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Le geometrie variabili e il dinamismo di Macron, e invece l’immobilismo provinciale dell’Italia

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Chi ha la pazienza di seguirci sa che Atlantico non è mai stato nella pattuglia dei “macronisti italici” (a pelo corto e a pelo lungo). Dalla sua elezione, ci affanniamo a spiegare un’elementare verità: che Macron è il Presidente francese, e – giustamente – fa gli interessi della Francia, non quelli dell’Italia, diversamente da quanto raccontano alcuni dei suoi cantori e aedi italiani (aspiranti viceré).

Detto questo, con l’onestà intellettuale di chi guarda laicamente i comportamenti, anziché restare imprigionati nei pregiudizi di partenza, occorre riconoscere a Macron un dinamismo e una capacità di muoversi a tutto campo che va a suo onore.

In politica interna, cerca il suo “momento thatcheriano”, confrontandosi con i terribili sindacati francesi dei trasporti, che hanno indetto una raffica di scioperi per i prossimi due mesi. In particolare il settore ferroviario, ipersindacalizzato e fortemente sussidiato dallo stato, è un bastione dello status quo sindacale in Francia. La riforma macroniana contro cui i sindacati scioperano è – a ben vedere – limitata nella sostanza: alzare un pochino un’età pensionabile oggi bassissima in Francia, e cancellare qualche privilegio per i neoassunti. Ma opporsi selvaggiamente – per i sindacati – è qualcosa di altamente simbolico. Se Macron terrà duro, sarà per lui un innegabile successo.

Ma un dinamismo ancora maggiore è quello che il Presidente francese sta sfoggiando in politica internazionale. In Europa, da un lato (e Atlantico è in netto dissenso sul punto) è un neo-centralizzatore europeo, vorrebbe un ministro delle finanze unico Ue, ma dall’altro ha l’intelligenza di difendere il diritto francese – sul piano del commercio – a stipulare più convenienti accordi bilaterali.

A differenza di altri leader europei con il sopracciglio alzato, Macron è volato a Londra a incontrare Theresa May e Boris Johnson, facendo intuire aperture negoziali su Brexit. E il 14 luglio scorso, data sacra per la Francia, ha voluto a Parigi nientemeno che Trump.

E proprio Trump è l’interlocutore a cui Macron vuole chiaramente allinearsi rispetto all’evoluzione della vicenda siriana: vale rispetto alle ipotesi di intervento, e vale anche – sul piano diplomatico – per le parole dure e coraggiose pronunciate l’altra notte all’Onu dall’ambasciatore francese, a sostegno della posizione americana.

A completare il quadro internazionale, il recentissimo incontro di Macron con il principe saudita Salman, che lascia per la prima volta intendere – da parte francese – un possibile abbandono dell’asse privilegiato con Teheran, essendo l’Iran ridotto alla condizione di appestato internazionale (in epoca Trump), dopo gli anni di insensato corteggiamento obamiano.

Le nostre élites politiche e giornalistiche, così leste ad applaudire Macron, farebbero bene a capirne le mosse, e magari a seguirne alcune. Qui a Roma, invece, pur proseguendo gli inchini verso Parigi, si seguono linee vecchie, sbagliate e perdenti: troppi omaggi a Putin, nessuna comprensione delle nuove dinamiche internazionali, sottovalutazione dell’opportunità Brexit, ostilità verso il Gruppo di Visegrad, sopracciglio perennemente alzato e infastidito verso Trump, e affari opachi con l’Iran. Tutto sbagliato.

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