Cultura

Gli ebrei in terra d’Israele: i falsi storici da smontare

Dal 7 ottobre si sono riaffacciati luoghi comuni e mistificazioni per cancellare il legame storico degli ebrei con Israele: dall’accusa di apartheid al termine “Palestina”

Gerusalemme (Berthold Werner, Public domain) Gerusalemme (Berthold Werner, Public domain)

Da quando è scoppiata la guerra tra Israele e Hamas, dopo i fatti del 7 ottobre, si sono riaffacciati nel dibattito pubblico i peggiori pregiudizi e luoghi comuni su Israele: basti pensare all’accusa che, sin dalla Conferenza mondiale contro il razzismo organizzata dall’Unesco a Durban nel 2001, viene rivolta allo Stato ebraico di applicare politiche di apartheid nei confronti dei palestinesi.

Un preconcetto che non tiene conto del fatto che in Israele gli arabi hanno da sempre il diritto di voto, e nella Knesset, il Parlamento israeliano, attualmente si trovano 10 deputati arabi su un totale di 120 seggi (5 fanno parte del partito arabo Ra’am, 3 della lista di estrema sinistra Hadash, uno del partito arabo Ta’al e uno del partito di destra Yisrael Beitenu). Una realtà lontana anni luce dall’apartheid in Sudafrica, dove i neri non potevano nemmeno votare.

Un’altra dimostrazione della non esistenza di una discriminazione legale degli arabi israeliani risale a quando, nel 2011, l’ex presidente israeliano Moshe Katsav si appellò alla Corte Suprema per ribaltare una condanna per stupro. Tra i giudici della Corte Suprema d’Israele che confermarono la condanna e lo mandarono in prigione, vi era anche un arabo, Salim Joubran.

Il legame storico con Israele

In generale, spesso viene anche messo in discussione il legame storico degli ebrei con quella terra, come quando nel 2017 l’Unesco negò che Hebron avesse radici ebraiche. Ciò fa parte di una tattica ben precisa, che fa leva sulla narrazione secondo cui gli europei sarebbero sempre colonialisti e quindi nel torto, mentre i popoli del Terzo Mondo sarebbero nel giusto a prescindere da quello che fanno.

Di seguito, una lista stilata dal Tel Aviv Institute di falsità e luoghi comuni sulla storia ebraica e israeliana, che vengono smascherati uno ad uno.

Il Gesù “palestinese”

Per quanto possa sembrare assurdo, nella propaganda antisionista spesso si dice che Gesù era palestinese. In realtà, era nato in una famiglia ebraica, in quello che prima della dominazione romana era il Regno di Giudea.

Il termine “Palestina” venne coniato dall’imperatore romano Adriano: dopo la rivolta di Bar Kochba, così si chiamava il leader ebreo che tra il 132 e il 135 D.C. guidò senza successo una ribellione contro i romani, si decise di chiamare quel territorio come i filistei, acerrimi nemici degli ebrei, al fine di scoraggiare il popolo ebraico dal rivendicare la propria sovranità su quei territori.

Free Palestine

I primi ad utilizzare questo slogan non furono gli arabi, ma l’American League for a Free Palestine, un gruppo sionista che nel 1944 promosse un appello per liberare la Palestina Mandataria dal dominio britannico, al fine di creare uno Stato-nazione per gli ebrei.

Squadra di calcio della Palestina

A volte circolano su internet le immagini in bianco e nero di una squadra di calcio palestinese, volta a dimostrare che ci fosse un qualche Stato palestinese indipendente prima del 1948. Ebbero una certa risonanza nel 2018, dopo che una videocronaca del 1939 chiamata Palestina-Australia venne ritwittata dall’ex parlamentare britannico George Galloway, storico esponente dell’estrema sinistra nel Regno Unito.

In realtà, i giocatori di quella squadra erano tutti ebrei: si trattava del Maccabi Tel Aviv, che nel 1939 disputava una partita in Australia. Il Maccabi è stato fondato nel 1906, e nel 1922 è diventato in assoluto la prima squadra di calcio fatta da ebrei a partecipare a dei campionati locali. L’equivoco di cui sopra deriva dal fatto che, prima della nascita d’Israele, gli ebrei che vivevano nell’area venivano chiamati “palestinesi”.

Orchestra della Palestina e Palestine Post

Anche l’orchestra e il giornale di cui sopra sono stati utilizzati in alcuni post sui social per far credere che esistesse uno Stato palestinese indipendente prima del 1948. Anche in questo caso, le cose stanno diversamente: la prima è stata fondata nel 1936 dal violinista ebreo Bronislaw Huberman, per accogliere i musicisti ebrei in fuga dalle persecuzioni in Europa.

Mentre il quotidiano è stato fondato nel 1932 da Gershon Agron con l’intento dichiarato di sostenere gli ebrei che si opponevano alla dominazione britannica, e nel 1950 si è trasformato nell’attuale quotidiano israeliano The Jerusalem Post.

Tra l’altro, la Palestine Symphony Orchestra, che dopo il 1948 divenne l’Israel Philarmonic Orchestra, presenta un legame anche con l’Italia: nel 1936, il suo concerto inaugurale venne condotto a Tel Aviv dal direttore d’orchestra italiano Arturo Toscanini, che in quel periodo la guidò anche a Gerusalemme, Haifa, al Cairo e ad Alessandria d’Egitto.

Il poster

Sui profili filopalestinesi a volte circola un manifesto di Gerusalemme degli anni ’30 con scritto Visit Palestine. In realtà, venne creato nel 1936 dall’artista ebreo austriaco Franz Krausz, fuggito nella Palestina Mandataria dopo l’ascesa dei nazisti. L’immagine gli fu commissionata dalla Tourist Development Association of Palestine, per promuovere il turismo e il ritorno degli ebrei nella terra d’Israele.

poster

Angurie

Per i loro colori rosso e verde, simili a quelli della bandiera palestinese, le angurie sono diventate sui social un simbolo assai utilizzato dai filopalestinesi. Eppure, negli anni ’30 furono i sionisti ad usarle per primi, tanto che dopo il ’48 il Ministero dell’agricoltura israeliano le utilizzò per invitare i consumatori ad acquistare principalmente i prodotti locali, anche per rendere le loro coltivazioni competitive sul mercato.

Palestina

Il termine “Palestina”, come ha spiegato nel 2018 il giornalista Marco Paganoni, a quell’epoca “era il termine comunemente usato dagli ebrei, e aborrito dagli arabi: anglo-palestinese era il nome della banca che poi sarebbe diventata Bank Leumi; palestinese era il padiglione degli ebrei d’Israele alla Fiera Internazionale di New York del 1939; palestinesi sarebbero stati i volontari ebrei venuti a combattere in Italia contro i nazi-fascisti nel ’44-’45. Gli ebrei erano palestinesi a pieno titolo, certo non meno degli arabi: tant’è che nel 1947 l’Onu […] propose di spartire il paese in due stati, uno ciascuno per i due popoli palestinesi (two Palestinian peoples)”.

“Nei decenni successivi”, ha spiegato Paganoni, “venne gradualmente imposto l’uso del termine palestinesi per indicare esclusivamente gli arabi di Palestina, trasformando ipso facto in estranei tutti gli altri abitanti della Palestina, e segnatamente gli ebrei: se i palestinesi sono per definizione arabi e musulmani (questo afferma per esempio la Basic Law palestinese approvata a Ramallah il 29 maggio 2002), allora gli ebrei non possono che essere degli illegittimi intrusi e il loro Stato, per dirla con Abu Mazen, ‘un progetto coloniale senza radici’”.

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