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Crimea a Putin, Donbass federale: l’Ue prepari il piano di pace

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Quando si parla di conflitto ucraino con gli amici che vedono la realtà in bianco e nero e che, nella loro indignazione nei confronti dell’autocrate russo (indubbiamente un dittatore cinico e calcolatore), sono rafforzati dagli editoriali dei grandi giornali nazionali, viene fuori il solito discorso: irrompere con la forza in casa d’altri significa violare il diritto internazionale, attentare alla libertà di stati sovrani.

Come si fa a non essere d’accordo? Solo che la storia – e quella moderna e contemporanea non fa eccezione – è piena di irruzioni nelle “case degli altri”. Vittorio Emanuele II e Napoleone III non invasero uno stato sovrano, l’Impero asburgico? E Garibaldi, sbarcando a Marsala, non metteva fine a un Regno che chiedeva solo di essere lasciato in pace tra l’acqua santa (lo Stato pontificio) e quella salata (il Mediterraneo)? E, nei nostri tempi, non hanno violato il diritto internazionale gli eserciti della Nato e degli Stati Uniti che hanno sconquassato l’ex Jugoslavia e portato morte e distruzione in Iraq, in Siria, in Afghanistan, in Libia? Si dirà: ma c’è invasione e invasione e quella russa in Ucraina è motivata solo dalle mire espansionistiche di Mosca e dalla sua volontà di ricostituire l’impero sovietico. Ammettiamo che sia così – e forse è proprio così – ma le crociate euroamericane in  America centrale, in America latina, in Medio Oriente e in Asia intese a far trionfare la democrazia liberale in stati ignari delle “benedizioni della modernità” potevano legittimamente calpestare i diritti dei popoli a decidere loro quali ordinamenti darsi?

Non voglio essere equivocato: non sono un fautore del non intervento. In un recente articolo su HuffPost, in difesa del bistrattato principio di nazionalità, ho ricordato, citando un bel saggio di Andrea Chiti Batelli, un federalista d’antico pelo, che Giuseppe Mazzini “condanna il principio di non intervento  come un vero e proprio ‘ateismo’ nella politica internazionale: un ateismo che ignora come solo tramite il cambiamento e l’intervento l’umanità ha realizzato i suoi maggiori progressi e le sue più notevoli conquiste”. Sicuramente sia l’unitario Mazzini che il suo avversario federalista Carlo Cattaneo avrebbero condannato, e duramente , la “speciale missione” di Putin ma non in base al semplice motivo dell’invasione di uno Stato sovrano, riconosciuto, come tale, dall’Onu. A mio parere, sarebbero rimasti sconvolti tanto dalla violenza dell’invasione russa (che tutti condanniamo) quanto  dall’inazione europea (di cui ci si rammarica senza troppa convinzione).

In base alle loro categorie etico-giuridico-politiche l’Ucraina è uno stato multietnico-composto da un’etnia dominante, quella ucraina, e  da altre minoritarie, russa, moldava, rumena polacca. E a loro avviso l’oppressione o comunque il non riconoscimento di eguali diritti  ad ogni componente etno-culturale stanziata nello stesso territorio comportava, da un lato, una perdita sostanziale di legittimità da parte dello Stato “sovrano”, dall’altro, l’internalizzazione dei conflitti interculturali. Quella che Cavour fece valere alla Conferenza di Parigi, dimostrando come la “questione italiana” fosse una questione europea, giacché, in un’Europa civile, i popoli oppressi non potevano rimanere in balia di imperi oppressori.

Nel caso dell’Ucraina – a parte la dubbia natura democratica del suo governo, che ha messo fuori legge ben undici partiti e questo potrebbe ancora giustificarsi in uno stato in guerra timoroso delle quinte colonne – non solo non sono state rispettate le autonomie delle regioni russe del Donbass (in una bella trasmissione di Paolo Del Debbio, tempo fa, una signora russa del Donbass riferiva che la vecchia madre, che conosceva solo il russo, era costretta a scrivere in ucraino per la richiesta di documenti e certificati vari, compresi quelli sanitari) ma neppure ai rumeni sono state concesse scuole nella loro lingua e, nelle chiese, ci sono stati casi di violenze contro predicatori che non usavano l’ucraino.

Per approfondire:

Insomma la convivenza in Ucraina era oggettivamente difficile e lasciamo perdere per quali ragioni storiche. Sennonché averla negata o sottaciuta resta una macchia indelebile sulla coscienza europea. Un’Europa forte, indipendente, sovrana, quale auspicavano i federalisti dell’’800 e del ‘900, lungi dall’accodarsi, sempre e in ogni contingenza politica, agli Stati Uniti (e alla Nato che ne è il braccio armato oltre Oceano), avrebbe dovuto prendere in mano la situazione e proporre un suo piano di pace. Ad esempio, lasciare la Crimea (russofona in stragrande maggioranza) alla Federazione russa e proporre, per il Donbass una soluzione federale (di tipo svizzero) o un’altra ricalcata sul modello alto-atesino (che è poi quello a cui in fondo pensa ogni persona ragionevole, in ogni continente – ciò che spiega la riluttanza di alcuni grandi Stati, come la Cina e l’India, e l’esitazione di altri come il Giappone o il Brasile nel condannare la Russia: tutti complici del despota postsovietico?).

