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Il caso Skripal, la strategia russa, l’Occidente che finge di non vedere e di non capire…

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William Hague, ex ministro degli esteri inglese, e già leader conservatore, lo ha scritto con parole nitide e durissime ieri sul Telegraph: quando, nei prossimi decenni, ci guarderemo indietro per capire il momento in cui l’Occidente si è svegliato e ha realizzato di trovarsi nuovamente di fronte a rischi fatali, difficilmente individueremo un unico episodio decisivo o rivelatore. Eppure, il brutale avvelenamento a Londra del “doppio agente” Skripal e di sua figlia Yulia dovrebbe aiutarci a collegare diversi punti di un’unica pluriennale strategia russa: annessione illegale della Crimea, invasione e destabilizzazione dell’Ucraina, assassinio (e punizione esemplare) dei “traditori” come Litvinenko e Skripal, azioni dimostrative contro i paesi baltici, tentativo di ridicolizzare la Nato, di trasformarsi (grazie a otto anni di arretramento obamiano) in “major powerbroker” in Medio Oriente e nel Mediterraneo.

Il “nerve agent” usato a Salisbury è un salto di qualità in questo disegno: colpire il bersaglio in modo drammatico, spettacolare, potenzialmente devastante (non solo per le vittime designate), trasformando anche il territorio di un paese sovrano nel proprio campo di giochi impuniti e sanguinosi.

La premier britannica May, a Westminster, è stata chiara: o si tratta di un atto compiuto secondo la volontà di Mosca, oppure gli apparati russi hanno perduto il controllo di una sostanza letale. In entrambi i casi, in mancanza di una spiegazione convincente (per ora da Mosca sono arrivate solo risposte irridenti), Londra valuterà che tipo di risposte dare. E occorreranno risposte dure: personalmente, non credo tanto a misure economiche restrittive rispetto agli oligarchi russi (a ben vedere, sarebbero funzionali alla strategia putiniana volta a rimpatriare gli asset economici attualmente all’estero), ma mi sembrerebbe ragionevole una scelta esemplare di espulsione dei diplomatici e degli agenti russi operanti nel Regno Unito che siano stati a conoscenza dell’operazione condotta a Salisbury. E, se necessario, espulsione dell’ambasciatore, chiusura dell’ambasciata, e rottura delle relazioni diplomatiche.

I media italiani – tranne l’indispensabile cronaca – sembrano scegliere una strategia di attenuazione e distrazione rispetto a questa vicenda. Quanto alla cosiddetta “politica” (mi scuso per il termine), oscilla tra inconsapevolezza bambinesca e fascinazione putinista (più o meno spontanea o “spintanea”). E già immagino, dopo le elezioni russe previste per domenica prossima e dopo l’inevitabile trionfo dell’autocrate, i coretti a cappella per dire che Putin ha vinto, anzi stravinto, che occorre smetterla con le demonizzazioni.

E infatti qui non si tratta di demonizzare o di essere “russofobi”. Semmai, di essere rattristati: perché la Russia potrebbe essere un naturale alleato nella lotta al terrore islamista e un importante partner commerciale. E occorre lavorare – nonostante tutto – affinché possa essere entrambe le cose per l’Occidente.

Ma occorre aprire gli occhi sulla tela di Putin. Mosca si sta mettendo in condizione di condurre attacchi sistemici alle reti infrastrutturali vitali dei paesi occidentali; tiene viva un’attività di spionaggio degna dei tempi dell’Urss; ha provato a interferire con il processo elettorale americano; e il sistema politico e mediatico europeo è – diciamo così – irrigato da flussi di sostegno e finanziamento russi, incluse le assunzioni di ex primi ministri e di rilevantissimi attori della politica europea.

Sarà bene smettere di fingere di non vedere e di non capire.

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