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DOPO GLI SCANDALI

Papa Francesco ha riscritto la finanza della Santa Sede

Dallo Ior all’Apsa, passando per scandali e riforme: così Bergoglio ha accentrato il potere finanziario in Vaticano

papa francesco (1) © rainhard2 tramite Canva.com

Quando papa Francesco salì al soglio pontificio nel 2013, ereditò non solo una Chiesa provata dagli scandali, ma anche una macchina amministrativa caotica e opaca, immersa in logiche di potere medievali. In dodici anni la “cura Bergoglio” ha portato alla luce malaffare, inefficienze e un patrimonio extrabilancio sparso tra dicasteri e fondazioni ecclesiastiche. Ma il cambiamento, seppur profondo nei regolamenti, fatica a penetrare nella mentalità.

Il discorso shock del 3 luglio 2013: l’inizio della rivoluzione

«Se non sappiamo custodire i soldi, che si vedono, come custodiamo le anime dei fedeli, che non si vedono?» disse Francesco ai cardinali pochi mesi dopo l’elezione. Il Papa denunciò apertamente investimenti “immorali” come quelli nelle armi e perdite milionarie «per un investimento mal fatto in Svizzera». Una tirata d’orecchi a chi usava fondi senza trasparenza: «La cassa non è in ordine».

Quelle parole, registrate di nascosto e poi divenute pubbliche, segnarono l’inizio della battaglia di Francesco contro la corruzione interna.

Riforme e resistenze: Cosea, Pell, Milone

Nel 2014 nasce la Cosea, commissione voluta dal Papa per ristrutturare la macchina economica della Santa Sede. Ne derivano riforme epocali: la Segreteria per l’Economia, l’Autorità antiriciclaggio (Asif), l’ufficio del Revisore Generale e un nuovo codice per la trasparenza dei bilanci.

Ma i protagonisti della riforma pagano caro. Il cardinale George Pell, nominato prefetto dell’Economia, scopre fondi nascosti per 1,3 miliardi di euro e avvia un nuovo metodo di bilancio. Viene però travolto da un processo in Australia (da cui sarà assolto) e la riforma si blocca.

Stessa sorte per Libero Milone, revisore generale: accusato ingiustamente di spionaggio, costretto a dimettersi e oggi in causa contro il Vaticano. Dietro tutto, secondo molti, l’opposizione dell’allora potente cardinale Angelo Becciu, poi imputato e condannato nel 2023 per lo scandalo del palazzo di Londra.

Lo Ior e l’Apsa: il nuovo asse del denaro vaticano

Nel frattempo, papa Francesco ha riorganizzato i centri di potere finanziario. La Segreteria di Stato è stata privata del suo patrimonio, trasferito all’Apsa – che oggi gestisce oltre 4.000 immobili e un portafoglio mobiliare da 1,8 miliardi che nel 2023 ha prodotto un utile netto di 45,9 milioni di euro, dei quali 37,9 milioni trasferiti direttamente alla missione del Papa.

Allo Ior, invece, è stato affidato un ruolo centrale: con un patrimonio gestito di 5,4 miliardi di euro e 12.361 clienti, l’istituto ha registrato nel 2023 un utile netto di 30,6 milioni di euro, in aumento rispetto ai 29,6 milioni dell’anno precedente. Il Tier 1 ratio, indice chiave di solidità patrimoniale, si attesta al 59,78%, mentre il cost/income ratio è al 46,1%.

Nel 2022, con la Costituzione Praedicate Evangelium, il Papa ha chiarito che «gli enti ecclesiastici sono solo affidatari, non proprietari» dei beni. E con due rescritti ha ribadito che lo Ior è l’unico gestore riconosciuto per il patrimonio mobiliare, perché conforme al diritto canonico e agli standard internazionali.

Il giro di vite del 30 settembre 2022: lo spartiacque

Nel racconto delle finanze vaticane, un passaggio fondamentale si è consumato venerdì 30 settembre 2022. Quella data, indicata da papa Francesco come termine ultimo, ha rappresentato per i dicasteri vaticani dotati di portafoglio uno spartiacque: entro quel giorno, tutti i fondi depositati presso istituti bancari esterni dovevano essere trasferiti all’Istituto per le Opere di Religione.

