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Vaccini e fondi per l’Africa: ecco perché, numeri alla mano, non reggono le solite accuse di egoismo ai paesi ricchi

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I veri ostacoli al successo delle vaccinazioni di massa in Africa: governi incapaci e corrotti e sistemi sanitari carenti o inesistenti

Non si parla d’altro che del blocco all’esportazione in Australia di 250.000 dosi di vaccino AstraZeneca. Passa così in secondo piano, e non dovrebbe, la proposta avanzata dalla Commissione europea durante il summit del 25 febbraio di donare ai Paesi africani 13 milioni di vaccini acquistati dall’Ue. Secondo Le Monde sostengono l’iniziativa Francia e Germania mentre altri stati, tra cui la Spagna, la Svezia e il Belgio, si sono detti “piuttosto favorevoli”, ma solo dopo essersi assicurati dosi sufficienti. Un no è arrivato dal presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, contrario a donare milioni di dosi considerato che il piano dei vaccini Ue è in evidenti difficoltà.

A sostegno dell’iniziativa il presidente francese Macron, intervistato dal Financial Times, ha detto che era “insostenibile l’idea di vaccinare centinaia di milioni di persone nei Paesi ricchi senza neanche cominciare la campagna nei Paesi poveri”. In particolare, ha aggiunto, è necessario inviare subito in Africa “il 4 o il 5 per cento” delle dosi a disposizione nel Nord del mondo. È una affermazione sorprendente da parte di un capo di Stato europeo per forza al corrente del fatto che già a novembre l’Ue ha aderito con un contributo di 500 milioni di euro al Covax, il programma per l’accesso equo e globale ai vaccini anti Covid-19 diretto da Oms, Gavi, l’alleanza mondiale per i vaccini creata nel 2000 per migliorare l’accesso dei bambini poveri ai vaccini, e Cepi, una partnership internazionale nata nel 2017 per realizzare innovazioni in preparazione alle epidemie. Il 19 febbraio inoltre l’Ue ha annunciato di aver raddoppiato, portandolo a 1 miliardo di euro, il proprio contributo.

Il Covax nasce per far sì che i Paesi ricchi donino dosi di vaccini, o contributi finanziari per acquistarle, alle nazioni povere affinché nessuno al mondo sia escluso. Il progetto è di distribuire più di 2 miliardi di dosi entro il 2021, privilegiando 92 stati a reddito basso e medio-basso molti dei quali africani. Milioni di dosi sono già arrivate in Africa. In Ghana e in Costa d’Avorio grazie al Covax la vaccinazione è iniziata il 1° marzo. Nei giorni successivi sono state recapitate 4 milioni di dosi alla Nigeria, poi è stata la volta di Kenya, Angola, Gambia, Repubblica democratica del Congo e Rwanda. Il 5 marzo 23 Paesi avevano ricevuto dosi di vaccino dal Covax e 14 avevano iniziato la campagna di vaccinazione.

Diversi governi africani però nelle settimane precedenti avevano fatto accordi con delle case farmaceutiche o avevano ricevuto altre donazioni. Al Sudan, ad esempio, a gennaio sono arrivate milioni di dosi, si parla di 8,4 milioni, dagli Emirati Arabi Uniti. Le Seychelles, 94.000 abitanti, sono state il primo stato africano ad avviare un piano di vaccinazioni grazie a 50.000 dosi di Sinopharm donate da Abu Dhabi a gennaio e a 100.000 dosi offerte dall’India: il 5 marzo risultava vaccinato il 41,4 per cento della popolazione. L’Algeria ha ricevuto vaccini dalla Russia, il Sudafrica dall’India che ha regalato anche 100.000 dosi alle Mauritius. Il Marocco ha acquistato due milioni di dosi del vaccino cinese Sinopharm e mezzo milione di AstraZeneca (e il 5 marzo aveva già immunizzato il 5,8 per cento della popolazione mentre l’Italia era al 4,1 per cento). L’Egitto è partito con le vaccinazioni a medici e infermieri il 24 gennaio e ha prenotato 100 milioni di dosi da diversi fornitori.

