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Berlino rinuncerà mai al gas russo? Le promesse tedesche sembrano scritte sull’acqua

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Federico Punzi ha descritto, su Atlantico Quotidiano, lo stato del dibattito tedesco su gas russo e guerra in Ucraina, giungendo alla conclusione che: “il punto non è rinunciare oggi al gas russo … ma mantenere il fiato sul collo dei governi tedeschi (ma anche italiani) perché mantengano fede all’impegno di superare la dipendenza dal gas russo nei tempi più rapidi possibile, sebbene sostenibili”. Oggi vorremmo esplorare cosa ne pensano a Berlino di tutto ciò.

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Anzitutto, bisogna tenere bene a mente due elementi: il fattore dominante le economie europee oggi, non è la guerra in Ucraina, ma lo shock energetico; cui potrebbe porre fine immantinente solo Mosca, con le sue riserve illimitate di gas e i suoi contratti a lungo termine a basso costo. Abbiamo scritto immantinente, in quanto è vero che lo stesso ruolo potrebbe essere svolto da altri attori, ma solo in tempi lunghi.

Così hanno dimostrato i tentativi di Draghi: tutto ciò che ha saputo scovare sono le promesse a lungo termine algerine, le promesse scarse levantine, le promesse a lungo termine e costose africane. Il che è un vero peccato, perché sarebbe per il nostro Paese la grande occasione di farsi hub del gas verso il centro Europa … ma occorre tempo e tempo non è detto ci sia.

Più importante ancora, Biden: tutto ciò che ha saputo promettere, il 25 marzo 2022, è che “gli Usa lavoreranno con partner internazionali e si adopereranno per garantire al mercato Ue volumi aggiuntivi di LNG per almeno 15 miliardi di metri cubi nel 2022, con aumenti previsti per il futuro” … cioè, meno del 10 per cento del gas importato dalla Russia … e Biden manco li garantisce. Né, per gli anni successivi, egli si impegna: “La Commissione europea lavorerà con gli Stati membri dell’Ue con l’obiettivo di garantire, almeno fino al 2030, una domanda annua per circa 50 miliardi di metri cubi aggiuntivi di LNG Usa” … cioè, è la domanda a dover essere garantita, non l’offerta. Quanto ai prezzi, la Commissione lavora “anche nella consapevolezza che i prezzi dovrebbero riflettere i fondamentali del mercato a lungo termine e la stabilità della domanda e dell’offerta” … cioè, Biden non si impegna affatto, anzi in conferenza stampa appare un poco irridente: “lo so che l’eliminazione del gas russo avrà dei costi per l’Europa. Ma non è solo la cosa giusta da fare dal punto di vista morale, ci metterà pure su un piede strategicamente molto più forte”.

Nulla, insomma, che possa smentire la cocente constatazione: nessuna offerta alternativa è più disponibile e conveniente di quella russa. Insomma, negli anni prossimi delle due l’una: o l’Europa si tiene lo shock energetico, oppure deve ricorrere di nuovo e massicciamente al gas russo.

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Accadrà? Certo, non finché durerà la guerra in Ucraina, con Zelensky che chiede ad ogni piè sospinto l’embargo sul gas russo (“non capiamo come si possa fare soldi con il sangue”) e attacca la Merkel (“dirà ancora alla sua gente che va bene, sono solo affari, non ha niente a che fare con la guerra?”) … allo stesso modo in cui chiede armi pesanti (“abbiamo bisogno di armi, così da poter combattere”), poi moltissimi soldi (7 miliardi di dollari al mese).

In merito, a Berlino non ci sono dubbi. Così il presidente della Repubblica Steinmeier: sotto attacco l’Ucraina “ha tutti i diritti del mondo a chiedere solidarietà, disponibilità e sostegno”. Certo – egli continua – con il riarmo, la consegna di armi e le sanzioni, la Germania ha già fatto la sua parte … ma il governo Scholz continua a collaborare alla consegna di nuove armi per la battaglia del Donbass (come gli riconosce pure la stampa ostile e a dispetto di ciò che ne dicano l’ambasciatore ucraino, i deputati del Bundestag più animati e la stampa italiana). Sì, vabbè invero indirettamente, mandandole ai Paesi più bellicosi come la Polonia, dopo che loro stessi avranno mandato le proprie armi a Kiev, assumendo loro stessi il rischio di una ritorsione russa e trasformandosi pure in clienti dell’industria bellica tedesca … gli affari sono affari.

