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I tre Berlusconi e la lezione che lasciano a Giorgia Meloni

Il prof. Luigi Curini: Berlusconi il rivoluzionario, il moderato e il “difensore”. Meloni ha raccolto l’aspetto moderato, avendo compreso i rischi dell’isolamento estero

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I meriti, i limiti e gli errori della lunga carriera politica di Silvio Berlusconi, e le lezioni che lascia a Giorgia Meloni, oggi alla guida del governo. Ne abbiamo parlato con Luigi Curini, professore ordinario di Scienza politica all’Università degli Studi di Milano.

Il colpo di genio

TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: Prof. Curini, quale bilancio si può trarre, ancora a pochi giorni dalla morte, dell’attività politica di Silvio Berlusconi? Quali i meriti e gli errori?

LUIGI CURINI: Resterà per sempre una figura in chiaroscuro, anche se a mio avviso i meriti superano gli aspetti negativi, senza dubbio presenti. Qual è il principale merito del Cav? Sicuramente aver dato vita ad una democrazia dell’alternanza in Italia, assente fino al momento della sua discesa in campo.

Senza di lui avrebbe stravinto la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto, anche perché il campo del nascituro centrodestra appariva irrimediabilmente diviso tra Gianfranco Fini e Umberto Bossi, destinati alla sconfitta proprio perché incapaci di unirsi.

Il colpo di genio di Berlusconi (che in letteratura chiameremmo “mossa erestetica”) è stato quello di ristrutturare la competizione politica per raggiungere l’obiettivo prefissato. Scende in campo e crea il “Polo del Buongoverno”, partorendo le basi per la nascita del centrodestra. Una rivoluzione, al netto dei successi e degli insuccessi avuti negli anni successivi.

I tre Berlusconi

TADF: Quanti Berlusconi ci sono stati in trent’anni? Rivoluzionario in principio, per poi istituzionalizzarsi con il tempo?

LC: Ne abbiamo avuti tre. Il primo è quello citato nella sua domanda – ovvero il rivoluzionario, il leader della promessa liberale – durato però ben poco. Appena 6 mesi, il tempo del suo primo governo.

L’autentico e sincero rivoluzionario muore politicamente in quel momento: cambia improvvisamente idea perché si rende conto che deve interessare e piacere per un lungo periodo. Paradossalmente, scopre che agli italiani della svolta liberale in sé non interessa nulla. Questo fattore si aggiunge agli ostacoli derivanti dalla burocrazia pubblica e favorisce una trasformazione del personaggio.

Il secondo Berlusconi è invece prettamente politico. Un imprenditore che si fa capo di partito e punta esclusivamente a vincere le elezioni nazionali. Si accorge della necessità di allargare il campo per ottenere la maggioranza, anche a costo di presentare programmi elettorali confusi e diversi a seconda delle zone del Paese.

Pensiamo all’alleanza con la Lega al nord e con Alleanza Nazionale al Sud. Berlusconi è per natura un vincente, non sopporta l’idea della sconfitta e si dimostra disposto ben presto ad abdicare alla rivoluzione liberale, in cambio dell’avvento delle condizioni utili alla permanenza al potere.

Il post-2011

TADF: E il terzo Berlusconi?

LC: È quello post-2011. Precisamente, nasce dopo il celebre titolo “Fate presto” del Sole24Ore. Quella pagina di giornale rappresenta l’accoltellamento di una parte del mondo industriale, da cui Berlusconi non si aspettava un voltafaccia così netto.

Da quel momento in poi si assiste al Cav affaticato, perennemente sotto processo, che si trasforma da “attaccante di ruolo” ad impensabile “difensore”. Il suo obiettivo non è più vincere, piuttosto minimizzare le perdite: evitare il crollo dell’impero economico e frenare l’assalto giudiziario in corso ai suoi danni.

Per scansare colpi fatali ritiene di dover istituzionalizzarsi, ragion per cui appoggia il governo Monti, poi stringe il patto del Nazareno con Renzi (accettando anche la batosta ricevuta con l’elezione di Mattarella) e infine porta Forza Italia addirittura nel governo Draghi. L’artefice della politica ne diventa ormai comparsa.

L’eredità raccolta da Meloni

TADF: Che eredità del Cav raccoglie Giorgia Meloni, il rivoluzionario o il moderato?

LC: Giorgia Meloni ha raccolto l’aspetto moderato, perché ha compreso il peso politico esercitato a Roma dalle istituzioni europee. È una leader pragmatica che si è resa conto di quali debbano essere i rapporti con Bruxelles.

Ha preso spunto dal fallimento di Berlusconi e vuole evitare batoste, per cui porta avanti delle scelte derivanti dalla necessità politica, piuttosto che dalla sua esclusiva volontà, omettendo cambiamenti radicali che il nostro Paese deve accettare e comprendere di non potersi permettere.

TADF: La Meloni ha capito che conviene avere un buon consenso a lungo termine, piuttosto che una fiammata elettorale molto alta quanto veloce nell’esaurirsi?

LC: Esatto. Forse la “grande lezione” che Berlusconi lascia a Giorgia Meloni è quella in negativo. Studiandone la storia, ha compreso cosa rischia di accadere ad un governo italiano vittima dell’isolamento estero.

Le democrazie attuali sono intessute all’interno di una struttura internazionale assai complessa e non possono rischiare di essere marginalizzate. Il Cav ha subito un drammatico isolamento sul dossier libico e sulla gestione della crisi economica con l’Ue. Giorgia Meloni ha osservato quale costo politico tutto ciò abbia comportato per l’Italia e non vuole commettere gli stessi errori.

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