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La complessità ultimo trucco degli “esperti”: troppo comoda la tattica dei mille distinguo

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Se dovessimo identificare un denominatore comune in tanti ragionamenti che sentiamo in questi giorni, probabilmente sarebbe la totale assenza di pensiero lineare. Sembriamo tutti alla ricerca di una spiegazione complessa ai fenomeni più scontati e prevedibili che caratterizzano questi nostri giorni di timori ed incertezze senza limiti. Riusciamo perfino a cercare spiegazioni arzigogolate per la recentissima esclusione della nazionale italiana dai mondiali di calcio, andando a cercare chissà quali altri schemi tattici che avrebbe dovuto adottare il nostro ct, laddove, ragionando in modo lineare, potremmo semplicemente concludere che si è ulteriormente manifestata la nostra inferiorità tecnica ed atletica nei confronti di altre nazionali, magari meno pretenziose ma più efficaci a fare gol.

L’impressione è che si sia perso di vista il ragionamento basato sulla semplice osservazione dei fatti e sulle precedenti esperienze collettive o individuali, a favore di una ricerca spasmodica del distinguo ad ogni costo, dell’elaborazione teorica e retorica del pensiero. Ci è ormai tanto difficile accontentarci di stare all’interno di un qualsiasi pensiero condiviso, come tale non esente da qualche inevitabile imprecisione, da perdere di vista l’essenziale, perché troppo presi dal desiderio di distinguerci ad ogni costo dalla massa, non importa se lasciando sul terreno la logica, il buonsenso e, talvolta, pure la ragione. Allo stesso modo in cui non sembriamo accorgerci che gli attaccanti della nostra nazionale, semplicemente, quando si trovano a tu per tu col portiere avversario o non tirano o sbagliano il tiro, il che sembrerebbe un ragionamento troppo banale e condiviso per fare la figura di quello che di calcio se n’intende, siamo talmente desiderosi di distinguerci nei discorsi politici (da bar o da tv cambia pochissimo) che, parlando di ben più gravi cose, dimentichiamo spesso che, alla prova dei fatti, è stato Putin ad invadere e bombardare l’Ucraina e non viceversa.

Niente da fare, attenersi ai fatti, anche quando siano incontrovertibili e provati, pare troppo poco. È la sindrome del conduttore televisivo, quello che pone agli ospiti le domande che già dovrebbero contenere la risposta, le c.d. “domande suggestive” vietate nel dibattimento penale. Fare all’ospite una semplice domanda per conoscere il suo pensiero sembra troppo scontato. Bisogna complicare a dovere la narrazione, insinuando risposte che dovrebbero consolidare la giustezza dell’opinione personale del conduttore, che non può di certo, anche in questo caso, accontentarsi di porre domande intelligenti ai suoi ospiti. Si pongono perciò domande ammiccanti ad una risposta quantomeno sperata dagli autori del programma ed il compito dell’ospite (tranne lodevoli eccezioni) si risolve, nei fatti, più che a dire la propria, a non contraddire quanto traspare dell’opinione del padrone di casa. Sarebbe troppo semplice chiedere all’esperto in studio. “Lei come la pensa” e basta? Certo che sì, meglio complicare le cose quel tanto che basta per non sembrare un semplice moderatore della discussione perché si vuole esserne un protagonista. Che, alla fine della trasmissione televisiva, i poveri telespettatori rimangano confusi e disorientati sembra contare poco.

L’importante pare ormai suggerire l’imprescindibilità di una linea di pensiero complessa e variegata, e quanto più abbia entrambe le qualità, tanto più autorevole sembra essere, perché il pensiero lineare, ossia quello, sfrondato dagli orpelli delle sfumature e dai particolari, che mira alla sostanza, sembra essere ormai inammissibile. Tutto ciò accade nonostante la cruda realtà degli avvenimenti quotidiani che c’investono, alla faccia dei nostri bizantinismi, e si tratta di accadimenti che richiedono reazioni rapide e gravi. Se non la smetteremo, e pure in tempi brevissimi, di trascurare la nuda sostanza degli atti e dei fatti di guerra, perdendoci nei troppi sentieri interpretativi che stiamo imboccando per non sembrare dei sempliciotti, saranno guai seri, non solo per i salottisti dal pensiero fluido.

Persino le massime autorità religiose sembrano più inclini ai distinguo ed alle prese di posizione di comodo, quelle che condannano, genericamente, la guerra più di chi l’ha scatenata e che continua ai danni dei civili, con immani costi di perdite di vite umane. Essere chiara, concisa, coraggiosamente schierata, per la stessa Chiesa dovrebbe essere la semplice applicazione del vangelo di Matteo:  “il vostro dire sia sì sì no no, il di più viene dal maligno”, ma così non sembra proprio essere in questi giorni. D’accordo, lo schierarsi è intrinsecamente pericoloso e non scevro da critiche, ma certe volte, soprattutto chi ha accettato di parlare a nome di moltissimi altri, ha il preciso dovere di farlo, a costo di sbagliare e di pagarne (eventualmente) le conseguenze. Troppo comoda la tattica dei mille distinguo, delle posizioni sfumate ed ancor più disdicevole quella delle affermazioni buone per tutte le stagioni, in un esercizio di “cerchiobottismo”, mi perdonerete l’inelegante termine, che dovrebbe mettere al riparo il pubblico parlatore (definirli oratori sarebbe troppo per molti di loro) da qualsiasi opposto esito finale dell’incognita della quale sta parlando. L’immancabile “io ve l’avevo detto”, anche quando opportunisticamente si disse sia il bianco che il nero, è una sorta di lasciapassare a futura memoria che attira intere schiere di opinionisti poco coraggiosi, perlopiù esperti di salto della siepe e del fossato più che delle discipline delle quali sono chiamati a discettare e questo lo si sa. Ma che si arrivi ad essere oggi addirittura nella testa di Putin, che sta tristemente lasciando il mondo “percosso ed attonito” come nemmeno Napoleone riuscì, se non con la sua morte, mi pare davvero troppo.

Vorrei proprio conoscere il motivo per cui si avverta la necessità di dirla sempre in modo, non soltanto diverso, ché sarebbe anche normale, ma più complesso, maledettamente più complesso degli altri. Sommessamente osservo che le attuali mire del dittatore russo si sono dimostrate palesemente chiare e coerenti con una sua idea di Grande Russia che proprio tutti hanno capito, a partire da quelli che già la sperimentarono quando si chiamava Unione Sovietica, ma per noi rimangono meritevoli di infinite valutazioni cerebrotiche oltre ogni evidenza e la cosa più grave è che, mentre noi ci perdiamo nei pipponi televisivi, a Kiev, e non solo là, si muore, esattamente come ci ricordava Tito Livio dicendo che “mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata”. E quale potrebbe essere la prossima Sagunto è ancora tutto da sperimentare sulla nostra pelle.

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la grande bugia verde