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Arma di intimidazione: Bruxelles minaccia Musk brandendo il DSA

Le accuse kafkiane di Breton e la risposta di Musk. Il Digital Services Act dà alla Commissione poteri unilaterali di censura in caso di crisi come guerre o pandemie

Elon Musk con il commissario Ue Thierry Breton

Ci risulta che Lei abbia commesso un reato. Alla luce di questo, Le richiediamo una risposta veloce, accurata e completa entro 24 ore, ricordandole che in caso decidessimo di aprire un’inchiesta sulle sue azioni Lei potrebbe subirne le conseguenze.

Come rispondereste ad una lettera simile da parte di un’autorità? Ebbene, questo è il tono della lettera inviata il 10 ottobre 2023 dal commissario europeo Thierry Breton al proprietario di X (già Twitter), Elon Musk. Non sappiamo se non la abbia indirizzata invece al ceo (come ci parrebbe logico) per il fatto che sia una donna, o perché la pensi irrilevante, ma non è questo il punto, cui arriviamo tra poco.

Le lettere di Breton

Analoga (ma non troppo) missiva-in-pdf è stata inviata il giorno successivo a Mark Zuckerbeg di Meta e ai vertici di Tik Tok. Il confronto tra le due è interessante: la prima utilizza un tono distaccato e minaccioso, la seconda formale ma quasi da vecchi amici.

Inoltre, la lettera indirizzata a Meta termina con una frase positiva: “The DSA is here to protect free speech against arbitrary decisions, and at the same time protect our citizens and democracies”. Totalmente assente in quella rivolta a X. Inutile perdere tempo a spiegare ad uno come Musk i motivi per cui il DSA esiste.

Le risposte di Musk

La risposta di Musk al tweet di Breton è stata pronta e assolutamente logica: “Per cortesia ci indichi quali sono le violazioni a cui allude, in modo che il pubblico possa valutarle” 

Breton Musk

Non è finita. Nel resto dello scambio (visibile su X) Breton passa provvisoriamente al francese (“vu, merci”) per tornare all’inglese con una frase degna de “Il Processo” di Kafka: Lei è al corrente delle accuse, sta a Lei dimostrare che “you walk the talk” (traducibile in italiano in “praticare quello che si predica”). Ma Musk esige che le accuse siano esplicitate in chiaro e non accetta allusioni nello stile di Breton.

Compiamo le nostre azioni allo scoperto. Nessun accordo dietro le quinte. Si prega di pubblicare esplicitamente le proprie preoccupazioni su questa piattaforma.

Dobbiamo aggiungere che – evidentemente meno misogino di Breton – Musk ha chiesto alla ceo Yaccarino di rispondere. Il documento di quattro pagine è consultabile qui e sostanzialmente afferma che immediatamente dopo l’attacco dei nazisti di Hamas, X ha creato una task force dedicata a monitorare la situazione e ha rimosso “migliaia di contenuti” anche in coordinamento con il “EU Internet Forum”

Lasciamo ai lettori il compito di dare un nome alla pratica di Breton, avanzare minacce senza citare dettagli sulle motivazioni. Passiamo invece a due considerazioni forse più importanti.

Vere fake news

Sono motivate le accuse di Breton? A nostro avviso sì, ma riguardano tutti i social e riguardano situazioni difficilmente evitabili, a meno di bloccarne l’attività in toto. Ad esempio, il video di bambini palestinesi rapiti e detenuti in gabbie da parte degli israeliani è un falso, quantomeno nel contesto attuale (è datato molti mesi fa).

fake news

Ma la cosa interessante, e vorremmo che tutti lo facessero, è ascoltare come la notizia viene data sui media internazionali. Ad esempio, se si guarda qui il video di France24 correlato all’immagine si noterà che al minuto 00:58 viene affermato che il video mostrato “è stato postato su X”. Ma osservando l’immagine questa riporta chiaramente il logo di TikTok.

Quindi chi diffonde fake news? Senza dubbio (in parte) chi ha postato il video, ma altrettanto senza dubbio le “cellule investigative anti-bufala” di France24 e di tanti altri importanti media internazionali

Media che peraltro ci forniscono anche intrattenimento gratuito, mostrando presunti video di fiancheggiatori egiziani dei terroristi di Hamas intenti a penetrare in territorio israeliano direttamente su cammelli (si tratta quest’ultimo caso di immagini tratte dalla famosa gara di cammelli che si svolge a gennaio vicino a Sharm).

DSA: strumento di intimidazione

Ma veniamo al Digitale Services Act (DSA), il regolamento invocato da Breton. Questa una spiegazione fornita gentilmente da Matte Galt, di Privacy Chronicles:

Il DSA è un regolamento proposto dalla Commissione europea a fine 2020 e fa parte del “pacchetto digitale” europeo. Da molti è stato annunciato come la risposta salvifica alla disinformazione e all’illegalità online, secondo il motto: “quello che è illegale offline deve essere illegale online”. Sulla carta, la missione del DSA è rendere lo spazio digitale europeo più “sicuro (safe)” per i cittadini da: i) contenuti illegali, qualsiasi cosa voglia dire ii) offerta di prodotti illegali online iii) promozione di advertising aggressivo e non trasparente.

Viene spesso promosso dai commissari europei come Breton come una legge contro la “disinformazione”, ma nel testo di legge la parola disinformazione non viene mai neanche menzionata

Il DSA è molto pericoloso per la libertà d’espressione perché nel calderone dei “contenuti illegali” ci può rientrare qualsiasi contenuto da cui possano derivare conseguenze negative, concrete o potenziali, sul processo elettorale e pubblica sicurezza, o relativamente a violenza di genere, salute pubblica, o salute mentale e benessere delle persone. In pratica una serie di nozioni non definite, che possono voler dire tutto o niente.

Ma c’è dell’altro: il DSA prevede che gli stati membri possano decidere sulle sanzioni pecuniarie, nel rispetto dei criteri stabiliti dall’articolo 52 del Regolamento. Non pare che il Regolamento possa dare il diritto alla Commissione di oscurare una piattaforma, ma la Commissione ha poteri unilaterali di censura verso le piattaforme in caso di “crisi” come guerre o pandemie. 

In sostanza, la Commissione da sola può decidere cosa può rimanere sulla piattaforma e cosa no, in determinati contesti (e, aggiungiamo, quello attuale è uno di questi). Il rischio è che una piattaforma come X possa scegliere volontariamente di non rendersi più disponibili all’Ue, nel momento in cui le sanzioni del DSA dovessero diventare insostenibili.

Questa la conclusione di Matte, che ci sentiamo di sottoscrivere parola per parola: il commissario Breton sta usando il DSA per quello che è, uno strumento di intimidazione a spettro così ampio che è impossibile rispettarlo. La definizione di contenuto illegale è così eterea ed eterogenea che in sostanza una piattaforma come X sarà sempre in violazione di legge e pertanto ricattabile.

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