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Il caso Selmayr specchio del mostro Ue. Ora cacciare la Commissione, please

General Secretary of the European Commission Martin Selmayr (R), sits European Commission President Jean-Claude Juncker ahead of a debate on the guidelines on the framework of future EU-UK relations at the European Parliament in Strasbourg, France, March 13, 2018. REUTERS/Vincent Kessler

Un nome senza un volto: Martin Selmayr. E’ lui, funzionario onnisciente e onnidecidente, rigorosamente non eletto da nessuno, sconosciuto a duecento milioni di europei, l’uomo che è riuscito a scalare il vertice della burocrazia Ue.

Sui giornaloni italiani troverete – giusto il minimo sindacale, tranne rare e meritorie eccezioni – qualche trafiletto qua e là: ma la sua storia è davvero una supersintesi del mostro a-democratico chiamato Ue.

Questo signore è da anni stretto collaboratore e capo-staff dell’ineffabile Juncker. E’ stato lui (si dice) il responsabile delle fughe di notizie e dei leak (pro stampa tedesca) per sabotare i primi incontri tra Ue e Regno Unito sul negoziato Brexit. E’ stato lui, con procedure anomale, a farsi nominare vice-segretario generale (cioè vice-capo dell’intera burocrazia Ue), sapendo bene che, nelle ore successive, il capo, tale Italianer (lo stesso coinvolto nell’assegnazione dell’Ema ad Amsterdam) si sarebbe dimesso, lasciandogli così le chiavi della macchina organizzativa bruxellese.

Numerosi parlamentari europei hanno chiesto spiegazioni alla Commissione (cioè al governo europeo) sulle procedure di nomina, ma per ora il corpaccione Ppe-Pse a guida tedesca fa muro, difende, rinvia, cerca di troncare e sopire.

L’opinione di Atlantico è che si debba andare fino in fondo. Nel 1999, la Commissione Santer fu costretta alle dimissioni da una storiaccia di “mala gestio”. Sarebbe il caso di cogliere questa occasione per fare piena luce anche stavolta e per cacciare la Commissione Juncker.

E soprattutto per chiarire che l’asse franco-tedesco (o germano-francese) non può pretendere di avere botte piena (potere politico), moglie ubriaca (potere burocratico), e uva nella vigna (umiliazione di ogni realtà scomoda: Uk, gruppo di Visegrad, ecc).

Con Federico Punzi, da mesi giriamo l’Italia a presentare e raccontare il nostro “Brexit. La Sfida”, come occasione e proposta di riscrittura delle regole europee, e di riequilibrio rispetto all’egemonia di Berlino-Parigi-Bruxelles. Quel piccolo libro (impreziosito da contributi di straordinario rilievo di autori inglesi, americani e italiani, che non smetteremo di ringraziare ad uno ad uno: Francesco Bongarrà, Roberto Caporale, Gabriele Carrer, Lorenzo Castellani, Jane Daley, Michael Doran, Niall Ferguson, Francesco Galietti, Nile Gardiner, David Goodhart, Daniel Hannan, Allister Heath, John Hulsman, Tim Knox, Lord Nigel Lawson, Pierluigi Magnaschi, Stefano Magni, Charles Moore, Peter Rough, Sergio Vento, più paper di think tank o riviste come l’Adam Smith Institute, il Centre for Policy Studies, Policy Exchange e The Conservative) è una proposta politica e culturale. Qualcuno vorrà raccoglierla?

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