dosi di vaccino nonostante le criticità legate all’insorgenza di effetti collaterali (specialmente nelle fasce più giovani della popolazione).

Perciò, se sul versante medico è cessato l’allarme, non si può certo archiviare l’aspetto politico della vicenda. Restano ancora troppi nodi irrisolti sul tavolo che meritano un serio approfondimento.

L’obbedienza degli italiani

Nei giorni scorsi, l’ex premier Giuseppe Conte – che sarà interrogato il prossimo 10 maggio dalla Procura di Bergamo, unitamente all’ex ministro Speranza – ha rievocato i giorni delle grandi restrizioni. “Ricordo la mia preoccupazione riguardante l’obbedienza civile ogni volta che dovevamo illustrare un provvedimento, lo dicevo anche ai ministri: cosa succederebbe se nessuno rispettasse le nostre indicazioni?”, ha dichiarato il leader pentastellato all’agenzia di stampa Vista (il video è rintracciabile su YouTube).

Sappiamo che gli italiani, storditi da continue dosi di paura, si sono piegati abbastanza docilmente ai diktat sanitari, in alcuni casi sviluppando la tendenza alla delazione propria di certi regimi dittatoriali.

I poteri speciali alle Regioni

A proposito della commissione d’inchiesta parlamentare, Conte ha definito “vergognoso il modo in cui le forze di maggioranza stanno affrontando il tema” dolendosi del fatto che le Regioni siano state tenute al riparo dall’inchiesta.

Eppure, il punto dolente – come già precisato nell’articolo della scorsa settimana su Atlantico – è quello dei poteri in deroga concessi agli enti territoriali dai tanti Dpcm contiani che hanno incoraggiato l’attivismo di molti “governatori”.

Così, ci si è ritrovati in un contesto assurdo in cui le regole sanitarie variavano da Regione a Regione in barba alla certezza del diritto con un aggravamento del quadro provocato da una raffica di ordinanze (spesso in contrasto con la normativa nazionale) che hanno inciso pesantemente sui diritti fondamentali.

Magari, dopo tre anni, qualcuno potrebbe pure indicare la norma costituzionale che ha permesso alle Regioni di limitare la libertà di movimento, se non addirittura quella personale. Altrimenti, in mancanza di un appiglio giuridico, diventa arduo giustificare con la sola emergenza un tale guazzabuglio e un tale stravolgimento del nostro ordinamento.

Ancora con le mascherine

Peraltro, come se non bastasse, l’attuale ministro Orazio Schillaci ancora non riesce a liberarsi di tutte le regole pandemiche ereditate dal suo predecessore. Infatti, l’obbligo di indossare la mascherina persisterà all’interno delle Rsa e in alcuni reparti ospedalieri tra cui i pronto soccorso. “Non abbiamo tolto l’obbligo e lo riprorogheremo: indossare le mascherine in ospedale è una forma di rispetto verso i pazienti più deboli“, è stato il motto di Schillaci in versione Speranza.

Tanto è vero che non si comprende la ragione di una disposizione limitata solo ad alcuni reparti. Inoltre, sarà demandato ai direttori sanitari e ai direttori medici delle varie strutture territoriali, nonché ai medici di famiglia la facoltà di conservare l’obbligo o meno. In sostanza, tutto cambi perché nulla cambi.

Purtroppo, questa sopravvivenza di norme – che spesso si sono dimostrate pure inutili, se non nocive – è un modo per normalizzare la fu emergenza, rendendo ordinario quello che nelle intenzioni doveva essere straordinario e temporaneo.

Liberazione celebrata a parole

Per di più, in questo periodo di celebrazioni compreso tra il 25 aprile e l’1 maggio, risulta ancor più beffardo ascoltare tanti che difendono (a parole) la libertà e i diritti ma furono tra i più accaniti sostenitori del Green Pass o quelli che sfileranno in piazza a difesa dei lavoratori ma – nella migliore delle ipotesi – non dissero nulla quando tanti di questi furono privati dello stipendio per non essersi piegati agli obblighi sanitari.

L’autocritica di Fauci

È uno strano Paese il nostro, che vive di amnesie e non sa affrancarsi dalle misure illiberali. Perfino, Anthony Fauci ha ammesso durante un’intervista al New York Times che “chiaramente qualcosa è andato storto”. Per l’immunologo americano è inaccettabile che il Paese più ricco del mondo non abbia saputo affrontare il virus in modo da limitare i decessi.

Gli si potrebbe obiettare che è andato tutto storto perché al disastro sanitario si è sommata la crisi democratica delle istituzioni occidentali che hanno adottato in molti casi misure di stampo cinese. È di questo che si dovrebbe discutere una volta per tutte, per evitare che in futuro un virus anti-democratico possa insinuarsi e dilagare senza trovare alcun anticorpo a fronteggiarlo.

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