Politica

Covid, perché è un errore insistere con la via giudiziaria

La Commissione d’inchiesta sebbene depotenziata suscita ancora imbarazzi e timori. Molti più che una memoria collettiva, preferirebbero un’amnesia generale

Roberto Speranza © koto_feja tramite Canva.com

Ricondurre la gestione sanitaria del triennio Covid a una questione puramente giudiziaria si conferma un errore. Ora, dopo l’archiviazione già disposta dalla Procura di Bergamo, arriva per l’ex ministro Roberto Speranza anche quella dell’omologo ufficio romano che ha trasmesso la richiesta al Tribunale dei ministri. Un secondo provvedimento di archiviazione non può che ringalluzzire tutti gli acerrimi nemici della Commissione parlamentare d’inchiesta, già particolarmente agguerriti.

Ribaltamento della realtà

Basti pensare al fatto che i principali organi di informazione non hanno dato particolare rilevanza all’iscrizione nel registro degli indagati di Speranza salvo poi enfatizzare la richiesta di archiviazione confermando che la granitica narrazione sul Covid non è stata scalfita neppure dal cambio di governo. In effetti, la gabbia ideologica che imperversa su ogni argomento, dall’estremismo ecologico alla martellante insistenza sul patriarcato, imprigiona ancora il dibattito sugli anni del terrore sanitario.

Qualche giorno fa, su La Stampa, Eugenia Tognotti ha scritto che “bisogna affrontare e mitigare i pregiudizi che minacciano la memoria collettiva e la percezione di quell’evento storico”. L’invito esplicito è stato rivolto a coloro che dirigono e supervisionano le indagini politiche. E, quindi, ha aggiunto che “nel trarre conclusioni su quali interventi pandemici fossero giustificati o efficaci e quali no, è imperativo che gli investigatori facciano affidamento il più possibile su dati concreti e prove”. Per dirla alla Tayllerand, si potrebbe prendere in prestito il suo famoso aforisma “soprattutto non troppo zelo”, nel senso che un minimo di autocritica dovrebbe partire da chi ha giustificato e caldeggiato qualsiasi misura draconiana o liberticida.

Oggi, appare paradossale ribaltare la situazione invitando chi è chiamato a indagare sulla gestione sanitaria a rimuovere qualsiasi preconcetto di sorta quando è noto come i totem pandemici sono rimasti in piedi anche di fronte a dati di fatto incontrovertibili. Nessuno ha fatto ammenda di fronte all’inconsistenza del teorema draghiano (“il Green Pass è la garanzia di ritrovarsi tra persone non contagiate o non contagiose”) oppure di fronte alla nociva strategia dei lockdown prolungati. Errare è umano, perseverare serve a intralciare il cammino verso la verità.

Commissione ancora temuta

Perciò, incaponirsi sulla via giudiziaria rischia di depotenziare qualsiasi giudizio politico su una vicenda così controversa. Già sappiamo che la Commissione d’inchiesta ha deciso di ridurre il perimetro della propria azione dopo l’intervento del capo dello Stato, inibendosi la possibilità di valutare la legittimità costituzionale della normativa pandemica. Tuttavia, pure questa Commissione dimezzata crea ancora imbarazzi e timori.

La realtà è che il Covid resta una pagina nera della nostra vita civile e democratica. Ecco perché i protagonisti di quella stagione non sono propensi ad aprire gli archivi e, più che favorire una memoria collettiva, preferirebbero un’amnesia generale.

E con questo nuovo allarme sanitario proveniente dalla Cina c’è poco da star tranquilli. Il rischio che la democrazia liberale venga di nuovo contagiata da un virus autoritario, che le libertà individuali vengano sacrificati sull’altare del tremendismo sanitario, che il dissenso non sia tollerato, non è ancora scongiurato.

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