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Green Pass alla Macron? Non vaccinati capro espiatorio di errori e ritardi del potere pubblico

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La decisione di Emmanuel Macron, proclamata in televisione al popolo francese, di estendere il Green Pass alla possibilità di accedere a ristoranti, locali, bar e viaggi a lunga percorrenza, potendo quindi salire o meno a bordo di un treno o di un aereo, ha suscitato una vasta eco e un comprensibile dibattito. La scelta, ha dichiarato il presidente francese, dopo aver annunciato l’obbligo vaccinale vero e proprio per il personale sanitario, è quella di sottoporre a limitazioni soltanto i non vaccinati, in luogo della intera popolazione.

Non sono mancate, chiaramente, anche le reazioni internazionali, con Angela Merkel ad esempio che pur ribadendo la essenzialità dei vaccini nella lotta contro il Covid ha ricordato come gli stessi rimarranno non obbligatori.

A dire il vero, lo stesso Macron formalmente, anche se parzialmente vista la retromarcia sui sanitari, è rimasto coerente con un suo precedente tweet, risalente al dicembre 2020, nel quale scriveva pomposamente che la Francia, patria dell’illuminismo, della ragione e della scienza, non avrebbe imposto la vaccinazione obbligatoria; questo perché il Green Pass è qualcosa di diverso rispetto a un puro obbligo vaccinale, posto che si traduce in una scelta tendenzialmente volontaria da cui discendono delle conseguenze di maggiore o minore fruibilità di servizi (non tra quelli essenziali, ovviamente).

Tendenzialmente volontaria, precisiamolo; perché appare piuttosto chiaro come la spinta, niente affatto gentile, consistente nell’elidere e non consentire tutta una serie di attività ai non vaccinati, una sorta di parziale tabula rasa sociale, rappresenti non molto metaforicamente una coercizione indiretta (e quindi, alla fine della fiera, un incentivo all’obbligatorietà), ben diversa dal nudge teorizzato da Cass Sunstein e da Richard Thaler nel loro famoso libro “Nudge – la spinta gentile”.

Non siamo sul crinale del paternalismo libertario, questo delizioso ed equivoco ossimoro che circola da alcuni anni, quanto piuttosto in una sorta di chiamata alle armi, condita da enfasi mediatica: non a caso, i media si sono affrettati a precisare come a pochissime ore dalla decisione macroniana siano centinaia di migliaia i cittadini prenotati per farsi inoculare il vaccino.

In Italia il dibattito si è reso rovente, come al solito. I presidenti delle Regioni si sono divisi, spesso anche quando di orientamento politico affine: Toti, governatore della Liguria, si è detto favorevole anche se il giorno seguente ha parzialmente ritrattato il suo favore; Fontana, presidente della Lombardia, ha dichiarato la misura non necessaria visto che la campagna vaccinale sta andando bene.

Mentre Salvini pubblicava in un tweet il suo essere decisamente contrario e la Meloni si spingeva persino oltre, paventando scenari distopici alla “1984”, la stampa riportava le dichiarazioni del super-consulente speranziano Walter Ricciardi, assolutamente favorevole, e quelle del commissario generale Figliuolo, parimenti favorevole a questa declinazione stringente del Green Pass.

Sulla posizione della Meloni poi si è registrato un surreale cortocircuito mediatico. Dopo decenni di lagna della sinistra sulla destra rozza, incivile e fascista che si sarebbe dovuta fare civile e liberale, ora che la Meloni dice qualcosa di persino simil-libertario, reclamando la sacralità della libertà individuale e della autodeterminazione, eccola che viene metaforicamente rampognata, con il virologo Burioni che addirittura la accusa di andare contro la sua storia, aggiungendo in un sibillino ma nemmeno poi tanto post scriptum che la prima vaccinazione obbligatoria avvenne, nientemeno, che nel 1939.

Un anno, il 1939, che ci si immagina, almeno dalle parti di certi surreali liberali a favore della coercizione statale, dovrebbe essere molto caro alla Meloni, la quale in soldoni, secondo costoro, ora che serve il pugno duro dello Stato dovrebbe dimostrarsi gerarchicamente statalista, autoritaria e a favore della coercizione. Adesso a quanto pare la destra va bene pure se rozza e autoritaria, e stringi stringi anche fascista. Buono a sapersi per il futuro…

Sorvolerò poi su alcuni tweet del noto virologo che, certo stimabile quando parla della sua materia di elezione e di studio, lo diventa assai di meno quando discetta di ordinamento giuridico e di diritto costituzionale, sostenendo addirittura la superabilità in condizioni di emergenza dello Stato di diritto.

