O, America!Speciali

Negli Usa più facile votare che pubblicizzare un libro su Facebook: un piccolo esempio di censura social

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Avevo appena letto su The Imaginative Conservative il cupo articolo di Habi Zhang, nata e cresciuta in un piccolo villaggio nella provincia di Sichuan, in Cina, ed ora al terzo anno di un programma di dottorato in Scienze politiche presso la prestigiosa Purdue University (West Lafayette, Indiana). Un atto di accusa terrificante rivolto a quella che un tempo era the land of the free and the home of the brave (terra dell’uomo libero e casa del coraggioso), come recita The Star-Spangled Banner, inno nazionale degli Stati Uniti d’America: “Quello che osservo oggi in America”, scrive la giovane studiosa, “è lo sviluppo del tipo di democrazia totalitaria su cui ha messo in guardia Tocqueville. Non faccio questa osservazione facilmente o alla leggera. Si basa su 30 anni di vita in Cina sotto il dominio totalitario del Partito Comunista, e più di quattro anni di testimonianza in America di una situazione culturale, sociale e politica che si sta rapidamente spostando verso un’esperienza che conosco fin troppo bene”.

Avevo appena letto, dicevo, e subito dopo avevo postato su Facebook il link, ed ecco che mi tocca toccare con mano, direttamente, un piccolo ma eloquente esempio dell’amara realtà cui fa riferimento l’autrice del pezzo. Un episodio che ha Facebook come protagonista e chi scrive come testimone oculare e, in una certa misura, vittima.

Dunque, ricostruiamo passo passo quanto accaduto. Come chi mi conosce sa, ho scritto un libro, “Blessed Are the Free in Spirit: A Journal in Complicated Times”, che è stato pubblicato a inizio mese. Questo libro ha due particolarità: è in inglese e parla di idee – ovvero di fatti della vita, di poesia, natura, storia e politica, raccontati e discussi nelle loro ricadute sulle nostre visioni del mondo. Non un libro “facile”, né per tutti, nel senso che non è per lettori che vogliono essere semplicemente intrattenuti, o che si aspettano dalle pagine delle risposte precise ad esigenze altrettanto ben individuate. Un libro scritto per gente che vuole innanzitutto pensare, riflettere: una minoranza, gente che mette al primo posto non fatti, cose e persone che fanno fatti e cose, ma idee, concetti e visioni del mondo (che poi inevitabilmente hanno ricadute nelle vite, nelle storie individuali e collettive, cioè nel mondo in cui viviamo).

Ebbene, che fare dopo aver scritto un libro con queste caratteristiche? La risposta è ovvia: far sì che venga letto dal tipo di lettori ai quali è destinato. Ora, tra le altre cose che si possono fare ce n’è una abbastanza scontata e che ha a che fare con Facebook: inserire un’inserzione pubblicitaria sul più importante dei social media. Personalmente, come titolare di due “pagine”, oltre che di un profilo personale, erano giorni che ero perseguitato dalle profferte del gigante di Palo Alto (credito pubblicitario in omaggio dopo il primo acquisto), erano spot continui, dalla mattina alla sera… Alla fine ho ceduto: perché non esplorare questa possibilità? Così mi sono addentrato nella procedura prevista, ma… niente da fare! Spot respinto. Perché? Semplice, nel libro ci sono contenuti politici (loro lo sanno, sanno tutto, grazie ai famosi algoritmi), il che richiede una procedura specifica e supplementare: vogliono la copia di un tuo documento di identità, dal momento che sei in grado di “interferire” sulle elezioni (che ci sono già state, ma non importa), e dunque vogliono sapere esattamente chi sei, e inoltre ci vuole un disclaimer in cui ti assumi la responsabilità e dichiari che lo spot l’hai pagato tu (o la tale o tal altra azienda con tanto di dati legali). Ora, personalmente non ho problemi ad assumermi le mie responsabilità, non sono uno che agisce nell’anonimato, e quindi ci può stare che dia il documento, anche se la cosa mi sembra un tantino grottesca, un po’ esagerata data l’entità del “prodotto” in oggetto, ma in qualche modo uno si sente anche lusingato di potere “interferire” nelle elezioni…

Ma questo non è niente. Bisogna sentire il resto. Dunque, come dicevo il libro è in inglese, dunque il target sono i lettori anglofoni, cioè americani, canadesi, britannici, australiani, ecc. Ebbene, la procedura prevede che l’invio del documento e il disclaimer siano da ripetersi per ogni singolo stato, il che sarebbe già abbastanza seccante, ma la mazzata finale è data dal fatto che per abilitare la pubblicità negli Usa devi indicare anche un indirizzo postale in loco (e non una semplice casella postale, proprio un indirizzo fisico con tanto di via, numero, codice postale, città), al quale verrà inviata una lettera, ovviamente cartacea, contenente un link seguendo il quale la procedura verrà sbloccata. In pratica, cioè, se non sei americano (o non sei supportato da una grossa organizzazione editoriale) non puoi pubblicizzare il libro presso gli utenti di Facebook di quel Paese. Di conseguenza io potrò raggiungere soltanto gli utenti che vivono in Italia. Chiaro? Tutto questo, immagino, per impedire che dalla Russia (o chissà, dal Tibet o dall’accidente che vi pare) possano inondare l’America di messaggi pro-Trump e alterare il prossimo voto, senza contare che uno stato estero ha mille possibilità per aggirare l’ostacolo dell’indirizzo postale. Mentre chi viene colpito sono i comuni cittadini che esprimono liberamente delle idee e che desiderano farle circolare liberamente.

Morale della favola: si tratta di un colpo senza precedenti, nella storia americana, alla libertà di pensiero e alla libera circolazione delle idee. Quale sarà il prossimo passo verso la soppressione del dissenso? Dobbiamo rassegnarci a vivere in un mondo nel quale le idee che non piacciono all’establishment non possono più circolare se non clandestinamente, come nella defunta Unione Sovietica e nella Repubblica Popolare Cinese o nella Corea del Nord dei nostri giorni? Kim Jong-un e Xi Jinping come Joe Biden e Mark Elliot Zuckerberg? Si potrebbe obiettare che queste pesanti limitazioni colpiscono chiunque (conservatori, progressisti, “destri” e “sinistri”) allo stesso modo. Vero, o almeno probabile (anche se date le premesse uno potrebbe anche avere qualche dubbio al riguardo…), ma attenzione, chi ne fa maggiormente le spese non è comunque la sinistra, che ha già il supporto dell’80-90 per cento dei media, bensì i conservatori, la cui forza mediatica consiste principalmente, se non quasi esclusivamente, nella loro forte presenza nei social media.

Il tutto mi sembra alquanto “scientifico”. Un po’ meno razionale, magari, può sembrare la circostanza che, in un Paese (gli Usa) in cui non occorre un documento di identità per votare, Facebook si preoccupi di accertare al di là di qualsiasi ragionevole dubbio, e fino a livelli maniacali, l’identità di chi vuol pubblicizzare un libro. Bisogna davvero ritenere che le idee siano molto, ma molto più pericolose di tutti gli elettori abusivi che pare siano in circolazione dall’altra parte dell’Atlantico…

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