Fu un’operazione epocale. Persino l’Apsa, da sempre cassaforte del Papa, ha dovuto cedere liquidità allo Ior,  Non solo i ministeri più importanti, come l’ex Propaganda Fide – che gestisce uno dei patrimoni immobiliari più cospicui della Capitale – o la Congregazione per le Chiese Orientali, hanno trasferito i propri fondi allo Ior (oggi guidato da Gianfranco Mammì, figura di fiducia del Pontefice sin dai tempi di Buenos Aires). ma anche il Governatorato, i Musei Vaticani e persino l’Apsa, da sempre considerata la cassaforte del Papa. È stato un vero e proprio ribaltamento. Nel 2020, stanco delle frizioni tra la Segreteria di Stato e lo Ior, papa Francesco aveva assegnato all’Apsa la gestione dell’Obolo di San Pietro e di altri fondi riservati. Ma nel 2022 è tornato sui suoi passi. In pieno agosto, con un Rescriptum ex audientia passato quasi sotto silenzio, Francesco ha spostato tutto

Lo Ior, in virtù di questo atto, ha assunto un ruolo centrale come unico forziere finanziario della Santa Sede. Il Rescriptum, firmato di suo pugno da Francesco, ha cinque disposizioni che si possono leggere come un intervento d’urgenza, forse dettato non solo da esigenze organizzative, ma anche dalla necessità di garantire liquidità in un momento difficile. Nonostante i 5,1 miliardi di asset in gestione e il conseguimento di utili, lo Ior è lontano dagli anni d’oro in cui poteva permettersi donazioni straordinarie come l’assegno da 50 milioni al Papa. E resta, di fatto, un’istituzione finanziaria autonoma, soggetta solo all’Authority vaticana sull’antiriciclaggio. Intanto, l’Apsa – cui compete ancora oggi il pagamento degli stipendi per oltre 4.000 dipendenti della Curia, per un totale mensile di oltre 6 milioni – opera in un contesto di forte austerità.

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Il caso Sloane Avenue: l’emblema di ciò che non doveva accadere

La misura fu anche una risposta indiretta allo scandalo del palazzo londinese in Sloane Avenue, acquistato tra il 2014 e il 2018 con fondi dell’Obolo di San Pietro. L’operazione – costata oltre 300 milioni di euro – includeva investimenti opachi, tra cui la partecipazione al film Rocketman. Nel 2022, l’immobile fu venduto con una perdita di circa 200 milioni di euro. Il processo vaticano ha portato nel dicembre 2023 alla condanna del cardinale Becciu a 5 anni e 6 mesi di reclusione per peculato e abuso d’ufficio.

I segnali economici: meno offerte, più controlli

Il cambiamento si è scontrato anche con la realtà economica. Il Covid ha tolto oltre 100 milioni di euro ai Musei Vaticani e lo scandalo dell’Obolo di San Pietro ha ridotto drasticamente le donazioni. Papa Francesco ha reagito cancellando gli affitti di favore ai cardinali e pretendendo bilanci certificati.

Tuttavia, come ha detto lo stesso Papa, «non basta una legge a cambiare le prassi». La resistenza resta soprattutto nella mentalità: alcuni dicasteri operano ancora con patrimoni non dichiarati, e certi investimenti sfuggono ai controlli centrali.

Trasparenza e responsabilità: una sfida ancora aperta

Francesco ha mostrato fermezza anche contro chi ha abusato della fiducia. La riforma non si è fermata davanti ai cardinali né ai funzionari interni. Ma sulla mentalità del silenzio e della complicità, ha detto, «c’è da lavorare ancora per generazioni».

In definitiva, il pontificato di Bergoglio ha lasciato una nuova struttura economica: più controllata, più pubblica, più moderna. Ma il vero cambiamento, quello culturale, è appena cominciato. Il denaro, pur guardato con sospetto teologico, resta oggi – per usare parole dell’ex prefetto dell’Economia padre Guerrero – «uno strumento fragile, da usare con prudenza, ma necessario per la missione evangelica».

Enrico Foscarini, 22 aprile 2025

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