Anche tra semplici cittadini, spesso utenti dei vari social, si è ingaggiata una autentica guerra in stile tipicamente italico, cioè simil-calcistica, in furiosi corpo a corpo tra no-vax, fanatici del lockdown, ipocondriaci, liberali pro-restrizioni di ogni genere, libertari irriducibili, indecisi.

La disinvolta naturalezza con cui una parte del nostro ceto politico e intellettuale ha aderito al giacobinismo di ritorno in salsa macroniana, senza porsi una sia pur minima questione di piena aderenza di quel modello al nostro ordinamento costituzionale e senza alcuna riflessione più seria del vergare un qualche cinguettio digitale di tripudio, dice molto sullo stato presente delle cose.

Ora che sempre più spesso i tribunali riconoscono tutte le forzature di un anno e mezzo di gestione della pandemia, e ora che in una aula di tribunale emerge, messa nero su bianco dalla Avvocatura dello Stato per difendere le scelte adottate dal governo nel 2020, quella triste verità da tempo sotto gli occhi di tutti, e cioè che nel novero complessivo dei morti per Covid furono immessi e conteggiati pazienti deceduti non a causa del Covid ma per ben altre patologie, semplicemente trovati positivi al virus, si renderebbe necessaria, prima di paventare gli ennesimi provvedimenti problematici in tema di libertà, una seria, organica, ponderata disamina politica e giuridica.

Tutti (o quasi) invece prontissimi a copiare sic et simpliciter il presidente transalpino, passando sopra il monito del vicepresidente del Garante Privacy, la professoressa Ginevra Cerrina Feroni, che prima di essere vicepresidente di quella Autorità è una professoressa ordinaria di diritto costituzionale e come tale ha quindi qualche (voluto eufemismo) titolo per esprimere motivate criticità e perplessità che invece l’esaltato arengo dei social aveva del tutto obliato.

Le risposte, le reazioni di una parte della popolazione, spesso anche di molti liberali e di persone di comprovato acume intellettuale che immagino essere provate da un anno e mezzo di martellante narrazione pandemica, sono del tutto viscerali, emotive, di pancia, anche se vengono richiamati il benessere collettivo, la ragione, la scienza, la salute.

Molto spesso, scorrendo la timeline di Twitter ad esempio, mi sono imbattuto nella espressione ‘sono vaccinato, non accetterò altre restrizioni per colpa di chi non è vaccinato’.

Qui, secondo me, andiamo dritti al punto della confusione che si sta registrando, e spiegherò per quale motivo.

L’assunto di base di questa asserzione, umanamente comprensibile ma basata su elementi inverificati e a tratti apodittici, è che ci sia una resistenza così forte, corposa, numericamente elevata, da poter mettere in dubbio e in crisi l’intera campagna vaccinale: una sorta di fronte no-vax così pervasivo, incisivo e diffuso da aver convinto centinaia di migliaia di persone a fare un passo indietro davanti al siero e a darsi alla macchia.

A dire il vero, considerando che la campagna vaccinale è cominciata con notevoli alti e bassi, anche a causa dei ritardi logistici e strutturali, ad oggi siamo arrivati al 45 per cento circa della popolazione sopra i 12 anni pienamente vaccinata: gli hub continuano a ricevere copiose file di persone desiderose di vaccinarsi, e spesso i ritardi e le carenze sono stati dettati da mancanze logistiche, da scorte che non arrivavano, dagli intoppi burocratici, e via dicendo.

Ed anche quando si sono registrate perplessità, cancellazioni delle prenotazioni, passi indietro, a dire il vero sembra di poter dire che gli stessi siano avvenuti in concomitanza con il disastro comunicativo che ha riguardato i vaccini stessi.

Lo avete già dimenticato? Io no. L’aver minato la credibilità dei vaccini, la loro efficacia, la loro sicurezza, la descrizione minuziosa e morbosa, e spesso affrettata, delle reazioni avverse, le trombosi, il panico da ospedalizzazione dopo l’iniezione, non sono stati figli di una sfrenata campagna mediatica di pattuglie no-vax, ‘forti’ di qualche canale digitale e della presenza sui social bensì della stampa mainstream, della politica, della incontinenza espressiva e verbale di certi virologi, e delle stesse autorità pubbliche.

