Politica

Diario della crisi

Non illudiamoci che si torni al voto, tutti tirano a campare

Una legislatura sciagurata: quale che sia l’esito della crisi, rimarremo nel solco delle mezze decisioni, dell’incertezza e dell’improvvisazione legislativa

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Basta chiacchiere. Siamo stufi, arcistufi di posizioni politiche perse nella nebbia dell’opportunismo. Il vergognoso teatrino di questi giorni sulla crisi di governo non è che l’ultima rappresentazione di una classe politica del tutto incapace di dare risposte alle legittime richieste dei cittadini.

Piuttosto che continuare a tentennare da uno schieramento all’altro, dando e negando il sostegno più o meno interno al governo dei troppi non eletti e ben nutrito da improvvisatori vari, si sciolgano quei partiti che non rappresentano più minimamente i loro (ormai lontani) elettori.

Ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio, una raddrizzata a certe schiene piegate dai compromessi, dalle giravolte, dai dico e non dico, dall’un po’ di qua e un po’ di là che non si sopportano più. Chi sta a destra stia a destra ed altrettanto faccia la sinistra.

Centrodestra senza collante

Se, poi, qualche illuso volesse rifondare il centro, lo faccia, ma lo faccia subito, con tutte le difficoltà che ne deriverebbero dopo la morte della Democrazia Cristiana, unico possibile centro aggregante che, con tutto il male ed il poco bene che fece in Italia, poteva ancora parlare di centro senza vergognarsene.

Probabilmente sarebbe il momento giusto per mettere da parte le fanfaluche sul “grande centrodestra” che è ormai è una sbiadita forma di modus vivendi tra formazioni sociali che poco o nulla hanno mai avuto da dirsi.

Ho volutamente usato il tempo passato prossimo perché mi è difficile ricordare episodi non soltanto sporadici che abbiano mai dimostrato una reale voglia di collaborare tra i partiti di centro (quali, poi?) e la destra sociale storica. Il collante Berlusconi non incolla nemmeno più due pezzi di carta, piaccia o non piaccia, che lo si ammetta o meno.

Cosa è rimasto della sinistra

Della sinistra m’intendo poco, per cui lascio le analisi ai tanti che ancora la votano e che sembrano avere, almeno a chiacchiere, la soluzione giusta per ogni problema. D’altra parte, l’epoca dei padri nobili è tramontata per tutti i partiti, e tale resterà almeno per qualche decennio, nonostante l’affannosa ricerca di un capo carismatico che trascini a sé gli indecisi, i turlupinati e gli agnostici.

In questi ultimi anni abbiamo visto capetti, presuntuosi riformatori senza conoscenza di ciò che volevano riformare ed approfittatori vari che l’acqua al loro mulino l’hanno tirata fino ad esaurirla, non essendosi nemmeno dimostrati dei capaci ingegneri idraulici.

Guardate, per fare uno tanti possibili esempi, Massimo D’Alema: da riformatore della sinistra e uomo della svolta nel Partito Comunista, abbandonato proprio dai suoi fedelissimi, è ormai uno dei tanti affaristi col fiuto (per quanto non si direbbe finissimo) ed il coraggio per buttarsi nel business della mediazione internazionale. Cosa è rimasto del politico? Nulla. Pecunia non olet e le idee possono attendere periodi migliori.

Grillo conta zero

E l’affarista Beppe Grillo, ammettiamolo, abile, perlomeno nella prima parte della sua ascesa sociale, a trovare i giusti inserimenti per fare di sé un capo? Bene o male che abbia fatto, il comico genovese rimane uno dei pochi capi politici in senso stretto degli ultimi decenni, ma a chi importa ancora qualcosa di lui oggi, quando ancora in Parlamento domina numericamente il partito da lui fondato? Passato anche lui.

Osteggiato dai troppi collaboratori altrettanto presuntuosi che gli hanno fatto la fronda, tradito dalla sua stessa verve oratoria e dalle sparate ad effetto – che, se fosse stato meno istrione e più politico, avrebbe limitato al massimo – sfuggitagli di mano, in pochi mesi, la sua stessa creatura, conta ormai zero persino nel suo partito, i cui appartenenti non rifiutano ormai più tale definizione come ai tempi del “Movimento”, ed è ridotto al ruolo dello spettatore pagante. Sic transit gloria mundi.

Tirare a campare

Niente partiti in senso proprio, niente capi carismatici, si potrebbe dire. Tutti ormai tirano a campare e rimandano. E che dire delle centinaia di senatori e deputati futuri trombati per gli effetti della riduzione del numero dei parlamentari, una riforma kamikaze che hanno approvato loro stessi? Si sa, siamo gente di mondo: le case costano carissime, i figli non parliamone neppure, le mogli sono esigenti ed ancor di più le amichette, per cui a tanti il lauto compenso parlamentare fa più che comodo.

Niente d’immorale, beninteso, e sono personalmente tra i pochi sostenitori di uno stipendio elevato per chi abbia importanti funzioni rappresentative, ma mettiamoci al posto loro; saremmo entusiasti di andare al voto, sapendo bene che il rischio di essere tra gli esclusi alla prossima legislatura è obiettivamente alto?

Quinto Fabio Massimo

Si prolungherebbe al massimo la vita, ormai comatosa, di questa sciagurata legislatura. Come la pensi il capo dello Stato sulla questione non è affatto una novità. Più simile a Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore che a Dracone, non illudiamoci che si torni subito alle urne. Sarà proprio l’ultimissima possibile scelta di Mattarella.

Quale che sia lo sviluppo di questa crisi di governo, non credendo più nessuno al “governo di scopo” e non essendo molto probabile un “governo balneare” come ai tempi di Andreotti, uno di quelli che, comunque, non arrecarono affatto danni gravi al Paese, come stanno facendo questi, si rimarrà, temo, nel solco delle mezze decisioni, dell’incertezza e dell’improvvisazione legislativa.

Altro che semplificazione

Un ultimo appunto: ma ci stiamo accorgendo che il già ponderoso volume delle disposizioni di legge, in massima parte governative e non parlamentari, sta crescendo sempre più? Ma non dovevano essere quelli della “semplificazione” e dalla “riduzione della burocrazia”? La Gazzetta Ufficiale assomiglia sempre più ad un vocabolario, quanto a numero di pagine, seppur non altrettanto in chiarezza ed univocità dei suoi dettati di legge. Sorge, forte, la tentazione di tagliare corto con una frase di cinque parole: ci hanno preso in giro.

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