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I rischi del dossieraggio e delle mire egemoniche del regime di Pechino

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Ha ovviamente destato molte preoccupazioni la vicenda, riportata in Italia da Il Foglio e da parecchi e importanti quotidiani stranieri come il Telegraph e il Sunday Times, dei dossier accumulati da Zhenhua Data, un’azienda informatica cinese di Shenzhen che ha rapporti stretti con il governo di Pechino.

Abbiamo insomma saputo che gli analisti del Dragone spiano e controllano milioni di persone e di istituzioni in giro per il mondo, accumulando una quantità impressionante di informazioni che possono essere utilizzate tanto per promuovere l’immagine del colosso asiatico all’estero quanto – ipotesi molto plausibile – per realizzare operazioni di disinformazione.

La Repubblica Popolare è ormai diventata una grande potenza globale e, in quanto tale, conduce sistematiche azioni di spionaggio nei confronti dei Paesi stranieri. Fin qui nessuna meraviglia. Sarebbe strano il contrario, giacché sin dall’antichità lo spionaggio funge da supporto della politica estera dei governi.

Né sorprende che l’Italia sia una delle nazioni più “osservate” dagli analisti cinesi. Non può che essere così, visto l’intenso interscambio commerciale che abbiamo con la Cina e l’interesse di Pechino ad avere degli “amici” all’interno di una Unione europea che sta progressivamente irrigidendo le proprie posizioni nei suoi confronti.

Ovvia quindi la presenza di dossier su politici, imprenditori ed esponenti del mondo economico in genere. Estesi peraltro anche ai familiari. Della famiglia di Berlusconi, per esempio, i cinesi hanno un quadro pressoché completo, che si estende a mogli, amiche, figli etc. E lo stesso dicasi per Renzi e altri. Significativa, inoltre, la presenza di dossier su alti prelati del Vaticano.

Comprensibile anche il dossieraggio relativo ai personaggi di spicco delle nostre Autorità portuali. Il progetto cinese della “Nuova Via della Seta” ha infatti nei porti uno dei suoi cardini essenziali. Pechino già controlla il porto greco del Pireo, e aggiungervi qualche “perla” italiana come Genova e Trieste sarebbe dal loro punto di vista un bel colpo.

Meno scontato appare invece il monitoraggio attento e preciso di personaggi appartenenti al mondo mafioso e criminale. Nonché quello di politici coinvolti in casi di corruzione, alcuni dei quali tuttora in attesa di giudizio. Il sospetto, più che plausibile, è che Pechino intenda utilizzare le informazioni su tale mondo a fini politici, magari attraverso uno scambio di favori reciproci.

Del tutto legittima, quindi, la richiesta d’indagini approfondite rivolta al governo e al Copasir, affinché chiariscano – per quanto possibile – la portata e l’eventuale pericolosità del dossieraggio messo in atto da Pechino.

E qui, ovviamente, si celano scogli politici di notevole portata. È noto a tutti che la componente grillina del governo italiano vanta rapporti assai stretti e amichevoli con Pechino.

Gli incontri “informali” di Grillo con l’ambasciatore cinese a Roma hanno suscitato polemiche accese, così come il sostanziale silenzio del nostro ministro degli esteri Di Maio circa la rivolta di Hong Kong e, in genere, la questione del rispetto dei diritti umani e di quelli delle minoranze etniche nella Repubblica Popolare.

Il Pd ha su questi temi posizioni diverse, mai espresse, tuttavia, con grande vigore. Ora pare che anche il secondo partito di governo, prendendo spunto proprio dai suddetti dossier, intenda insistere per una maggiore trasparenza da parte italiana.

C’è chi ha cercato di sminuire le rivelazioni sostenendo che le notizie raccolte dai cinesi sono open source, e quindi desumibili da fonti di pubblico dominio come, per esempio, i social network occidentali. Ma tale spiegazione non è soddisfacente, poiché il database contenente le notizie è a tratti cifrato e dotato di codici che non sono di facile interpretazione.

Il problema è tutt’altro che di facile soluzione, come del resto si desume valutando anche le mosse dei nostri partner europei (pure loro spiati), i quali hanno reagito con grande prudenza. Da un lato c’è l’esigenza di non compromettere troppo le relazioni economiche e commerciali con Pechino, anche tenendo conto della enorme mole di investimenti cinesi in Italia e in Europa.

Dall’altro è ovvio che Italia e Ue debbono pur cominciare a prendere le distanze da un regime che negli ultimi anni ha accentuato senza remore i suoi tratti autoritari e repressivi. Si attende quindi di vedere come si muoverà Roma nel prossimo futuro.

Preoccupano piuttosto – e non poco – i riferimenti sempre più frequenti che Xi Jinping e il suo gruppo dirigente fanno a una “rinascita nazionale”. Si riferiscono certamente al lungo periodo in cui una Cina imperiale in piena decadenza era preda delle spartizioni tra potenze coloniali europee e Giappone.

Storicamente il fatto dev’essere riconosciuto. Ma occorre prestare molta attenzione affinché la Repubblica Popolare non diventi a sua volta una potenza che viene lasciata libera di esercitare mire egemoniche sul resto del mondo, e in particolare sul Mar Cinese Meridionale e sull’Europa.

E allora è necessario ribadire che l’acquiescenza europea nei confronti delle mire di Pechino su Taiwan è del tutto controproducente. L’attuale amministrazione Usa ha invertito la tendenza inviando suoi rappresentanti a Taipei e suscitando l’ira di Xi, che ha subito mandato dei caccia a violare lo spazio aereo dell’isola che vuole fermamente mantenere la propria indipendenza.

Tale situazione non può durare a lungo, e bisognerà prima o poi contestare con fatti concreti la pretesa cinese di considerare Taiwan alla stregua di una sua “provincia”. L’amministrazione Trump lo ha fatto senza punto subire le intimidazioni di Pechino.

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