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Se la comunicazione si è mangiata la politica

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Mai prima d’ora la politica fu tanto impregnata nei botta e risposta tra le opposte sponde. Con i mezzi comunicativi odierni, il politico spara la sua bordata contro l’avversario e, a stretto giro di tweet, arriva la risposta dall’altra parte. L’importante parrebbe essere stare sul pezzo più che non dire fesserie. Sembra irrinunciabile la velocità, a scapito dell’approfondimento e del ragionamento su cui basare ogni manifestazione del pensiero, quando non sia semplice chiacchiera da bar.

Quasi non ci siamo accorti di aver creato noi stessi il Mostro, quello che parla ancor prima di aver collegato il cervello, quel Mostro che ci spinge a dare sempre riposte immediate, quali che siano, pena la perdita, altrettanto immediata, di consensi. Pensiamo al popolo del web, velocissimo nello stigmatizzare un selfie (per quanto sia risibile che l’irrinunciabile fotografia col braccio teso verso se stessi possa essere atto politico) ed altrettanto veloce a zigzagare tra una parte e l’altra, basando il proprio comportamento ondivago su quanto legge in fretta sullo schermo del telefonino. Una frase pensata poco, scritta male, interpretata peggio dal popolo del web, diventa una sentenza di terzo grado e, quindi, immediatamente esecutiva.

La ragione di tanto abominio sta probabilmente nella sopravvalutazione dell’aspetto comunicativo della politica del terzo millennio. Oggidì si giudica un politico in base alla propria capacità di comunicare più che per il contenuto delle proprie idee. Comunicare è talmente importante da essere diventato una facoltà universitaria ed il primo requisito richiesto per trovar lavoro. Abbiamo scioccamente puntato troppo sul mezzo di comunicazione, che, come suggerisce l’etimo, dovrebbe essere soltanto un canale tra due soggetti, più che sui contenuti. Non è forse vero che la “professione” più ambita dai giovani è quella del social influencer? Cosa fanno, in buona sostanza, gli stessi influencer? Siamo sinceri: parlano, parlano, parlano; tanto e spesso a proposito di materie che non conoscono affatto. Il comunicatore del terzo millennio è proprio il Mostro che abbiamo creato e che ci tocca accudire nutrendolo ogni poche ore di messaggi da trasmettere compulsivamente. Più si comunica e più aumentano i followers. Un follower, non dimentichiamolo, lo si conquista con un clic. È questione di una frazione di secondo. Arriveremo forse a denominare followers gli elettori ed a votare tramite i social? Non è ipotesi così surreale. In qualche misura il M5S lo sta già mettendo in atto da anni.

Ma quanto conta la consistenza del numero dei followers in politica? poco o nulla: tanti si perdono per una gaffe e tanti altri se ne guadagnano, almeno per ripicca da parte di altre fazioni. Tuttavia è innegabile che, in qualche misura, il successo di una persona si misura in followers e, per quanto possa sembrare inaccettabile, si dimostra una valutazione abbastanza corretta. Tuttavia, la facile equazione followers-elettori si dimostra errata. Abbiamo forze politiche con migliaia di followers che non le votano, basta fare due conti. L’errore di fondo, con ogni probabilità, sta nell’aver attribuito facoltà salvifiche alla rivoluzione del web, laddove si voleva contrapporre al segreto di palazzo la trasparenza del web. Volevamo la trasparenza (evoluzione perversa della glasnost gorbaceviana) delle pareti del palazzo? Eccoci accontentati. Quindi, non lamentiamoci se adesso vediamo da quelle pareti cose che avremmo preferito non vedere. Volevamo sapere tutto, ma proprio tutto (vicende personali e familiari comprese) dei politici? Altra istanza che ha ottenuto benevolo accoglimento. Per non parlare della potentissima arma di cui abbiamo dotato chiunque: basta andare sul web ed abbiamo munizioni a sufficienza per attaccare qualsiasi avversario, anche e soprattutto sparando su cose del passato. Spingendo oltre la disamina del fenomeno comunicativo che viaggia sulle reti telematiche, non possiamo tuttavia negare che il Mostro ha persino stravolto e rimpiazzato il prevalente concetto di “efficienza”, ossia quello edonistico della massimo risultato con la minima spesa.

