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Infelice la citazione di Einaudi: Mattarella si sta comportando in modo opposto

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La citazione di Einaudi fatta sabato scorso dal presidente Mattarella per ammonire M5S e Lega rammentando loro le sue prerogative è doppiamente infelice. Vediamo perché.

Dalle elezioni politiche del 1953 non scaturì una maggioranza, dal momento che la coalizione guidata dalla Dc non ottenne il 50 per cento più uno dei voti e non scattò, dunque, il premio di maggioranza previsto dalla nuova legge elettorale, ribattezzata “legge truffa”. Come si comportò l’allora presidente della Repubblica Luigi Einaudi, citato da Mattarella? Prima di tutto, un incarico pieno al leader del partito di maggioranza relativa: Alcide De Gasperi della Dc. Al quale, pur non avendo una maggioranza certa, viene consentito di giurare e di presentarsi in aula alla Camera con un governo monocolore Dc. Per la prima volta, nella nuova pagina repubblicana, un governo non ottiene la fiducia. Il capo dello Stato assegna allora un pre-incarico ad Attilio Piccioni, anch’egli della Dc e delfino di De Gasperi, che però dopo pochi giorni rinuncia e rimette l’incarico.

Solo a questo punto, dopo due tentativi “politici”, uno dei quali arrivato in aula alla Camera, il presidente Einaudi interviene e percorre per la prima volta la via di un governo del presidente, da lui definito “di transizione” (e non “neutrale”) per approvare le leggi di bilancio. Scavalcando le indicazioni del partito di maggioranza relativa, conferisce l’incarico a Giuseppe Pella, con un profilo tecnico ma gradito alla Dc, essendo stato più volte ministro dei governi democristiani, il quale accetta senza riserva (per la prima volta). Il governo Pella giura e ottiene la fiducia. Durerà per cinque mesi. Caduto il governo Pella, Einaudi torna a dare un incarico politico: ad Amintore Fanfani, anche stavolta “al buio”, senza una maggioranza precostituita. Tant’è che il suo governo, un nuovo monocolore Dc, non ottiene la fiducia e dura solo 23 giorni.

Ricapitolando, due tentativi di incarico “politico” portati alla verifica del Parlamento. In mezzo, il primo governo del presidente, forte però di una maggioranza certa.

Il presidente Mattarella fa bene a sottolineare che nella nostra Costituzione l’inquilino del Quirinale non è un mero “notaio”, che l’articolo 92 gli attribuisce il potere di nomina del presidente del Consiglio e, su proposta di questo, dei ministri. A ben vedere però, la condotta scelta oggi dal presidente Mattarella appare in netto contrasto con quella di Einaudi nel 1953. Certo, fu un chiaro esempio dei poteri presidenziali di nomina del governo, ma al contrario del suo lontano e illustre predecessore, Mattarella ha ritenuto di non conferire fin qui incarichi formali, di pretendere una maggioranza numericamente certa già prima dell’eventuale incarico, mentre Einaudi mandò in Parlamento due governi politici, De Gasperi VIII e Fanfani I, “al buio”. E soprattutto: il governo “di transizione” Pella aveva i numeri e ottenne la fiducia, mentre il governo “neutrale” di Mattarella si presenterebbe alle Camere ultra-minoritario, potendo contare con certezza sui soli voti del Pd.

Una citazione infelice, anche perché per oltre 50 anni le forze politiche che hanno governato questo Paese e di cui Mattarella è espressione hanno detto e fatto esattamente il contrario del pensiero e delle azioni di Luigi Einaudi (basta guardare come l’hanno ridotto). Quante leggi di spesa senza coperture, con coperture “finte” o qualitativamente oscene sono passate senza che Mattarella e i suoi predecessori abbiano avuto alcunché da obiettare? Ora Einaudi viene “ripescato” per servirsene come monito preventivo ad un “quasi-governo” Lega-5Stelle…

Inoltre, se il presidente della Repubblica non è un notaio, ci piacerebbe che non lo sia mai, mentre ci tocca constatare che, guarda caso, quando governano il Pd o coalizioni di centrosinistra, chiunque si trovi al Quirinale tende a interpretare in modo notarile il suo ruolo, mentre in presenza di governi di centrodestra si è sfiorata una sorta di “coabitazione” da semipresidenzialismo francese.

E infine, fermi restando i poteri di nomina, e il potere di rinvio delle leggi alle Camere, del capo dello Stato, è o no un suo preciso dovere costituzionale anche preservare la fiducia degli italiani nelle istituzioni, evitando che la scelta del presidente del Consiglio approfondisca il fossato attuale tra il cosiddetto “paese reale” e il Palazzo?

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