L’Unione Africana inoltre a metà gennaio ha confermato l’arrivo di 270 milioni di dosi e pochi giorni dopo ha annunciato di essersene assicurata altri 400 milioni. Insieme ai 600 milioni forniti dal Covax, si arriva a un totale di 1,27 miliardi di vaccini, circa la metà di quelli necessari per somministrare due dosi a tutta la popolazione del continente.

Alla luce di questi dati suonano fuori luogo, incomprensibili gli appelli di Nazioni Unite, organizzazioni non governative e governi africani “a non lasciare sola l’Africa”, le loro rimostranze per l’egoismo dei Paesi ricchi e per l’avidità delle case farmaceutiche. Il 27 gennaio il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus, durante una conferenza stampa a seguito di un incontro con i ministri della sanità e delle finanze africani, è stato categorico: “Il mondo deve fare la sua parte”. Pochi giorni prima aveva addirittura detto:

“Siamo sull’orlo di un fallimento morale catastrofico e il prezzo di questo fallimento sarà pagato con tante vite umane nei Paesi più poveri del mondo perché ci sono governi e aziende che continuano a fare accordi bilaterali, provocando un aumento dei prezzi, e cercano di saltare la coda mettendo a rischio i più poveri”.

Di “catastrofe morale” aveva parlato in precedenza il presidente dei Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie, John Nkengasong. “I Paesi ricchi hanno acquistato quasi 800 milioni di dosi di vaccini e hanno opzioni su altri 1,4 miliardi di dosi”, ha rincarato l’amministratore delegato della Gavi, Seth Berkely. A sua volta il portavoce della People’s Vaccine Alliance ha detto che circa 70 Stati a basso reddito saranno in grado di vaccinare solo una persona su 10 mentre “il Canada ha ordinato abbastanza dosi da vaccinare ogni canadese per cinque volte”. Il governo canadese ha negato le accuse e ha replicato di aver già donato 380 milioni di dollari ai Paesi in via di sviluppo. Anche la Gran Bretagna ha reagito alle parole del direttore dell’Oms ricordando di essere il maggiore finanziatore e sostenitore del Covax.

D’altra parte, tutti sanno che l’Africa non viene mai lasciata sola ad affrontare le emergenze, siano esse sanitarie, alimentari, ambientali o di altra natura. In campo sanitario, proprio nel continente africano sono state realizzate, ad esempio, grazie alla solidarietà internazionale, alcune delle campagne di vaccinazione più spettacolari e meglio riuscite: contro la poliomielite, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, riuscendo quasi a debellare il virus; contro la meningite A, con due interventi all’inizio di questo secolo, oltre 300 milioni di persone vaccinate e la quasi totale scomparsa della malattia; dall’anno scorso contro la malaria, con un vaccino da poco messo a punto e già impiegato in tre stati; contro Ebola, con due vaccini usati nelle ultime epidemie scoppiate nella Repubblica Democratica del Congo e in quella in corso in Guinea Conakry. C’è poi la fitta rete sanitaria costituita da decine di migliaia di ospedali, ambulatori, dispensari creati, diretti e finanziati da ong, istituti missionari, fondazioni private, agenzie umanitarie dell’Onu.

Risorse finanziarie e vaccini per l’Africa si troveranno, si sono sempre trovati. Se tuttavia la vaccinazione di massa fallisse, cosa possibile in diversi Paesi, è già pronta la narrazione che, secondo un collaudato meccanismo, riversa la colpa sui Paesi ricchi (“hanno acquistato più dosi di quante servano”) e assolve gli africani. “L’Africa è in fondo alla coda per i vaccini, ahimè – si legge in un articolo dell’Economist del 6 febbraio con un occhiello che dice “gli Africani hanno bisogno di dosi e di prestiti, subito! – molti governi africani, resi cauti dal costo, hanno tardato a ordinare i vaccini. I Paesi ricchi che ne hanno ordinati più del necessario devono donare eccedenze e fondi per l’acquisto e la distribuzione dei vaccini”.

Di limiti, di ostacoli reali ce ne sono, ma sono altri.