Quelle stesse autorità che oggi gridano alla latitanza vaccinale, alla renitenza, al ‘tradimento’, nientemeno, ma che pochi mesi fa non facevano altro che gettare ombre, offuscando la piena validità e sicurezza dei vaccini. Lo scenario poco edificante andato in onda su AstraZeneca risale a poco tempo addietro, e dovrebbe ancora essere vivo nella memoria collettiva.

Personalmente ho ricevuto la seconda dose di AstraZeneca una settimana prima che venisse sospeso per gli under 60, nel pieno del polverone e dei mille cambi di idee su quale fosse l’età più sicura per la inoculazione: nessuno, e ripeto nessuno, in quel clima, coi giornali che vomitavano drammi sanitari, sofferenza, ospedalizzazioni, eventi infausti ancora da chiarire ma suggeriti come correlati alla vaccinazione, poteva davvero dirsi sicuro di volersi far vaccinare, a cuor leggero.

Ho quasi la sensazione che le idee che vanno affollandosi e affacciandosi su questo giro di vite più che risolvere una sorta di generalizzata vittoria dei no-vax servano più che altro a raddrizzare e a far dimenticare certe distorsioni create proprio dalle autorità pubbliche, con la volontaria o involontaria complicità di una parte del mondo dei mass media: in fondo, se ora si chiede una estensione del Green Pass (che ricordiamolo già esiste per alcune attività), a causa del vero o presunto ritardo sulla tabella di marcia delle vaccinazioni, cosa bisognerebbe fare allora a chi ha disseminato dubbi e spesso autentiche bufale, pur rimanendo da quella parte della barricata per cui, ontologicamente, le ‘bufale’ sembrano non esistere? Il campo dei buoni, dei virtuosi, di quelli che non sbagliano mai anche mentre stanno sbagliando in maniera grossolana.

C’è un altro punto poi da sottolineare; chi si dice estenuato dalle chiusure, dalle limitazioni, dalle restrizioni, ormai, forse sfiancato da un anno e mezzo di totalizzante e polarizzante narrazione mediatica e politica, ha spostato il focus delle sue reprimende dal potere pubblico ai non vaccinati. Il non voler subire ulteriori restrizioni è giustissimo: più discutibile individuare, in maniera certa e cristallina, priva di dubbi, la categoria dei non vaccinati come fonte primaria di ulteriori restrizioni.

Quanti sono i non vaccinati? Quanti saranno tra qualche mese? Siamo davvero sicuri, come dicevamo prima, che ci sia tutta questa popolazione renitente in prospettiva diacronica? E non sarà forse che alcuni ritardi nei vaccini dipendano dalla macchina pubblica, in tutte le sue varie articolazioni?

Ora che infuriano le varianti poi, di quale vaccino stiamo parlando? Dovremo fare dei Green Pass a punti a seconda che il vaccino inoculato sia più sicuro rispetto a una qualche variante? Un vaccinato AstraZeneca equivale in tutto e per tutto a un vaccinato Moderna o Pfizer? Stando alle distinzioni che esperti e virologi sembrano affrescare sui singoli vaccini, in relazione alle varianti, ci sarebbe quasi da dubitarne.

Ed immaginare un Green Pass limitativo di molte libertà in questo quadro balcanizzato appare assai discutibile, senza dover accedere al radicalismo libertario sulla piena e totale autodeterminazione della scelta.

D’altronde, c’è anche da aggiungere, per quale motivo un vaccinato dovrebbe aver paura di un non vaccinato, visto che il vaccinato non rischia più di essere ospedalizzato (o peggio)? Si risponde; per i fragili non ancora vaccinati. Ma, e questo è il punto, se vi sono dei fragili non vaccinati, in piana evidenza, la responsabilità sarà del non essere riusciti ancora a garantire pienamente la vaccinazione anche a determinate categorie, non certo di chi volontariamente sceglie di non vaccinarsi.

