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Speranza si aggrappa alle mascherine pur di non ammainare la bandiera del regime sanitario

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 30 agosto 2020

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Un regime sanitario che utilizza la mascherina come simbolo di fedeltà e ispira norme inutili ormai sconosciute al resto del mondo civile

Un nuovo recovery che possa mitigare gli effetti del carovita. Sono molto preoccupato per i prossimi mesi. Le conseguenze della guerra rischiano di essere pesanti per le fasce più deboli e per il ceto medio”. Chi non avesse letto l’intervista del ministro Speranza su la Repubblica farebbe fatica ad attribuirgli queste parole. Sì, perché un ministro che, con le sue ripetute ordinanze, ha sconquassato l’economia, messo in ginocchio interi settori produttivi, devastato il turismo, risulta surreale sia nei toni che nei contenuti. Peraltro, di lì a poco, il titolare della salute ha spiegato pure quale sarebbe la sua ricetta per evitare il tracollo: tassare i cosiddetti extra profitti, imponendo cioè un contributo straordinario a carico delle aziende energetiche. In poche parole, Speranza propone sempre la solita ricetta cara a una certa parte politica: nuove tasse per deprimere un altro po’ l’economia.

Sarà pur vero che inebriato dalla riconferma a segretario del suo piccolo partito (era l’unico candidato), nonché dall’inattesa notorietà che gli è arrivata dall’infinita fase pandemica, ora si sente uno statista, ma deve far sempre i conti con le percentuali risicate che i sondaggi attribuiscono alla sua formazione politica. Perciò, un po’ come quando scrisse nel libro frettolosamente ritirato dagli scaffali che la pandemia sarebbe stata un’occasione per creare un’egemonia culturale, così adesso assurge al ruolo di opinion maker. Insomma, al di là del possibile scioglimento di Articolo 1 e del ritorno nel Pd, i giorni di gloria potrebbero esaurirsi con la fine della legislatura e l’abbandono dello scranno ministeriale.

È forse proprio per questo motivo che il ministro spinge più che mai per conservare tutto l’armamentario sanitario, dalla carta verde alle mascherine che sono un po’ l’ultimo vessillo da garrire prima di ammainare la bandiera dell’emergenza. Infatti, mentre l’Unione europea suggerisce ai Paesi membri di abbandonare ogni misura emergenziale derubricando il virus venuto dalla Cina a sindrome stagionale, da noi si continua imperterriti a vessare i cittadini (alcuni dei quali, per la verità, obbediscono anche in assenza di norme). E allora, ecco Walter Ricciardi, consigliere del ministro, ad aprire il varco per la proroga delle misure con le consuete uscite sui giornali che precedono le ordinanze di Speranza.

D’altronde, da due anni a questa parte, la narrazione è martellante. Per cui, ora che “la maggiore letalità della variante Delta si mescola con la maggiore contagiosità di Omicron” è troppo presto per archiviare il Green Pass, mettere in naftalina le mascherine e privarci degli hub pronti per un quarto giro indiscriminato già in autunno. Insomma, non siamo ai livelli della Cina che confina e deporta i suoi cittadini ma l’impostazione non è certo quello di uno Stato liberale e moderno che consiglia senza costringere, raccomanda senza obbligare. Al contrario, si continua a sferzare la gente con norme illogiche e punitive. La fatidica data del primo maggio, che doveva segnare il cosiddetto “liberi tutti” (espressione odiosa coniata da politici e grande stampa in questi lunghi e tristi mesi), non sancirà il termine di tutte le regole sanitarie che, anzi, come nel caso dei dispositivi di protezione, saranno prorogate addirittura fino al 15 giugno. Per cui, sarà ancora necessario indossare sui mezzi di trasporto le famose Ffp2, così come a scuola, al teatro o al cinema non sarà possibile accedere a volto scoperto. Per i luoghi di lavoro è tutto demandato ai protocolli tra imprese e sindacati. Nulla sarà lasciato alla responsabilità individuale dei cittadini ma tutto sarà regolato dirigisticamente.

Questo è il quadro della situazione che è del tutto scoraggiante. Ancora una volta, ha vinto l’intransigenza di Speranza a cui nessuno riesce a fare da argine all’interno del governo. Come sia stato possibile delegare l’intera emergenza sanitaria all’esponente di un piccolo partito che, di fatto, ha condizionato e sta condizionando la vita quotidiana degli italiani resterà per anni un inestricabile nodo gordiano. Come sia possibile che, ancora adesso che siamo passati dalla fase epidemica a quella endemica, sia concesso al ministro di emanare ordinanze ponte in deroga alla gerarchia delle fonti è qualcosa di ancor più oscuro nella patria del diritto, ma non più dei diritti individuali.

Lui continua a ripetere che siamo fuori dall’emergenza ma non fuori dalla pandemia. Affermazione gattopardesca che risulta piuttosto beffarda perché le acrobazie lessicali non mutano certo la sostanziale rigidità di questa impostazione oscurantista al limite dell’esasperazione. Per cui, non resta che tenersi i dispositivi di protezione fino alle soglie dell’estate. Continuare a subire il fanatismo di tante persone che hanno trasformato quei pezzi di stoffa in una sorta di burqa. Ma, d’altronde, sia nel metodo che nel merito dei provvedimenti, non vi è nulla di vagamente scientifico. L’egemonia culturale di cui parlava il ministro non è altro che una visione ideologica e ideologizzata di una questione prettamente medica. Serve a tenere al guinzaglio i cittadini e a sospendere sine die la vita democratica. Così, ci ritroviamo in un Paese che non è più fondato sul diritto e sui diritti, bensì sull’interminabile furore paranoico di un regime sanitario che utilizza la mascherina come simbolo di fedeltà e ispira norme inutili ormai sconosciute al resto del mondo civile. Un Paese che è diventato un caso più unico che raro.

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