Quando si sollecitano interventi umanitari da parte della “comunità internazionale” si intendono i “Paesi ricchi”, ovviamente, ma in definitiva chi risponde alle richieste sono soprattutto quelli occidentali, con finanziamenti pubblici e privati. Ad esempio, l’87 per cento dei fondi di cui dispone l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, che per il 2021 ha presentato un preventivo di 8,6 miliardi di dollari, provengono ogni anno da Stati Uniti, Unione europea e Paesi europei. Il bilancio dell’Oms per il biennio 2020-2021 è di 8,4 miliardi di dollari. Nel biennio precedente, 2018-2019, ha ricevuto 5,6 miliardi di dollari: 839 milioni dagli Stati Uniti, 434 dalla Gran Bretagna, 292 dalla Germania, 59 dall’Italia, 131 dalla Commissione Eeuropea. Dopo quello Usa il secondo maggior finanziamento, 530 milioni di dollari, è stato offerto dalla Bill & Melinda Gates Foundation.

Ma adesso i Paesi occidentali sono tra i più colpiti e danneggiati dalla crisi del Covid-19 (la sola Italia conta un milione in più di persone in condizione di povertà assoluta e ha patito nel 2020 una riduzione del Pil intorno al 9,9 per cento). Si vedrà nei prossimi mesi se e in che misura potranno continuare a essere i maggiori donors, quelli che consentono alle agenzie umanitarie Onu e alla organizzazioni non governative di svolgere le loro attività e i loro programmi. Il rifiuto del presidente del Consiglio Draghi di donare 13 milioni di dosi di vaccino è stato giudicato “una vergogna”, una “notizia scandalosa”. Padre Janvier Yameogo, portavoce del dicastero per le comunicazioni sociali della Santa Sede, ha commentato duramente che posizioni del genere sono “una forma di darwinismo politico e sociale. Rivelano uno spirito di superiorità che è alla base di leggi razziste, facendosi portatori di una mentalità che plasma tante persone e tanti politici in Europa e in Occidente”.

Non si pretende un “grazie” per quel miliardo di euro stanziati dall’Ue per il Covax e per gli altri contributi alla cooperazione internazionale, ma guardando i fatti da un’altra prospettiva ci si deve domandare se per un governo sia eticamente corretto prodigarsi così tanto per altri Paesi mentre i propri cittadini mancano del necessario, soprattutto se si tratta di Paesi che scontano le conseguenze negative di scelte economiche, politiche e sociali irresponsabili, poveri solo e unicamente a causa del modo in cui sono governati: la Nigeria e l’Angola, ad esempio, primo e secondo produttore di petrolio africani, la Repubblica democratica del Congo e lo Zambia, grandi esportatori di metalli e minerali. Bisogna domandarsi se sia eticamente corretto l’uso di denaro pubblico, che tale non è come spiegava Margaret Thatcher, per sanare i problemi di Paesi i cui leader diventano miliardari sottraendo denaro alle casse dello stato e stornando fondi di cooperazione.

Il secondo ostacolo al successo delle vaccinazioni di massa in Africa, da cui le accuse ai “Paesi ricchi” distolgono l’attenzione, sono i sistemi sanitari nazionali, inadeguati in misura più o meno grave persino in tempi normali per colpa dell’incuria di governi incapaci e corrotti. Mancano medici, paramedici, strutture e presidi sanitari. La Liberia, ad esempio, ha quattro medici ogni 100.000 abitanti, la Repubblica Centrafricana ne ha sette, lo Zimbabwe ne ha 19. Con 91, uno degli stati con più medici è il Sudafrica, all’inizio della pandemia l’unico insieme al Senegal dotato di un centro analisi in grado di esaminare i tamponi. Mancanza di infrastrutture, instabilità, insicurezza, conflitti armati, oltre ai sistemi sanitari carenti, sono ulteriori problemi con cui la gran parte dei Paesi africani devono fare i conti, insieme a ben altre, ancora più preoccupanti, emergenze sanitarie. In Sudan, Somalia, Sudan del Sud, Repubblica Centrafricana, Repubblica democratica del Congo, e in tutti i Paesi del Sahel e dell’Africa sub sahariana minacciati dai jihadisti, vasti territori sono fuori controllo, pericolosi al punto che il personale sanitario locale e le organizzazioni umanitarie internazionali a stento e non sempre riescono a operare.

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