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Il futuro del sovranismo passa da Londra?

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Con il recente voto alla Camera dei Comuni sui dazi doganali, il Governo Tories è riuscito a inimicarsi la sua corrente europeista esattamente una settimana dopo avere subito la defezione dei due brexiteers di più alto rango nella compagine di Theresa May: il Foreign Secretary Boris Johnson, e il ministro per la Brexit, David Davis. Sembrerebbe un’applicazione quasi matematica del cerchiobottismo o un manuale Cencelli in salsa britannica, quella che sta portando la maggioranza dei Tories allo sfarinamento e al termine di una legislatura nata, sotto una cattiva stella, poco più di un anno fa.

La situazione sembra ingovernabile, o certamente lo è per Theresa May, la remainer riluttante chiamata a consegnare ai libri di storia la presenza del Regno Unito nell’Unione Europea. Nessuna Brexit pare essere abbastanza hard per i brexiteers, così come nessuna Brexit sembra abbastanza soft per i Tories à la Kenneth Clarke, che vorrebbero un rapporto privilegiato con l’Ue anche dopo marzo 2019. E così il Governo, che già si regge su una maggioranza esigua, viene salvato dai 3 voti dei deputati laburisti, e dall’assenza del segretario dei LibDems, l’europeista Vince Cable. Di fatto però, la sfiducia nei confronti della leader non si traduce in una mozione – e in un leadership challenge – solo perché tra i Tories è troppo alto il rischio di andare al voto e consegnare il Paese a Jeremy Corbyn e al suo Old Labour. L’astro nascente dei brexiteers, Jacob Rees-Mogg, è stato chiaro: “Non voterò mai una mozione contro il Governo May”. Per ora…

L’attuale fase di instabilità della politica mondiale sembra avere ormai Londra come capitale indiscussa. Le tensioni tra sovranisti e sovranazionalisti trovano nel Regno Unito lo sfogo internazionale più naturale dopo il voto del 23 giugno 2016. La politica britannica, caratterizzata per decenni da una bassissima conflittualità partitica e ideologica – gli eredi di Margaret Thatcher hanno tutti preservato la sua lezione in economia e anche in politica – è il ring prescelto dove si gioca il futuro del concetto di stato-nazione, dell’Europa in forma di Unione, degli Stati Uniti come partner privilegiati dello UK e leader dell’Alleanza atlantica. Come in una matrioska, le due correnti si rimpiccioliscono continuamente fino ad arrivare al cuore del partito conservatore, e a quello delle cities e delle towns britanniche, suddivise da stili di vita, weltanschauung e credenze che avvalorano la dicotomia più in voga del momento: quella tra élites e popolo.

Naturalmente, tra sovranisti e sovranazionalisti, tra elitari e populisti il contrasto non è mai così netto e le sfumature, come sempre, spiegano e raccontano molto di più di quanto la stampa mainstream possa – o voglia? – fare.

Considerato un pericolo da quello che resta della sinistra socialista europea, il sovranismo/populismo si avvia a essere la forma politica con cui l’Occidente mira a mantenere il suo primato. O forse, quella che, nelle parole di Oswald Spengler, certifica la sua fine? L’autore de “Il tramonto dell’Occidente” sosteneva che una civiltà iniziava il suo declino quando teneva in vita delle culture che erano già morte. Una cosa è certa: il futuro del mondo passerà dalle scelte di Downing Street.

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