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Se le icone pop della sinistra Harris e Frederiksen dicono stop all’immigrazione incontrollata

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Sono giorni complicati per i progressisti di tutto il mondo. Nel giro di una settimana, un doppio riposizionamento a sinistra rischia di mandare in fumo anni passati a fare retorica sull’immigrazione e a raccontare la storiella delle “destre fasciste e razziste” da arginare e marginalizzare. Prima ci si è messa la premier danese Mette Frederiksen, leader di uno dei partiti più rossi d’Europa, che ha bloccato i nuovi flussi migratori verso il suo Paese con una legge ad hoc voluta dalla maggioranza. Poi la bomba è arrivata dagli States, dove la vice presidente e delegata all’immigrazione Kamala Harris – durante un viaggio in Guatemala e Messico – ha invitato gli aspiranti migranti a restare nella propria patria: “Non venite”, ha detto la numero due della Casa Bianca, “gli Stati Uniti continueranno a far rispettare le nostre leggi e a proteggere i nostri confini. Se verrete, sarete rimandati indietro”, sottolineando il primato dell’immigrazione legale su quella illegale.

Iniziative forti e destinate a destare scalpore, avanzate da due donne più volte identificate come icone pop della sinistra mondiale. In realtà, a molti sedicenti commentatori politici nostrani sarebbe bastato conoscere un po’ di storia recente per non meravigliarsi di quanto accaduto. Frederiksen, che guida il governo danese dal 2019, è da sempre impegnata nella lotta all’immigrazione clandestina, una battaglia che in molti Paesi europei è diventata quanto mai trasversale, oltre i tradizionali steccati ideologici. Harris, invece, nonostante la stampa internazionale abbia scelto di disegnarla come una sorta di “santona socialdemocratica”, ha un passato da procuratore della California tutt’altro che “sinistro”. Lo ricorderà bene chi ha seguito la campagna elettorale per le primarie Dem, in cui inizialmente l’attuale VP si presentò come una rassicurante rappresentante dell’establishment, salvo poi provare ad occupare uno spazio nell’ala più estrema del partito. Un riposizionamento raffazzonato e mal riuscito, dato l’affollamento di candidati da quelle parti (Sanders e Warren erano ben più conosciuti e competitivi), che le costò un tracollo nei sondaggi e la spinse al ritiro.

Insomma, mentre qualcuno starà staccando dalla cameretta i poster di queste due donne, la buona notizia è che dopo la svolta della sinistra mondiale sul tema dell’immigrazione potrebbe essere giunto il momento di cambiare registro: da anni ci sentiamo raccontare che accogliere tutti indistintamente è l’unica alternativa “umana”, mentre parlare di accoglienza regolare, nel rispetto delle leggi e della cultura del paese d’approdo, è sostanzialmente un rigurgito fascista.

Ma la svolta dei progressisti sull’immigrazione, oltre ad essere una buona notizia per tutti, potrebbe fungere da monito (o almeno così si spera) per la grande protagonista dei flussi migratori del XXI secolo: l’Europa. Agire congiuntamente tra Stati europei, proponendo una sorta di “piano Marshall” per l’Africa che disincentivi le partenze, è uno degli obiettivi più volte promosso dalle destre del vecchio continente. Portare investimenti, civiltà, istruzione, sviluppo anziché presunte missioni di pace potrebbe contribuire alla rinascita del Maghreb e della fascia centrale del continente africano, origine dei più importanti flussi migratori del nostro secolo. Un progetto che porrebbe fine al business dell’immigrazione clandestina e che per questo, probabilmente, non ha mai convinto certi ambienti.

Non sappiamo se le scelte di Danimarca e Stati Uniti porteranno a qualcosa di concreto, ma ciò che appare ormai certo è che finora l’unico muro abbattuto sembra essere quello del pregiudizio verso una gestione controllata del fenomeno migratorio. Che sia la volta buona?