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Per l’Occidente la scelta è tra resistenza ucraina e disonore

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“Potevano scegliere tra guerra e disonore. Hanno scelto il disonore, avranno la guerra”

Così Winston Churchill si esprimeva sulla finta pace ottenuta da Neville Chamberlain alla Conferenza di Monaco del 1938. Così criticava aspramente la decisione del governo britannico di cedere la regione cecoslovacca dei Sudeti nelle mani del Reich. Il finale è noto a tutti: un anno dopo sarebbe scoppiata la Seconda Guerra Mondiale. La Guerra Fredda è terminata e il “Secolo Breve” ha dato il suo ultimo colpo di coda con il crollo dell’Unione Sovietica. Un crollo che ha scompaginato l’assetto geopolitico mondiale inaugurando il nuovo millennio. Mi permetto di scomodare Churchill e le sue parole perché una nuova guerra è scoppiata nel cuore dell’Europa. Pur non volendo paragonare Putin a Hitler, trovo utile ricorre alla storia e alle sue similitudini per attingere qualche lezione.  

La lezione del premier britannico che ha combattuto e vinto il regime nazista sembra essere stata assorbita da Stati Uniti e Unione europea. Se la compattezza mostrata dai 27 Stati membri non era affatto scontata, il rafforzamento delle basi Nato nei Paesi limitrofi all’Ucraina e il convinto sostegno militare a Kiev lo sono ancora meno.  Sono almeno venti i Paesi dell’Unione europea, tra cui l’Italia, che hanno deciso nell’ultima settimana di inviare aiuti militari all’esercito ucraino per difendersi dall’attacco russo. La decisione della Commissione di stanziare, con il Peace Stability Fund, 450 milioni di euro in aiuti militari è simbolo di una ritrovata intesa. La scelta del cancelliere Scholz, per la prima volta dopo il secondo conflitto mondiale, di inviare 1.000 razzi anti-carro e 500 missili terra-aria Stinger rappresenta una piccola rivoluzione rispetto alla politica tenuta finora da Berlino (contraria all’export di armi in aree di guerra) e una grande svolta storica per la Germania.

Al contrario, se guardiamo i nostri talk show, se leggiamo i nostri giornali, ci rendiamo conto dell’esistenza di un’enorme fetta di intellettuali, giornalisti ed opinionisti che per quanto riguarda le sanzioni europee sono di tutt’altro avviso. Il fronte “pacifista” italiano si sta allargando, di giorno in giorno, di ora in ora. A farne parte sono sindaci, associazioni, sindacati, politici e giornalisti. Ne volete un esempio? Mentre nelle principali capitali europee le piazze si riempivano a sostegno della resistenza ucraina e del loro presidente, alla manifestazione di Roma era l’ipocrisia a farla da padrone. Sotto il finto vessillo della pace (e chi non la vorrebbe?) si nascondevano antichi sentimenti di anti-americanismo e di mascherato anti-occidentalismo. “Né con la Nato né con Putin”, “Italia fuori dalla Nato”, recitavano i cartelli di alcuni manifestanti. Molti sventolavano fieramente la bandiera comunista, altri, con atteggiamento trionfante, alzavano il pugno serrato al cielo. La maggior parte, si dichiarava contraria all’invio delle armi invocando a gran voce la “pace”.

Ma ergersi a generici difensori della pace significa di fatto mantenere una posizione di equidistanza tra Occidente e Cremlino, non schierarsi con l’aggredito equivale a legittimare l’aggressore. A chi spara sui civili, a chi non rispetta i “corridoi umanitari”, a chi bombarda in modo indiscriminato su donne, uomini e bambini non si può e non si deve lasciare neanche un briciolo di legittimazione.

Al contrario, il sostegno politico, economico e soprattutto militare sono risposte dovute L’Occidente, per avere una chance di vittoria, deve assumere una posizione di forte deterrenza. Se Putin sta attuando una prova muscolare con la sua “operazione speciale”, dovremmo rispondere con la fermezza. Mostrarci militarmente pronti e alzare il livello della difesa.

La decisione di inviare armamenti a Kiev non ci rende corresponsabili del massacro dei cittadini ucraini, come molti vogliono far credere. Contrariamente, scegliendo di non sostenere la resistenza ucraina, queste accuse ricadrebbero inesorabilmente sulla nostra testa. Saremmo responsabili di un abbandono vigliacco della popolazione ucraina, che in grande maggioranza chiede di emanciparsi dal giogo di Mosca.   

L’Europa deve continuare a battersi per un compromesso, ma per raggiungere un risultato negoziale dignitoso per il popolo ucraino bisogna dialogare con il Cremlino da una posizione di forza. Mostrarsi disuniti, fragili e militarmente impreparati avrebbe l’effetto contrario: la resa incondizionata dell’Ucraina.

Il tempo non è dalla nostra parte. Ormai ci troviamo impantanati nella fase successiva dell’invasione. Stiamo assistendo ad una guerra che trova le sue origini nel 2004, con la famosa rivoluzione arancione, ma che si è concretizzata nel 2014 con l’annessione della Crimea e la conseguente destabilizzazione del Donbass. Una guerra a bassa intensità, perpetua, che ha visto morire migliaia di civili ucraini e ha favorito la separazione delle due repubbliche di Donetsk e Lugansk da Kiev.  Una guerra solo recentemente fomentata dallo schieramento premeditato di soldati russi al confine e infine sfociata con la brutale invasione dell’intera Ucraina. La scelta, per questa volta, sarà tra disonore e resistenza, anche armata. Scegliamo con prudenza. In gioco, oltre ai principi di libertà e sovranità, ci sono i cittadini ucraini, le famiglie, i bambini, un’intera generazione. Un intero Paese.

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