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La reazione occidentale alla narrazione cinese sul coronavirus. Con un anello debole: l’Italia

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La battaglia per la leadership del prossimo “ordine mondiale” tra Occidente e Cina passa anche e soprattutto dalla narrazione. Ormai, infatti, è cosa nota che Pechino, per mezzo di una nuova narrazione sulla pandemia da coronavirus e della “diplomazia delle mascherine”, sta provando a riscrivere la storia, censurando i suoi ritardi nell’informare il mondo sulla propagazione del virus, accusando gli Stati Uniti di averlo creato e l’Italia di essere stata il primo Paese colpito dal Covid-19, e negando che nella regione di Wuhan fossero in corso esperimenti sui virus della famiglia dei coronavirus dei pipistrelli, i cui esiti restano a tutti ancora ignoti.

Davanti a questa narrazione cinese, parte dell’Occidente ha reagito. Lo hanno fatto in primis gli americani, con il presidente Trump che ha chiamato il Covid-19 “virus cinese” e con il segretario di Stato Pompeo che, dopo la diffusione di alcuni cable americani del 2018 su quanto accadeva nei laboratori di Wuhan, ha chiesto alla Cina di fornire immediatamente tutte le informazioni sul caso. L’Europa stessa, che apparentemente sembra genuflessa a Pechino, ha preso posizioni molto dure nei confronti di Pechino. Lo ha fatto il presidente francese Macron, che ha anch’egli espresso perplessità su quanto accaduto nella regione di Wuhan, confermato l’apertura commerciale ma anche annunciato la forte opposizione di Parigi alle mire espansionistiche di Xi; lo ha fatto anche la cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha invitato la Cina ad offrire la massima trasparenza sull’origine del nuovo coronavirus.

Così, mentre in Italia chiunque metta in discussione l’origine naturale del coronavirus viene tacciato di essere un complottista analfabeta, i maggiori leader del mondo occidentale iniziano a nutrire dubbi e a prendere posizioni molto nette nei confronti della Repubblica Popolare Cinese. Al di là dell’origine del virus, si tratta di posizioni fondamentali nel dopo emergenza, che davanti alla narrazione cinese permetteranno all’Occidente di reagire con la stessa moneta, ponendo Pechino davanti alle proprie responsabilità. Una reazione che, associata alla probabile contrazione della crescita cinese, potrebbe mettere davvero in difficoltà il potere di Xi, portando magari a proteste e ad una reazione interna anche al Partito Comunista al potere.

Anello debole di questa reazione occidentale alla narrazione cinese è, purtroppo, l’Italia. Qui, quasi indisturbato, il regime di Pechino è riuscito a far passare l’idea che l’origine del coronavirus sia da ricondurre alla Lombardia, una tesi folle, figlia di una assurda manipolazione cinese di una intervista ad un medico italiano. Manipolazione che è passata senza alcuna dura reazione da parte del Governo italiano. Inviando qualche medico e qualche mascherina, quindi, la Cina è riuscita a far breccia anche nel cuore degli italiani che, secondo un sondaggio di SWG, oggi nutrirebbero addirittura più fiducia in Pechino che in Washington (un risultato su cui riflettere, dato che gli aiuti americani all’Italia non sono mancati – come ammesso anche da Di Maio – ma non c’è stata molta informazione sui media italiani. Sulle motivazioni di questa mancanza di informazione ognuno tragga le proprie conclusioni). Non solo: in Italia abbiamo avuto addirittura un supposto Che Guevara, Alessandro Di Battista, che ha invitato il governo a stringere relazioni preferenziali con Pechino a discapito di quelle con gli alleati occidentali, dicendosi certo che la Cina vincerà una “terza guerra mondiale” senza sparare un colpo.

La partita per la leadership del prossimo ordine mondiale, quindi, si giocherà anche e soprattutto in Paesi come l’Italia, geograficamente importanti, ma politicamente fragili e divisi. In questa partita, l’Italia deve ricordarsi qual è il prezzo della decisione di sposare la narrazione cinese (o permettere che quest’ultima si affermi indisturbata). Dietro le belle parole sulle affinità culturali e la Via della Seta, non c’è nulla di promettente: gli aiuti cinesi arrivano a pioggia all’inizio, per poi rivelarsi non la generosa offerta di un amico, ma il primo step di una trappola del debito, attraverso cui Pechino impone il suo dominio geopolitico. Un dominio caratterizzato da censure, mancanza di trasparenza e abusi dei diritti umani.

Vincere la infowar sul nuovo coronavirus, non significa quindi solo cercare la verità, dopo mesi di chiusura forzata in casa lontani dai nostri cari e davanti al rischio (per alcuni purtroppo già realizzatosi) di restare senza un lavoro. Significa anche porre le basi per vincere la partita per la leadership globale post-Covid-19. In altre parole, ancora una volta, si tratta di scegliere tra stato di diritto e lo stato di polizia. Tertium non datur ed è pericoloso illudersi. Anche nei rapporti con la Cina, un “modello italiano” non esiste inseguirlo non può che condurre il Bel Paese tra le braccia di Pechino.

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