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Brexit, la questione nordirlandese: a che gioco sta giocando Bruxelles?

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Attentare all’integrità territoriale di uno stato sovrano, cercando di fatto di annettersene un pezzo, non suona esattamente come una strategia negoziale che punti al raggiungimento di un accordo con la controparte… No, non stiamo parlando della Russia di Putin nei confronti dell’Ucraina, ma dell’Unione europea con il Regno Unito…

Ieri il capo negoziatore dell’Ue Michel Barnier ha presentato la bozza di accordo per la Brexit adottata dal collegio dei commissari europei, cioè dalla Commissione europea. Testo che dovrà essere approvato dai 27 stati membri e dal Parlamento europeo prima di essere messo sul tavolo negoziale con il governo di Londra. E’ il caso di precisare quindi che si tratta di una bozza su cui non sono nemmeno in corso negoziati, ma semplicemente di un documento che traduce in termini giuridici la posizione negoziale che la Commissione europea sta suggerendo al Consiglio Ue e al Parlamento di adottare.

Il problema è che per risolvere la questione del confine nordirlandese, la Commissione europea propone “un’area comune”, prevedendo cioè che l’Irlanda del Nord rimanga all’interno dell’unione doganale europea, allineata ai suoi regolamenti e sottoposta alla Corte europea di giustizia. Il che, però, logicamente, significherebbe la rottura del mercato unico e dell’unione doganale del Regno Unito. Di fatto, si chiederebbe a Londra di cedere la sovranità sull’Irlanda del Nord a Bruxelles. Un’annessione. Persino Putin ha sentito il bisogno di un referendum prima di annettersi la Crimea…

La premier britannica Theresa May ha risposto per le rime durante il Question Time alla Camera dei Comuni: “Nessun primo ministro britannico potrebbe mai essere d’accordo”. La proposta della Commissione sul confine nordirlandese, infatti, “minerebbe il mercato comune britannico e minaccerebbe l’integrità costituzionale del Regno Unito, creando un confine doganale lungo il mare d’Irlanda”. “Dirò chiaramente” al presidente della Commissione Juncker “e agli altri che non lo faremo mai”.

L’ipotesi viene bocciata ovviamente anche dal Democratic Unionist Party nordirlandese. Sarebbe un “disastro economico” per Belfast, avverte il partito unionista che sostiene con numeri decisivi il Governo May.

La premier ha ribadito di non volere un confine “duro”, ovvero fisico sull’isola. “Il ministro degli esteri e io siamo assolutamente impegnati per una soluzione che non contempli barriere fisiche tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda”, ha assicurato, sostenendo che si tratta di un obiettivo condiviso da tutti i partiti nordirlandesi e dal governo di Dublino, nel “rispetto degli accordi di pace del Venerdì Santo”.

E’ interessante notare come la proposta della Commissione Ue sull’Irlanda del Nord corrisponda ad una delle tre opzioni contenute nel “joint report” sottoscritto nel dicembre scorso, cioè la bozza di accordo Ue-Uk con la quale si è conclusa la prima fase dei negoziati, quella sui rapporti pregressi. In particolare, si tratta della terza opzione, quella peggiore per Londra, senza nemmeno aver verificato la fattibilità delle prime due. Vediamo cosa c’è scritto in questo passaggio, al punto 49 del “joint report”:

“Il Regno Unito resta impegnato a tutelare la cooperazione Nord-Sud e ad evitare un confine ‘duro’. Ogni accordo futuro dev’essere compatibile con questi requisiti complessivi. L’intenzione del Regno Unito è di realizzare tali obiettivi attraverso la nuova relazione Ue-Uk [prima opzione, ndr]. Non dovesse ciò essere possibile, il Regno Unito proporrà soluzioni specifiche per affrontare le eccezionali circostanze dell’isola d’Irlanda [seconda opzione, ndr]. In assenza di soluzioni concordate [terza opzione, ndr], il Regno Unito manterrà il pieno allineamento con quelle regole del Mercato Interno e dell’Unione Doganale che, ora o in futuro, sostengono la cooperazione Nord-Sud, l’economia dell’intera isola e la tutela dell’Accordo del 1998 [gli accordi del “Venerdì Santo”, ndr]”.

Perché, dunque, essendo chiaramente la terza un’ipotesi di “ultima istanza”, in caso di fallimento delle altre due, la Commissione propone di adottarla come base di partenza, cioè come obiettivo dell’Ue nelle trattative? E perché si propone l'”allineamento” della sola Irlanda del Nord, distorcendo la terza opzione che si riferisce chiaramente all’intero Regno Unito? A cosa serve avanzare una proposta evidentemente irricevibile dalla controparte, il cui unico effetto è suscitare caos e irritazione? A nulla, se l’obiettivo è quello di raggiungere un compromesso. Appare a questo punto fondata la preoccupazione del ministro degli esteri britannico Boris Johnson: “La questione del confine nordirlandese viene usata politicamente per tentare di tenere il Regno Unito nell’unione doganale, di fatto nel mercato unico, per non farci uscire realmente dalla Ue”.

Se a fronte di un’immagine di compattezza la realtà è che un certo numero di stati membri non condivide l’approccio della Commissione e del capo negoziatore Barnier e sostiene una posizione molto più morbida nei confronti di Londra, è legittimo chiedersi quale sia il reale scopo dei negoziati per Bruxelles. La sensazione è che invece di raggiungere un buon accordo per una nuova e forte partnership, nell’interesse di tutti, in primo luogo dei cittadini, troppi sforzi nelle istituzioni europee siano ancora profusi al fine di sovvertire la Brexit, attizzando le divisioni politiche interne, facendo leva sui diversi interessi tra le nazionalità che compongono il Regno Unito e giocando di sponda con il fronte dei Remainers che si sta riorganizzando. Ma così facendo, il rischio è di ottenere l’effetto contrario, di indebolire la posizione già fragile della May e rafforzare l’ala dura dei Brexiteers all’interno dell’esecutivo.

Strumentalizzare poi proprio la questione nordirlandese, rischiando di suscitare false aspettative e riaprire vecchie ferite, è particolarmente cinico e irresponsabile da parte europea.

C’è da sperare quindi che il boccino delle trattative passi al più presto dalle mani della burocrazia di Bruxelles a quelle dei capi di stato e di governo, che dovrebbero (il condizionale è d’obbligo…) essere animati da un approccio più pragmatico e da una visione più lungimirante.

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