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Armi e soldi, va bene. Ma non rinunciare al gas russo: non è veramente possibile farne a meno. L’alternativa, come ha spiegato Punzi, non è data: “il contraccolpo di uno stop immediato al gas russo non sarebbe devastante solo dal punto di vista economico, ma anche politico”. Quindi, tale alternativa non è data.

Non che in Germania non esistano voci dissonanti. La FAZ, ad esempio, con un pensoso invito ad un “rapido cambiamento”: “la ricerca del business per guadagnare tempo in un’era di elevata incertezza è comprensibile, ma non necessariamente giusta”. Oppure Guntram Wolff, per anni falco-in-capo di politica economica al Bruegel di Bruxelles e prossimo a riciclarsi come falco-in-capo di politica estera al German Council on Foreign Relations di Berlino. Egli propone di imporre un dazio all’entrata del solo gas russo e di prepararsi a “chiudere completamente il rubinetto del gas”. Conscio si tratti di “una terapia d’urto” che produrrebbe un ulteriore aumento dei prezzi, cioè il calo dei consumi; nonché una recessione grave sino al 5 per cento del Pil, cioè un “effetto paragonabile a quello della pandemia Covid”.

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Intrigante, per noi italiani, ciò che Wolff aggiunge: le aziende tedesche “potrebbero essere sostenute dallo stato” tedesco con “enormi spese aggiuntive” … ma non le aziende italiane da quello italiano, come è implicito nella affermazione che ne deriverebbe una inflazione che “continuerà a pesare su di noi negli anni a venire”, il che impedirebbe qualunque intervento di Bce e lascerebbe lo Stato e le imprese italiani in brache di tela.

Invero, tale concetto vale pure nella situazione presente, senza embargo sul gas. Come spiegato dal presidente di Bundesbank Nagel, in trasferta a Washington: “Bce dovrà presto aumentare i tassi di interesse. All’inizio del terzo trimestre – cioè a luglio – è prevedibile il primo aumento. Gli acquisti di obbligazioni da parte di Bce saranno quindi conclusi”. Ma non solo: Nagel ha pure messo in guardia contro un “freno di emergenza di politica monetaria”, cioè un programma speciale di salvataggio del Btp. Accanto a lui, il ministro delle finanze Lindner predicava di una prossima “crisi del debito globale”, riferendola certo ai “Paesi in via di sviluppo ed emergenti” … ma evidentemente considera l’Italia un Paese in via di sviluppo e, da un punto di vista monetario, non a torto. Poi, certo, Lindner dava la colpa di tutto ciò a Putin … ma cosa cambia di chi sarà la colpa del nuovo 2011 che ci aspetta?

Se non basta, ascoltiamo pure il Fondo monetario internazionale: “il consolidamento della spesa dovrebbe cominciare nel 2023 come pianificato, e il suo aumento andrebbe tenuto sotto la crescita nominale del Pil, per ottenere un surplus primario del 2 per cento entro il 2030”, perciò “gli aumenti dei prezzi dell’energia devono raggiungere i consumatori” e ridurre la domanda, altrimenti “preoccupazioni di sostenibilità … rischio dell’incremento degli spread e quello della frammentazione”. Cioè, un nuovo 2011.

Può bastare, per capire che l’Euro è di nuovo in pericolo? Diremmo di sì. E dubitiamo assai la Germania desideri subire, oltre allo shock energetico, pure la Lira italiana.

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Non è quindi un caso che, per posizioni radicali come quella di Wolff, a Berlino non sia aria. Così il presidente Steinmeier, lo stesso che, nel 2021, parlava delle relazioni energetiche come uno strumento per “influenzare una situazione che riteniamo inaccettabile se interrompiamo gli ultimi legami”, oggi ha cambiato strumento, ma suona sempre la stessa musica: “la filosofia di politica estera secondo cui il cambiamento avviene attraverso il commercio non funziona quando si ha a che fare con le autocrazie … la speranza che le cose politiche cambino automaticamente in meglio di conseguenza è ingannevole”, ma “ciò non significa che non si possano avere rapporti economici e scientifici … per dirla senza mezzi termini: invero viviamo di dipendenze. Queste dipendenze rimarranno … il modo in cui le democrazie e gli stati autocratici si relazionano tra loro … rimarrà a lungo termine un atto di equilibrio tra distanziamento e cooperazione”.