Questo piano, che tra l’altro non è mio – non sono così presuntuoso – e che, rispecchia il buon senso di tante persone nei cinque continenti, sarebbe stato una cartina da tornasole per sondare le vere intenzioni delle due grandi potenze, gli Stati Uniti e la Russia, che si stanno affrontando in Ucraina. Gli intellettuali con l’elmetto (che ormai si contano a centinaia tra storici, filosofi, giuristi) sostengono che il vero intento di Mosca è quello di restaurare la propria egemonia nel mondo slavo-balcanico e, all’uopo, tirano fuori gli ideologi del nuovo signore del Cremlino con le loro deliranti teorie antioccidentali. (Ricordano, gli interventisti democratici della Grande Guerra che vedevano nei “pangermanisti” i diabolici ispiratori della Germania, ignorando l’interventismo di liberali come Max Weber  che temevano, in caso di sconfitta del Secondo Reich, un mondo spartito tra Russi e Ameri-cani).

Ebbene se Putin non accettasse il progetto europeo non sarebbe la prova provata che avevano ragione gli ultras dell’occidentalismo e che la difesa delle minoranze russe era un mero pretesto per  giustificare un vero e proprio atto di aggressione – come lo era quello di Hitler che invocava il “principio di nazionalità” (dalla Saar ai Sudeti) per avere via libera nella conquista del mondo slavo? Ma se poi la mediazione europea non venisse accettata neppure da Washington e da Londra, non sarebbe la prova eguale e contraria che la libertà ucraina e la difesa dei valorosi ucraini fossero un mero pretesto per ridimensionare drasticamente la potenza russa e che hanno ragione quei molti studiosi (che raramente espongono le loro ragioni in tv) che parlano di guerra degli Stati Uniti contro la Russia per interposta persona?

Accettato o no, il respingimento del Piano di Pace europeo salverebbe, almeno, l’anima del Vecchio Continente che si vedrebbe autorizzato a ritirare il sostegno economico e militare a quello Zelensky, che, non a caso, perde ogni giorno di più le simpatie dell’opinione pubblica e certo non per l’antiamericanismo dominante nella cultura politica italiana (ma quando si finirà di rievocare i fantasmi di un secolo fa?). Quando Stati Uniti e alleati europei dicono che è Zelensky a dover dire a quali condizioni sedersi al tavolo della pace fanno venire in mente una tipica espressione napoletana: ma vulimme pazzià? Da uno che ribadisce, continuamente, che non è disposto a cedere neppure un mezzo palmo di terra ucraina (?) come ci si può aspettare una sincera disponibilità a trattare? A questo punto, però, a chi vuol fare di testa sua e non accetta consigli realistici di moderazione bisognerebbe dire, brutalmente, di far pure di testa sua ma non col nostro aiuto.

Un’ultima considerazione, forse un po’ troppo bergogliesca (ma non mi sono sentito mai così vicino a Francesco I come in questo momento). Ho ricordato etnie in conflitto, stati sovrani invasi, operazioni piratesche etc. ma al di là di tutto questo, ci sono le migliaia di donne, anziani, bambini, giovani spediti “anzi tempo all’Orco”, ci sono città rase al suolo, stupri, massacri, torture (tutte cose ben documentate almeno quando le vittime stanno da una parte) e allora mi chiedo: ma era proprio necessaria questa nuova ‘inutile strage’ nel nostro continente già così segnato da tante tragedie storiche? Se in una scuola irrompe un evaso minacciando di uccidere alunni e professori se non gli viene concesso un aereo per fuggire all’estero, per non dargliela vinta, lasceremo ammazzare centinaia di giovani vite? Attribuiremo solo a lui la colpa dell’ecatombe e alle anime dei bambini morti ammazzati diremo: fiat justitia pereat mundus?

Amici che, colpiti dal moralismo, malattia senile degli studiosi, hanno perso recentemente la lucidità dello sguardo sul mondo che ci circonda, mi accuseranno di viltà, di egoismo, di elevare la vita comoda a suprema aspirazione (vecchio vizietto fascista di definire panciafichisti quanti non amavano le parate militari e i saggi ginnici). È sempre difficile, per un chierico italiano, convincersi che i valori sono tanti, che solo la presunzione ideologica può gerarchizzarli e che di morale non ce n’è una sola.

Dino Cofrancesco, 9 marzo 2023

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