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Polemiche interne non siano il pretesto per guastare le relazioni con Riad e favorire Teheran. Bene l’Intergruppo Italia-Arabia Saudita

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Era scontato che per un verso le scelte legittime ma discutibili di Matteo Renzi (è opportuno che un leader politico e un parlamentare in carica intrattenga rapporti anche economici con istituzioni di un altro Paese?) e per altro verso la coincidenza temporale con il deflagrare della crisi di governo scatenassero in Italia una polemica su Riad.

Da un lato, è stata presentata un’interrogazione grillina su Renzi (iniziativa peraltro ridimensionata dai vertici del Movimento, a trattative aperte per il Conte ter); e dall’altro, ben più significativa e grave, è maturata la scelta del governo (annunciata in pompa magna dal ministro Di Maio e dal sottosegretario Di Stefano) di stoppare la vendita di armi a Riad. Si dirà: pure l’amministrazione Usa appena insediata ha deciso qualcosa del genere. Vero, ma in quel caso è solo una review transitoria, tipica ad inizio mandato, e spesso premessa di nuovi negoziati anche commerciali.

Qui, invece, con zelo discutibile, già ci si prepara a ciò che speriamo l’amministrazione Biden non voglia fare, e cioè mettere in archivio gli Accordi di Abramo (e la nuova situazione creata in Medio Oriente grazie all’impegno e alla triangolazione tra Trump e i governi di Riad e Gerusalemme, in primo luogo), per rimettere al centro Teheran.

Sarebbe una mossa discutibile e pericolosa. Già l’Iran ha usato la legittimazione e le risorse dell’accordo nucleare in epoca Obama per avvelenare i pozzi in Medio Oriente (dal Libano alla Siria, dall’Iraq allo Yemen). In questo senso, davvero non si comprende, o purtroppo si comprende fin troppo bene, la fretta di alcuni, in Italia, di attaccare Riad.

Intendiamoci: non si tratta di difendere una monarchia assoluta né di indicarla come un modello. Ma di distinguere e modulare critiche e analisi in relazione a ciò che si desidera costruire in Medio Oriente. Se si vuole liquidare la positiva novità che si è materializzata in questi ultimi anni, si tratta di un errore strategico.

Da questo punto di vista, la nota diffusa ieri dall’Intergruppo parlamentare Italia-Arabia Saudita dice cose ragionevoli quando evoca “una solida cooperazione internazionale fra due interlocutori fondamentali per l’area del Mar Mediterraneo e del Medio Oriente, sotto il profilo politico, economico, commerciale e culturale”, e soprattutto quando individua Riad “tra i più importanti elementi di stabilità nell’area del Medio Oriente, dove le tensioni internazionali sono ancora forti e dove la pace e la tutela dei diritti umani devono essere considerati obiettivi prioritari di interesse di tutta la comunità internazionale. Questo ruolo è recentemente emerso con tutta evidenza, tra l’altro, per la firma dei c.d. Accordi di Abramo, dove l’Arabia Saudita si è posta come garante, nonché in occasione della firma degli Accordi di Al Ula con il Qatar”.

L’iniziativa, assunta dalla presidente dell’Intergruppo Elena Murelli e dai membri (Fabio Berardini, Nicola Carè, Giulio Centemero, Marco Di Maio, Benedetta Fiorini, Francesca Gerardi, Sestino Giacomoni, Veronica Giannone, Giorgio Lovecchio, Tullio Patassini, Roberto Pella, Giovanni Russo, Annaelsa Tartaglione, Antonio Tasso, Antonio Zennaro, Eugenio Zofili, Roger De Menech, Nadia Pizzol, Marco Siclari) si conclude con un richiamo di buon senso: “È interesse di tutti che la lunga relazione tra i nostri due Paesi venga inquadrata nel più vasto contesto della cooperazione internazionale anche attraverso le relazioni interparlamentari che sono state avviate concretamente da due anni e tanto più sottratta alle polemiche di politica interna alle quali stiamo assistendo in questi giorni”.

Legittime le polemiche di politica interna, insomma: ma ha poco senso farne lo strumento per guastare le relazioni italiane con una delle forze che oggi giocano un ruolo positivo in Medio Oriente.