È chiaro quindi che la paura si è trasferita dall’aspetto biologico, sanitario, di preservazione della propria vita e di quella dei propri cari a quella per la perdita, ulteriore e prolungata, della libertà, la quale però non è decisa né stabilita dal non vaccinato ma dal potere pubblico che c’è da pensare utilizzi il non vaccinato come capro espiatorio per le proprie mancanze.

Questo è a mio avviso un punto ancora più rilevante: siamo davvero sicuri che sia il vaccino il vero discrimine, quando si parla di ritorno alla piena libertà, per un potere pubblico sempre più affamato che da un anno a questa parte, nella sua autoreferenziale bulimia espansiva, non ha fatto altro che dettare minuziose regole, limitazioni, concessioni, sanzioni?

Parliamoci molto chiaro: ancora oggi, pur con il 45 per cento della popolazione italiana vaccinata, si continua a impostare la politica pubblica anti-Covid in termini di contagi. Gli indicatori statistici sui contagi permeano non solo il dibattito ma le scelte assunte di volta in volta dal potere pubblico, tanto che si sta seriamente tornando a parlare di regioni a colori, come era fino a pochi mesi fa, con una capriola all’indietro che non sembra ingenerata dall’avversione popolare per i vaccini. Dato che, lo sanno tutti, anche i vaccinati continuano a contagiarsi e a contagiare.

Seguire i contagi, al posto di ospedalizzazioni, terapie intensive e decessi, ovvero degli elementi sottesi allo stress del sistema sanitario, significa perseguire la esiziale politica del ‘Covid zero’, al contrario di quanto stanno facendo alcuni Paesi, tra cui la civilissima Inghilterra che coi contagi ha deciso, continuando a vaccinare, di conviverci.

Il punto è quindi lineare, limpido, solare: la scelta di seguire le statistiche sui contagi ci farà finire reclusi, in pieno lockdown, o a indossare la mascherina all’aperto, anche quando la popolazione vaccinata sarà pari o superiore all’80 per cento. Tenendo poi a mente che una parte della popolazione non potrà comunque essere vaccinata per motivazioni fisiologiche e di sicurezza sanitaria.

Quindi mi sembra chiaro: prima della ipotetica adozione del Green Pass nei termini ‘francesi’ anche in Italia, si dovrebbero dimettere tutti quei politici, quei dirigenti pubblici, quei consulenti, super o normali, quei direttori di giornali e giornalisti ‘colpevoli’ di aver inquinato la credibilità dei vaccini, di aver distorto il dibattito pubblico stabilendo correlazioni e reazioni avverse tra inoculazione vaccinale e varie morti, ingenerando un clima di oggettivo terrore e minando, se davvero è stata minata come sembrano oggi suggerire i pasdaran del Green Pass nei termini macroniani, la campagna vaccinale.

Infatti, da un anno e mezzo a questa parte, la continua, costante erosione della libertà, in assenza di qualunque assunzione di responsabilità da parte di chi ha governato, deciso, limitato, ristretto, pone una serissima questione di accountability del potere stesso.

Perché se continuiamo a sentir ripetere che libertà significa prima di tutto assunzione di responsabilità, i primi a dover trarre lezione e insegnamento dal principio della responsabilizzazione dovrebbero essere proprio i politici, i dirigenti pubblici, i virologi, i giornalisti e gli opinionisti che da un anno e mezzo non fanno altro che porre in essere misure assai spesso sconfessate dalla concreta esperienza o lanciarsi in previsioni spesso allarmanti destituite di fondamento: non esiste certamente una libertà di contagiare, perché significherebbe essere irresponsabili, ma non dovrebbe nemmeno esistere la libertà di adottare politiche gravemente erronee, spesso liberticide e non necessariamente suffragate da dati o elementi oggettivi.

Come non dovrebbe esistere la latente o esplicita politicizzazione del tempo pandemico (la vulgata della pandemia come opportunità).

Non si può quindi accettare una declinazione del termine responsabilità a senso unico, in via unilaterale, come cioè gravante soltanto sulle spalle dei cittadini, mentre per politici, virologi e opinionisti esso diviene un mero orpello ornamentale: ‘mi assumo ogni responsabilità’, dice il politico o il medico che ha sbagliato ogni singola previsione, e chiaramente entrambi rimangono saldi in sella, senza che quindi all’annuncio di assunzione della responsabilità consegua alcun effetto pratico e materiale.

Si riparta da qui, prima ancora di ragionare di ulteriori limitazioni alla libertà.

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