In che senso? Beh … anzitutto, nessuna relazione fra Nord Stream 2 e la guerra in Ucraina: “non dovremmo fare a Putin il favore di incolpare noi stessi per la sua guerra di aggressione”. Eppoi, del gas la Germania ha comunque bisogno e, se compra quello russo, è per l’assenza di alternative in Occidente: “la situazione attuale ha in realtà le sue origini negli anni ’80, quando la Gran Bretagna smise di essere un importante fornitore di gas naturale e Norvegia e Paesi Bassi riuscirono a compensare le carenze solo in misura limitata”. Insomma, niente embargo sul gas e petrolio:

“Se il governo tedesco ha la chiara opinione, basata sul giudizio di esperti, che un improvviso embargo sul gas sia irresponsabile, non dovrebbe essere accusato di cinismo quando agisce di conseguenza … il problema è se perdiamo un intero settore come l’industria chimica, che è fondamentale per i processi e i prodotti di fabbricazione in ogni aspetto della nostra economia e milioni di posti di lavoro. Dobbiamo aspettarci che un governo provi a riflettere su tali conseguenze fino in fondo”.

Abbiamo citato Steinmeier, ma avremmo potuto citare Bundesbank, che associa ad un embargo sul gas un calo del Pil del 5 per cento. Oppure il cancelliere Scholz, il quale giudicava un precedente studio di economisti universitari che prevedeva un calo del Pil molto inferiore, come “irresponsabile” e “sbagliato”. Poi, quando Zelensky ha rifiutato di ricevere a Kiev Steinmeier, a causa del sostegno di quest’ultimo alle relazioni energetiche fra Germania e Russia, Scholz ha definito la cosa “un poco irritante, per essere gentili”. Ma pure il ministro Lindner, preoccupato che l’embargo faccia chiudere interi settori industriali. Oppure i ministri verdi, che rinviano la fine degli acquisti di gas: a data da definire ma dopo la fine del 2022 la Baerbock, all’estate del 2024 Habeck … cioè a mai.

Quanto alla opposizione CDU, la cartina di tornasole è la sua disponibilità a sostenere l’estrazione di gas da fracking, come quello americano e del quale la Germania dispone in grande abbondanza. Vero è che il bavarese Söder ha proposto di estrarlo, ma non è seguito dal resto del partito che non vuole cancellare un divieto imposto nel 2017 da Merkel … così accodandosi al governo che relega la produzione nazionale a quel poco di gas convenzionale che Berlino può trovare nel proprio pezzettino del Mare del Nord. Sì certo l’ottimo Merz ha denunciato quelli che volevano il gas russo come “utili idioti”, ma si è ben guardato dal citare in tale novero la propria predecessora Merkel, il di lei governo ed il di esso immarcescibile sostegno al gas russo ed a Nord Stream 2. Perciò, circa la mutata convinzione della CDU, non metteremmo la mano sul fuoco.

Da ultimo, la Commissione europea di Bruxelles: venerdì, ha prodotto un parere legale che consente agli operatori di comprare il gas russo in rubli, cioè secondo la procedura che Mosca aveva anticipato di voler imporre. Essendo la Commissione notoriamente al servizio di Berlino, non sapremmo trovare sigillo migliore alla descrizione testé svolta della presente volontà tedesca.

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Tutto ciò, finché dura la guerra in Ucraina. Ma essa, prima o poi, finirà. E bisogna decidere se ciò basterà all’Occidente per togliere le sanzioni. Nel merito, ferve il dibattito: a mero titolo di esempio, a favore è Luttwak, contro Massolo. Implicitamente possibilista Borrell, che ha definito obiettivi di guerra limitati: “evitare che Mosca prenda il controllo del Paese, occupi la capitale, cambi il governo, imponga il suo dominio”.

Invero, è per tagliare la testa al toro che “l’amministrazione Biden si è imbarcata in una strategia che punta a prolungare la guerra”, come dice Niall Ferguson, come molto più modestamente avevamo scritto persino noi e come, con enorme ritardo, oggi dicono pure alla Farnesina. Né stupisce che il menzionato Guntram Wolff insista che le sanzioni debbano durare “finché Putin sarà al potere”.

Ma tale non pare essere la posizione del cancelliere Scholz: ha fatto sapere di essere convinto che sempre con Putin “bisognerà negoziare un eventuale trattato di pace o un armistizio”. E – aggiungiamo noi – per negoziare con Putin, bisognerà offrirgli qualcosa: più difficile il formale riconoscimento delle annessioni e/o del protettorato sull’Ucraina, più facile la normalizzazione delle relazioni commerciali.

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Insomma, dal punto di vista di Berlino, l’Europa non si terrà lo shock energetico, ma anzi godrà di un contro-shock. Ricorrendo di nuovo e massicciamente al gas russo, più prima che poi. Dopodiché, agli americani immaginiamo verranno offerte certe garanzie, come vedremo nel prossimo articolo.

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