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Fuga di società italiane all’estero, non solo una questione di fisco

Economia / Lavoro

È noto a tutti che la pressione fiscale in Italia è considerata eccessiva e che un imprenditore, o grande azienda, arriva a lasciare allo Stato fino a quasi i tre quarti dei profitti, che aggiunti ai costi (non tutti detraibili) massacrano letteralmente le imprese.

Le naturali conseguenze di questo stato di cose sono principalmente due di cui la prima illegale, e parliamo dell’evasione fiscale che ha raggiunto la cifra record di circa 190 miliardi di euro, mentre la seconda è perfettamente legale ed in linea con le direttive dell’Unione Europea in merito alla libera circolazione dei capitali, ovvero trasferire la propria sede in un paese membro tra i quali il preferito è l’Olanda per il suo regime fiscale abbastanza blando.

Sono infatti in numero sempre più elevato di anno in anno le aziende, soprattutto top, che decidono di usufruire dei vantaggi offerti dall’Europa a più velocità che consente, in maniera iniqua a mio avviso, ad ogni stato membro di applicare aliquote fiscali che ritengono congrue ed eque (e probabilmente lo sono); così facendo però viene meno il principio dell’uguaglianza di tutti gli stati membri in quanto le nazioni in cui vige un regime fiscale più vantaggioso sottraggono capitali alle altre e ciò è in palese contrasto alla lotta ai paradisi fiscali di cui l’UE ha fatto una bandiera.

Le cause di queste fughe legali in paesi dell’Unione, però, non sono da ricercare soltanto all’interno del perimetro delimitato dal complesso sistema del fisco italiano ma anche tra i meccanismi autorizzativi, burocratici e di azione sindacale con i quali ogni giorno gli imprenditori si devono confrontare, e se a ciò aggiungiamo anche l’assenza di certezza della fine di un contenzioso e l’instabilità politica è praticamente certo che soltanto autolesionisti possono decidere di fare impresa in Italia.

Questo argomento, mai affrontato seriamente dalla politica, sarà fondamentale se si vuole evitare che l’Italia diventi un dormitorio di lavoratori a basso reddito che producono profitti per aziende che pagano le tasse all’estero.

Se poi pensiamo a paesi extra UE i vantaggi per le imprese sono ancora maggiori considerando che i costi della manodopera qui sono doppi, tripli ed anche quadrupli che altrove.

Se in Italia la questione non è stata affrontata non è che in sede UE si sia fatto di più, non esiste infatti, come da molti auspicato, una direttiva che abbia instaurato una politica fiscale unica per tutti i paesi e ciò è abbastanza grave se si considera che abbiamo (come europei) una moneta unica così come una politica monetaria decisa dalla BCE per tutti; le cose sono correlate tra loro ed è necessario adottare dei correttivi affinché fare impresa in qualsiasi stato membro sia egualmente conveniente, sia dal punto di vista fiscale, sia dal punto di vista dell’accesso al credito, sia da quello burocratico e dei costi.

Questa sarà una grande sfida che l’Europa dovrà affrontare nonostante la riluttanza degli stati che avrebbero tutto da perdere da una riforma del genere.

Tornando ai fatti di casa nostra è semplice comprendere i motivi che spingono le aziende ad abbandonare il Paese.

Partiamo dalla burocrazia e dall’assenza di fluidità autorizzativa e di permessi necessari per aprire un’azienda di medie dimensioni, se poi consideriamo le grandi è quasi impossibile; oltre le autorizzazioni ed i permessi basici previsti spesso chi fa impresa deve combattere con finti ambientalisti, figure apicali che perseguono interessi politici, banche la cui predisposizione ad erogare credito è quasi nulla e per finire lobbies politiche che impongono assunzioni anche di personale non all’altezza.

A tutto ciò si aggiunge anche la questione giustizia che in caso di contenzioso tra datori di lavoro e subordinati impiega anni per emettere una sentenza con conseguenti elevati costi legali da sostenere per le società che spesso decidono di chiudere le diatribe anche in perdita pur di non attendere anni, a meno che non si tratti di gravi incidenti sul lavoro.

Ma uno dei fattori che incide in maniera maggiore sulla diaspora delle aziende all’estero è costituito (purtroppo) dai sindacati e dalla loro idiosincrasia preventiva nei confronti dei datori di lavoro; se prima il tesseramento sindacale era come una polizza di protezione, contro abusi e privazione di diritti, col passare del tempo i sindacati sono diventati una lobby serbatoio per la politica e spesso le loro azioni non mirano a tutelare i lavoratori bensì a tornaconti di carattere politico o di incremento dei tesseramenti, e conseguente aumento di visibilità dei leader che poi passano alla politica.

Quante volte abbiamo assistito a bracci di ferro tra aziende e lavoratori con i sindacati che difendevano anche posizioni indifendibili ? Un caso su tutti: i dipendenti di un famoso aeroporto sorpresi a rubare nelle valige dei passeggeri con tanto di video, prima licenziati e poi fatti reintegrare. Questo genere di atteggiamenti, più del fisco, danneggia le aziende e crea tensioni tra datori di lavoro e dipendenti ed a farne le spese sono anche i lavoratori modello perché si creano spaccature tra categorie difficilmente sanabili.

Traendo le conclusioni da questo breve excursus la logica imporrebbe un serio programma ad hoc per rilanciare gli investimenti in Italia con conseguente incremento dell’occupazione, ma affinché ciò accada il sistema definito come politica ha l’obbligo di fare la sua parte, cominciando da una lotta seria all’evasione.

È necessaria una revisione profonda del sistema fiscale in primis, almeno finché l’Unione Europea non decida di prendere sul serio la questione, sono fondamentali nuovi accordi con le sigle sindacali che devono essere invitate, come accade in molti paesi civili, a difendere i lavoratori che meritano o hanno diritto per essere tutelati e non gli scansafatiche o gruppi di lavoratori da usare contro le aziende per ottenere vittorie di Pirro a scopo politico.

Nel frattempo … le aziende continuano ad espatriare e sempre più capitali finiscono nelle casse dei governi di altri paesi depauperando il nostro.

Ed a soffrirne non sono soltanto le casse dello Stato ma il made in Italy e tutto il sistema produttivo.

Antonino Papa, 25 agosto 2022

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