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L’Iran si è rimesso a correre verso l’atomica: è ora di affrontare la minaccia

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La Repubblica teocratica iraniana ha da poco ufficializzato l’aumento dei propri sforzi nella produzione di uranio arricchito, portando il livello oltre al 5 per cento ed aumentando il numero di turbine operative.

Questi sono i naturali passi di uscita dal JCPOA, l’accordo sul programma nucleare iraniano del 2015, quindi non dovrebbero stupire più di tanto le cancellerie mondiali. Eppure, non si riesce ad andare oltre i meri avvertimenti verbali o le inutili e logore sanzioni economiche.

Gli Stati Uniti di Trump sono già immersi nella campagna elettorale per le presidenziali del 2020, l’Ue è sempre stata pavida se non accondiscendente nei confronti di Teheran e Israele è ormai da oltre un anno privo di governo stabile e in una campagna elettorale permanente.

Inoltre, l’Occidente è in preda ad una crisi di identità da oltre 15 anni, in seguito alla fallimentare campagna bellica “Iraqi  Freedom” del 2003. Da quel momento gli stati dell’Alleanza atlantica si sono sempre preoccupati più delle conseguenze di possibili azioni sbagliate che di analizzare il prezzo dell’inazione e del ritiro unilaterale.

L’esempio principe è la rapida e mal gestita uscita di scena dall’Iraq decisa dal presidente Obama, la quale ha permesso all’Isis di espandersi con una facilità disarmante. Ma allo stesso tempo si può fare anche riferimento alle inutili linee rosse tracciate e mai fatte rispettare.

Questo vuoto creatosi in Medio Oriente gradualmente è stato riempito dalla Russia, dalla Turchia e dall’Iran. Quest’ultimo è presente, tramite i suoi proxy, in tutti i fronti aperti nel Medio Oriente. Gli Houthi in Yemen, le PMU in Iraq, le milizie sciite e le IRGC in Siria, Hamas e PIJ a Gaza e naturalmente Hezbollah in Libano. L’Iran spende miliardi di dollari per finanziare queste organizzazioni terroristiche e per espandere il proprio programma missilistico e nucleare ad un solo fine: la distruzione dello Stato di Israele.

Israele potrebbe a breve vedere ricomparire lo spettro del 1973, l’anno della Guerra del Kippur. Un attacco su più fronti nel quale fu abbandonato a se stesso da larga parte dell’Occidente.

Gli Stati Uniti e l’Europa non possono permettere che il regime teocratico iraniano entri in possesso di armi nucleari. Questo scenario deve essere evitato in qualsiasi modo, anche a costo di un intervento militare preventivo.

La dead-line invalicabile dovrebbe essere il raggiungimento del 20 per cento dell’arricchimento dell’uranio, quota già sufficiente per la costruzione di rudimentali “bombe sporche”.

Le complicazioni sono evidentemente molte, anche di carattere tecnico, in primis la notevole estensione della rete di centrali nucleari e la protezione naturale offerta ad essi. Molti di questi siti sono in zone rocciose e sotterranee. Israele non possiede sufficiente capacità per affrontare questo sforzo bellico. È necessario quindi che Stati Uniti e Ue intervengano, anche militarmente se necessario per sventare la minaccia. È tempo di abbandonare le vuote parole ed affrontare le minacce con concretezza e risoluzione.

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