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Il paradosso di Mila: tra islam e diritti Lgbt, la Francia si sottomette alla mezzaluna

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Mila è una sedicenne che frequentava il Léonard-de-Vinci di Villefontaine, vicino Lione. Molto attiva sui social, nel gennaio scorso si è imbattuta in una discussione su Instagram con un musulmano suo coetaneo. La ragazza – dichiaratamente lesbica – dopo aver rifiutato le avances del ragazzo, viene insultata da quest’ultimo con frasi come “sporca lesbica”, lei risponde con un video in cui afferma “detesto la religione. Il Corano è una religione di odio, l’islam è merda, dico quello che penso! Non sono razzista. Non si può essere razzista nei confronti di una religione”.

Dopo la pubblicazione del video in cui esterna tutto il suo disprezzo per l’islam, vengono resi noti i suoi dati, il suo indirizzo, la sua scuola, Mila viene sommersa da minacce di stupro e di morte da parte di giovani musulmani. Macron in persona è intervenuto in difesa della ragazza rivendicando “il diritto alla blasfemia”.

Mila riprende gli studi in una scuola militare, le viene chiesto di non rivelare la sua posizione, ma in una videochat con un amico le scappa il nome dell’istituto e la scuola militare la espelle. I militari si giustificano che “ai genitori di Mila è stato suggerito di continuare, per un po’, la sua istruzione a distanza in un luogo sicuro, mentre la situazione non si calma. Lei rimane una nostra studentessa. È minorenne. Il sostegno dei suoi genitori è essenziale”. Il padre di Mila è furioso, parla di militari sottomessi e si dichiara “devastato da tanta codardia e rassegnazione”.

La Francia, se da un lato è storicamente un Paese libertario in cui la laicità dello Stato è un dogma della Repubblica, dall’altro è uno dei Paesi più musulmani d’Europa. Il suo passato coloniale ha portato in patria un numero massiccio di musulmani: nel 1962 erano 330.000, nel 2016 erano 5.500.000. Espressa in percentuale la popolazione islamica sul totale era lo 0,7 per cento nel 1962 e l’8,8 per cento nel 2016, e una proiezione indica che nel 2050 la percentuale si attesterà al 17,4 per cento. I dati dell’Istituto nazionale di statistica e studi economici ha certificato che nel 2019 il 21,53 per cento dei nuovi nati ha un nome arabo. Uno su cinque. Percentuale che 40 anni fa era del 2,6 per cento. Cifre destinate a crescere, dal momento che il numero medio di figli per le donne autoctone è 1,4 mentre una donna di fede islamica in Francia arriva ad avere dai 3,4 ai 4 figli.

Numeri che spaventano e che faranno del “caso Mila” la normalità, perché scevri da pregiudizi ideologici, società laica (con il mondo Lgbt) e islam sono inconciliabili. Per il pensiero unico politicamente corretto – in cui le minoranze hanno ragione a priori – quello di Mila rappresenta un paradosso: difendere i diritti Lgbt e la laicità dello Stato o difendere musulmani figli di immigrati? In questo caso la Francia pare abbia scelto la sottomissione alla mezzaluna. Se perfino i militari temono di essere attaccati dai musulmani, il problema della Francia con l’islam è più grande di quanto immaginavamo. I musulmani non vengono assimilati, ritornano le famose parole di Giovanni Sartori che reputava impossibile “integrare pacificamente un’ampia comunità musulmana, fedele a un monoteismo teocratico che non accetta di distinguere il potere politico da quello religioso, con la società occidentale democratica” e ancora “dal 630 d.C. in avanti la Storia non ricorda casi in cui l’integrazione di islamici all’interno di società non-islamiche sia riuscita”.

Il problema non è solo al di là delle Alpi: ciò che accade in Francia è il futuro di tutta l’Europa, ma gli europei vivono nell’illusione che chi migra in Europa prima o poi si spoglierà delle sue vesti culturali e religiose per abbracciare un universalismo privo di identità. Ogni giorno abbiamo la dimostrazione dell’esatto contrario, continuiamo a pagarlo con la vita e la libertà, perché abbiamo scelto la strada della sottomissione e, ahinoi, numeri alla mano potrebbe essere già troppo tardi.

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