Accade, infatti, che la valutazione del risultato ottenuto sul web sia affrettata e viziata da possibili errori proprio a causa dell’estrema velocità del processo comunicativo. A dimostrazione di questo asserto basti fare un esempio: quando tra il “palazzo” e gli elettori la distanza era abissale e le sue pareti tutt’altro che trasparenti, i tempi della formazione dell’opinione popolare si espandevano quel tanto che bastava per valutare il provvedimento stesso con la dovuta calma e ragionamento. Si attendeva di vedere applicata la norma e si poteva agevolmente evidenziarne pregi e difetti, col ritmo imposto dalla vita comune (più che dai social) ossia coi tempi che gli elettori avevano a disposizione per premiare o bocciare quelle norme. Oggi non è più possibile, in quanto tutto viaggia e sembra doversi decidere alla velocità di trecentomila chilometri al secondo (quella della luce e delle telecomunicazioni): prima ancora che un provvedimento di governo inizi ad operare nella società, la sua semplice esplicitazione preventiva (altro errore enorme impostoci dal Mostro) ne causa spesso la fine abortiva e molte volte senz’appello. Questa è certamente una stortura che non dovrebbe esistere in un Paese moderno e (speriamo ancora per molto) governato dal diritto. È del tutto irragionevole rinunciare ad un provvedimento prima ancora di averlo raffinato e perfezionato, sulla base del dissenso generico causato da anticipazioni giornalistiche, non necessariamente accurate ed in buona fede. Paradossalmente, con pochi tweet ben piazzati, oggi si affossa qualsiasi norma di legge prima ancora che possa essere promulgata.

La velocità, che non sembra mai essere troppa, è diventata fretta; sì, proprio quella dell’antico proverbio della gatta frettolosa. Dovendo comunicare immediatamente e senza intermediari, i nostri governanti, di qualsiasi colore essi siano, sparano le loro cartucce con quel tiro rapido che è la negazione del lento tiro mirato che porta spesso a colpire il bersaglio. Oggi si hanno pochi minuti per rispondere efficacemente ad un tweet del nostro avversario o addirittura di un ragazzino che sia andato a spulciare una fotografia imbarazzante e l’abbia messa in rete. E anche qui casca il buon, affidabile, asino di una volta. Vediamo spesso reazioni scomposte da parte di leader, addirittura mondiali, che causano disastri immani alla loro immagine e credibilità, e ciò perché tutti pretendono ormai la pronta risposta da parte di chiunque conti, di fronte a qualsiasi attacco, magari basato sul nulla. Accade persino che un’intera nazione finisca nel ridicolo per una fotografia o filmato in rete di un suo rappresentante. Tutto ciò è inaccettabile. Gli spin-doctor vivono, dunque, con il cellulare ed il tablet sempre in mano, e sono gli stessi politici importanti a non separarsene mai, nemmeno durante le loro presenze in televisione o sui palchi. Si teme come la peste che qualcuno, proditoriamente, pubblichi qualcosa sul web che, in pochi minuti, possa vanificare il consenso procurato da quanto sta dicendo il politico. Stiamo, in buona sostanza, dando più importanza alla velocità con cui un messaggio viene veicolato di quanto se ne dia al contenuto ed alla serietà del messaggio stesso. Tutto ciò accade, peraltro, anche nel commercio mondiale, in cui prevalgono, leader incontrastati, i colossi del trading online che recapitano più rapidamente le loro merci (al netto della loro qualità intrinseca e dei resi per difetti).

A nulla serve, ormai, chiedere tempo per pensare un momento prima di decidere qualcosa d’importante. Anche quando siano gli stessi elettori a manifestare (guarda caso, sul web…) l’esigenza di profonde riforme che comportino un immenso lavoro preparatorio, la risposta deve essere illustrata preventivamente e nei particolari a stretto giro di comunicazione telematica, sennò si perdono followers (ossia elettori). Questo vuole il Mostro. La contromisura è forse la “decrescita felice”? Dio ce ne ne scampi! Ne abbiamo giusto adesso i principali sostenitori al governo e tutti possiamo riscontrare con quale consenso popolare. Come sconfiggere, allora, il Mostro? Forse non ci sono risposte certe, e men che mai veloci, né esistono allo stato attuale terapie davvero efficaci, ma certamente non farebbe male se i politici:

  1. comunicassero un pò meno e solo quando sia necessario e non controproducente farlo;
  2. si mostrassero in foto e video un pò meno, con le modalità cui al punto che precede;
  3. non si proponessero come primo obiettivo quello di aumentare i followers (i quali, oltretutto, fanno presto a cambiare idea);
  4. si dessero e pretendessero da tutti il giusto tempo per occuparsi delle cose più importanti, documentandosi per bene e studiando bene ciò che stanno per fare, per non fare scemenze dettate dalla fretta di decidere.
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